La lettera della sorella Roberta – “IL RAGAZZO DAL SORRISO CONTAGIOSO”

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Gianluca Congiusta

– Qui in versione inglese / click here for english version –

24 Maggio 2005.

Era una grigia sera di fine maggio, quell’anno si   respirava un’aria strana, l’estate tardava ad arrivare, c’era una pioggerella pressante ed un vento pungente sembrava voler presagire qualcosa. Quella sera ero a casa di amici e mentre ci intrattenevamo sul pianerottolo per gli ultimi saluti, tra una battuta e l’altra, lo squillo del telefono impietoso, impertinente, dirompe quell’atmosfera di serena quotidianità. Fu quella telefonata, quella frazione di secondo che separa la dolce inconsapevolezza dall’agghiacciante scoperta, che mi cambiò per sempre la vita. Da lì in poi la corsa, la disperazione, il buio fino a quel tragico incontro con la morte, si, la morte. La dama avvolta nel suo manto nero, si era presentata all’appuntamento nella maniera più crudele e disumana…………

Il mio nome è Roberta, sono la sorella di Gianluca Congiusta, sin da bambina mi è sempre piaciuto presentarmi così, ho sempre contraddistinto la mia identità, non con il cognome, ma con il senso di appartenenza a Luca. Ero lusingata ed orgogliosa di farlo, e durante il mio racconto ne capirete i motivi. Vi scrivo, augurandomi che la sensibilità che avete sempre dimostrato nel porre la vostra attenzione su storie e su tragedie di gente comune, mi possa essere di aiuto. D’aiuto nel superare, nell’elaborare una catastrofe che ha colpito la mia famiglia il 24 Maggio del 2005, divorando le nostre vite, distruggendo i nostri ideali, deturpando i nostri cuori, i nostri volti, rendendo nullo il nostro vissuto.Probabilmente ne avrete sentito parlare dalla stampa, non pretendo lo ricordiate, perché l’importanza che si dà a questo tipo di notizia è pressoché irrilevante. L’informazione ha l’assurda pretesa di presentare in un freddo e banale titolo di cronaca la MORTE.MORTE fisica, MORTE morale, MORTE di valori, di speranze, di progetti, d’ideali. Ma io dovrei chiamarla “ per quanto ancora oggi mi viene difficile, con il suo vero nome “: OMICIDIO.Solo oggi a distanza di più di un anno ho avuto il coraggio di mettere su carta, l’inferno che ho dentro, di raccontare ciò che ho passato, e che mi ha cambiata, segnata irrimediabilmentePrima, mi terrorrizava solo l’idea di parlarne, perché significava prenderne coscienza, ammettere che era accaduto, realizzare che era tutto vero e non solo un incubo nel quale mi ero convinta di essere, attendendo un risveglio che molto crudelmente tardava ad arrivare.Oggi quel risveglio è arrivato, ma purtroppo è solo la schiacciante riconferma dell’incubo. E’ la fine. Solo oggi riesco a confrontarmi con la realtà che ho nascosto a me stessa per mesi, vivendo quasi sotto l’effetto di un anestesia paralizzante, oggi riesco a dirlo: Luca non c’è più, me lo hanno ucciso…….In Calabria prima di quello che è stato definito l’omicidio eccellente dell’Onorevole Franco Fortugno, si è consumata un’altra devastante tragedia che ha scosso come mai prima un intera comunità, che ha calato il sipario in uno dei paesi della Calabria che si era sempre distinto, quel paese era il mio paese: Siderno. Dico era, perché oggi nonostante io fisicamente sia ancora qui, non ho nessun senso di appartenenza. Siderno era andata alla ribalta delle cronache non solo per gli squallidi fatti di mafia ma per lo splendido mare, per la vivacità dei cittadini, per l’intraprendenza dei tanti ragazzi che portavano avanti progetti di cultura, di turismo, di arte, portavano il progresso in quella che troppe volte è stata definita una terra bruciata. Ma il 24 Maggio del 2005 Siderno si è spenta, è ritornata ad essere quella terra capace solo di generare mostri.“ Hanno ucciso uno di noi “ questa è la frase che i sidernesi increduli si ripetevano quasi a doversene convincere. Questa è la frase che continua a risuonare nella mia mente e che in un crescendo insostenibile di sensazioni, di suoni, di odori, di sgomento mi riporta a quella sera, a quella maledetta sera, a quella frazione di secondo nella quale si è dissolta la mia esistenza.