La buona Calabria di Michele, cronista- Il Dio del perdono e del cronista sotto scorta

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Antonio Maria Mira

 

 

‘Ndrangheta, scacco al clan Commisso, 14 arresti-In manette anche un poliziotto in servizio al porto

Grazie alle intercettazioni nella lavanderia Ape Green, base operativa del clan Commisso, la Polizia ha potuto portare alla luce altri aspetti dell’attività del clan arrivando a nuovi 14 arresti

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REGGIO CALABRIA – Nuovo colpo della Polizia di stato alle cosche di ‘ndrangheta del Reggino. Gli agenti, infatti, hanno messo a segno una serie di arresti e perquisizioni nei confronti di soggetti considerati legati a cosche della ‘ndrangheta operanti tra Gioiosa Ionica, Rosarno e Siderno. Sono in tutto 14 le ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Reggio Calabria di queste otto sono di arresti in carcere e sei ai domiciliari. Per tutti gli indagati l’accusa è di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga.

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Chiesti 7 anni di carcere per Rosy Canale

Requisitoria del pm di Reggio Calabria per l’ex pasionaria dell’antimafia e fondatrice del movimento “Donne di San Luca”
Rosy Canale

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REGGIO CALABRIA Sette anni di carcere: è questa la richiesta avanzata dal pm della Dda di Reggio Calabria Francesco Tedesco per l’ex stellina dell’antimafia Rosy Canale, definitivamente tramontata dopo l’inchiesta che l’ha fatta finire in manette perché accusata di aver tenuto per sé i fondi destinati al “Movimento delle donne di San Luca” da lei fondato, per spenderli in autovetture, mobili, vestiti, viaggi.

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Omicidio Congiusta-Le lettere del boss Costa finiscono davanti alla Corte Costituzionale?

La Procura Generale solleva una questione di Legittimità Costituzionale sulla utilizzabilità delle missive che sarebbero alla base del fatto di sangue. Il processo ora rischia di fermarsi.

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di Angela Panzera

Doveva essere il giorno della requisitoria, ma ieri la Procura Generale ha sollevato una questione di legittimità costituzionale e il processo a carico del boss Tommaso Costa, accusato di aver ucciso l’imprenditore sidernese Gianluca Congiusta, subisce uno stop di poco meno di un mese.

Durante la prossima udienza, fissata in calendario per l’otto , la Corte d’Assise d’Appello reggina emetterà la decisione e se dovesse dovesse accogliere la prospettazione della procura generale e sollevare la questione, la decisione passerebbe alla Corte costituzionale e nel frattempo il processo rimarrebbe sospeso. Tutto gira intorno alle famose lettere inviate dal carcere da Costa.

Per una “lettera” infatti, sarebbe stato ucciso Congiusta. Secondo l’accusa Congiusta infatti, sarebbe morto per essere venuto a conoscenza di un tentativo di estorsione perpetrato da Costa ai danni del suocero Antonio Scarfò. Un’estorsione di cui però nessuno doveva sapere, nessuno; soprattutto la ‘ndrina rivale dei Commisso. Sempre secondo l’impianto accusatorio, Congiusta venne a conoscenza delle mire espansionistiche del Costa, proprio dalla bocca della famiglia della sua fidanzata Katia. Costa a breve sarebbe uscito dal carcere ( dove si trovava già recluso per altri fatti di mafia ndr) , e quindi avrebbe dovuto “riacquisire” credibilità mafiosa a Siderno e dintorni, senza però che la cosca, quella veramente potente facente capo alla famiglia Commisso, venisse prematuramente a conoscenza dei suoi progetti criminali poiché altrimenti l’avrebbe pagata cara, così come già successo nella sanguinosa faida degli anni ’90 in cui la cosca Costa non ebbe di certo la meglio. Una volta appreso che questa lettera circolava, Costa una volta uscito dal carcere avrebbe ucciso Congiusta “reo” di averne appreso il contenuto. Durante il processo d’Appello tutta la corrispondenza di Costa però è stata dichiarata inutilizzabile. Ed è qui che si incastra la questione di legittimità avanzata dai pg Antonio De Bernardo e Domenico Galletta poiché le norme contenute negli articoli 18 e 18ter dell’ ordinamento penitenziario si porrebbero in contrasto con l’art. 3 della costituzione in considerazione della “irragionevole” disparità tra la disciplina dettata da queste norme – in materia di controllo della corrispondenza dei detenuti – e quella dettata dal codice di procedura penale in materia di intercettazioni telefoniche e ambientali.: Queste ultime, infatti, possono essere disposte all’ insaputa dei conversanti, mentre il provvedimento di controllo della corrispondenza epistolare – secondo l’interpretazione delle sezioni unite – deve essere subito comunicato al detenuto. La legge, quindi, tratterebbe in modo diverso e senza una valida giustificazione due situazione sostanzialmente identiche, con conseguente violazione del principio di eguaglianza. Secondo l’accusa la questione oltre che fondata sarebbe rilevante nel processo in corso perché solo disponendo di tutte le missive la Corte sarebbe nelle condizioni di ricostruire compiutamente i fatti. Ieri l’avvocato Sandro Furfaro, difenore di Costa, si é opposto, ritenendo la questione infondata e comunque irrilevante, dal momento che gran parte del contenuto delle missive é confluito comunque nel processo attraverso le deposizioni testimoniali e l’esame degli imputati. L’otto febbraio si saprà quindi se l’Assise d’Appello trasmetterà la questione alla Corte Costuzionale oppure farà procedere l’accusa con la requisitoria.

Fonte : il Garantista

Le solite bestie, che al posto del cervello si ritrovano escrementi di capra, stanno uccidendo la speranza dei calabresi onesti

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NUOVA ESCALATION DI INTIMIDAZIONI: SANKARA E RECOSOL INVOCANO INTERVENTI STRAORDINARI

Giusto un paio di giorni fa, ci ritrovammo costretti a scrivere un comunicato stampa per esprimere solidarietà al Sindaco di Martone, in seguito all’incendio appiccato allo scuolabus comunale.

In quella nota, la nostra cooperativa e l’intera Rete dei Comuni Solidali, chiedevano una maggiore attenzione e prevenzione alle forze dell’ordine, alla magistratura e alla classe dirigente tutta. O meglio, a quella, forse poca, ancora sana.

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La bufala delle minacce mafiose. Quei pizzini se li sono fatti in casa

La Procura sui messaggi intimidatori contro la squadra di calcetto femminile di Locri: “La ‘ndrangheta non c’entra niente”. E spunta un sospetto: “Materiale autoprodotto…”

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Nino Materi – Mar, 12/01/2016 – 08:47
La Procura di Locri, che la criminalità organizzata sa riconoscerla bene, si è fatta un’idea precisa: «In questa storia mafia e ‘ndrangheta non c’entrano nulla…».

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