“ Hanno ucciso mio fratello “, “ Luca è morto “, e con Lui anch’io e la mia famiglia, è morto tutto ciò che eravamo.Sono stata ore ed ore, giorni e giorni, a ripeterlo “ Hanno ucciso mio fratello “, perché oltre al dolore disumano della perdita dovevo fare i conti con una realtà che pur vivendo in Calabria, non conoscevo. Non volevo crederci, avevano sbagliato persona, è stato un errore, Luca no, non è possibile. Luca era uno di noi. Era uno di quei pochi ragazzi intraprendenti, vorace di vita, ambizioso, impegnato nel sociale e per il sociale, Luca era il paese.Anche se giovanissimo, Luca era il simbolo del cambiamento. Sbaglio a dire era, Luca è, perché da quella notte il cambiamento ha avuto inizio. Per la prima volta, paesi interi, adulti, bambini, anziani, malati, ricchi e poveri, hanno iniziato a far sentire la rabbia verso quel diavolo che assoggetta, uccide, distrugge: LA MAFIA.I paesi della jonica si sono vestiti a lutto, i negozi di Siderno hanno chiuso in segno di protesta, scrivendo sulle loro vetrine: ” Chiuso perché qualcuno ha rubato la vita a Gianluca”.Quel giorno a Siderno si respirava l’odore della morte, si sentiva il silenzio degli abissi. Sì, proprio così, ce l’hanno rubato, me l’hanno portato via in una sera di maggio, senza che io potessi abbracciarlo un’ultima volta, per le condizioni in cui lo hanno ridotto.Un solo colpo, un solo preciso freddo, spietato colpo di lupara.Colpo, lupara, ucciso, ma cosa sono questi termini mi chiedevo?Cosa dicono?Perché la gente vaneggia?Cosa centra con noi tutto questo?Noi siamo una normalissima famiglia di commercianti, lavoriamo da tre generazioni nello stesso settore, non siamo appetibili economicamente, non siamo in politica, nessun macchinoso sistema mafioso ci ha mai sfiorato. Abbiamo sempre vissuto nell’onestà, nella legalità, nel rispetto dei valori umani, senza fare mai distinzione, tra ricchi e poveri, ma solo distinguendo i buoni dai cattivi.Purtroppo, però, l’errore è stato proprio questo, considerare i cattivi in un emisfero a parte, illudersi che fossero lontanissimi rispetto alla nostra esistenza, ascoltare per anni i telegiornali locali, angosciandosi per le terribili notizie, ma basiti, perché nonostante tutto nella mia terra si viveva bene.Era come se si stesse parlando di un’altra Calabria, una Calabria che non conoscevo e che non avrei mai voluto conoscere.Per anni ho ascoltato ignara, quella frase che oggi fa più male di un colpo di lupara: Finché si uccidono tra loro !!!!!”Oggi tutto è cambiato, nulla di quello in cui credevo ha più un senso.I cattivi mi vivevano accanto, mascherandosi, confondendosi tra la brava gente, indossando giacca e cravatta di giorno, e magari un guanto nero di notte.Non credo più che si uccidano tra loro, ma sono capaci di uccidere anche “ uno di noi “, se non gli dai ciò che vogliono.Oggi mi odio, per essere stata poco attenta, poco sensibile e così tanto ingenua da credere che quel mondo di cui sentivo parlare solo in televisione, non mi appartenesse, come odio chi davanti alle stragi che si consumano fuori dall’Italia, dice “ vabbè tanto siamo lontani”!!!!!L’Italia fa parte del mondo, come la Calabria è parte d’Italia, e non e’ più tollerabile l’indifferenza di quanti ascoltano asettici una notizia di cruda cronaca calabrese, traendo come unica riflessione :” quest’estate le vacanze le facciamo da un’altra parte”.Tutta questa gente non ha idea, non si rende conto a quale tetro spettacolo sta assistendo, a quante vite distrutte si celano dietro il trafiletto di un quotidiano. Io però, non posso fargliene una colpa, perché finché non si guarderà da un’altra prospettiva, finché ci si limiterà ad un immobile sdegno, finché non si avrà la volontà di modificare gli atteggiamenti, finché non si è colpiti direttamente, purtroppo, si sentirà la notizia, ma non si potranno udire le urla di dolore.Ed è per questo che ho deciso di scrivere, per gridare il macabro spettacolo della Calabria, raccontando il macabro spettacolo al quale la mia famiglia ha dovuto assistere.Quand’è che qualcuno prenderà provvedimenti?Quand’è che ci si renderà conto che qui oramai sono necessari interventi speciali, quegli interventi di cui si fa tanta sana demagogia, ma che non si mettono in atto, se non in quei particolari periodi definiti d’emergenza, qui l’emergenza è quotidiana, è assurdo aspettare che scorra altro sangue……Sono talmente tante le cose, le vite che devo rappresentarvi, che la penna va sola, spedita, con l’angoscia che non esistano parole a sufficienza, e con la certezza che le mie capacità linguistiche non siano all’altezza di descrivere una tale catastrofe.Proprio per questo, accompagnerò le mie parole, ad un ampia documentazione di foto, giornali, video, manifestazioni organizzate da quei ragazzi “ i ragazzi di Locri “ che Voi avrete avuto modo di conoscere solo dopo la morte dell’onorevole Fortugno, ma che esistevano già da prima, solo che prima le loro voci non si udivano, fino a quando una telecamere del TG3 non ha deciso di inquadrare il loro ormai famoso striscione bianco, etichettandoli molto genericamente.Dietro a questo comune appellativo, ci sono volti, storie, giovani entusiasmi stroncati, sentimenti.Non ci sono bandiere, strumentalizzazioni, io, personalmente, per Ragazzi di Locri, intendo i ragazzi nati e cresciuti nella locride e in Calabria non ciò che si è voluto rappresentare di questi ragazzi.Anch’io sono una ragazza della locride ma non perché lo hanno deciso i media ma perché nella locride sono nata e vissuta, o alla luce dei fatti sarebbe più appropriato dire sopravvissuta.Molti di quei ragazzi erano amici di mio fratello, molti di quei ragazzi avevano già marciato, pedalato, manifestato per Luca, urlando il loro sdegno ma purtroppo, si è dovuti arrivare all’omicidio di un politico per accendere i riflettori su una terra nella quale l’eco del lamento di madri, padri, sorelle, amici, fidanzate, non è mai uscito dai confini.Ciò che più mi sdegna è che la mia famiglia pur non essendosi piegata, pur vivendo da quel giorno in nome di una richiesta di verità e giustizia, debba ricorrere ad avvilenti escamotage, per essere ascoltata.Non è bastato il sangue, il sacrificio di una vita, le varie lettere disperate di mio padre a Ciampi, a Pisanu, al Prefetto. Solo nel momento in cui abbiamo dichiarato di astenerci dal diritto di voto, non avendo più garantito il diritto alla vita, e solo dopo aver raccolto migliaia di certificati elettorali, consegnatici in segno di solidarietà, solo allora siamo stati ricevuti, solo allora qualcuno ci ha dato udienza.A casa nostra sono arrivate le telecamere della Rai, si stava preparando una nuova trasmissione, e leggendo la notizia Ansa: Civile protesta di una famiglia, qualcuno è stata toccato o forse solo incuriosito dalla nostra storia.Non mi illudo di aver destato interesse sul fronte umano, ma presumo solo per i risvolti politici che si potevano sortire.In quei giorni arrivavano fax e lettere di solidarietà da tutta Italia, dai tanti amici di Luca, alcuni si spingevano addirittura a suggerire l’istituzione di una taglia per chiunque avesse fornito notizie utili agli inquirenti, ma, mio padre che dopo la tragedia ha maturato un esasperato senso per la legalità si è autodenunziato, solo per averlo pensato.Mentre scrivo, in televisione, una rete locale continua a mandare in onda le immagini della “ Marcia del silenzio “, che si è tenuta in onore di mio fratello qualche giorno fa, ad un anno dalla sua scomparsa.Silenzio in segno di protesta, verso il silenzio delle indagini, verso il silenzio di chi sa ma ha paura di parlare.C’erano circa 3.000 persone, gli altri, gli spettatori erano chiusi al buio, al sicuro nelle loro case, e sbirciavano furtivamente il corteo, dalle fessure delle persiane.
C’erano tanti palloncini bianchi con scritto “ Ciao Gianluca “, c’erano i rappresentanti delle associazioni antimafia, i ragazzi di Locri, uno striscione bianco apriva il corteo denunziando: siete senza dignità, avete offeso una città “.C’era la vedova Fortugno, la figlia del giudice Scopelliti arrivata da Roma per urlare in silenzio una rabbia repressa da anni, le famiglie delle vittime di mafia unite nel dolore, c’erano tanti bambini, c’era lo stesso assordante silenzio di un anno fa.Osservo le immagini, ed ancora non credo che si tratti di noi, vedo quei volti, i nostri volti solcati dalle lacrime e rabbrividisco.Nel corteo si intravedono solo telecamere di tv locali o di ragazzini che avendo conosciuto Luca, vogliono riprendere le emozioni che è capace di dare anche ora che non c’è più, anche ad un anno dal suo omicidio.La morte da noi non fa più notizia, i ragazzi di Locri sono passati di moda, l’informazione di Stato non ne parla più, aspettano il prossimo omicidio eccellente, o un’anniversario eccellente, o un gesto esasperato di famiglie distrutte.Tutto questo non è più accettabile.Ed il paradosso, è che noi nella nostra disgrazia ci riteniamo fortunati, perché, anche se da pochi siamo riusciti a farci ascoltare.La forza della disperazione ha reso le nostre proteste, seppur civili, dirompenti, per questa terra dove il silenzio è un valore; ma pensare a tutti quei genitori che avendo un analoga tragedia non riescono a chiedere aiuto, per pura rassegnazione o perché relegati in paesini sperduti, mi fa impazzire.Vorrei, costi quel che costi, rappresentare la vita e la morte di mio fratello, vorrei che tutti conoscano Gianluca, vorrei che tutti sappiano che in un piccolo paese della Calabria, viveva una persona speciale, un ragazzo brillante, capace solo di trasmettere una sfrenata voglia di vita, in un tempo in cui basta poco, basta un capriccio per sciuparla e buttarla via la vita.Vorrei che la nostra ribellione, la nostra battaglia non sia solo nostra, ma di tutta quella società civile che in Calabria c’e’, e che ha voglia di riscatto.Oggi quel ragazzo, Luca non c’è più, lo hanno ucciso, lo hanno fermato, hanno assassinato l’amico di tutti, ma sono degli illusi se credono di aver vinto, perché Luca continua ad essere trainante anche ora che non gli è concesso viverci accanto fisicamente.Luca manca a tutti noi, Luca manca al paese, manca persino a chi, pur non conoscendolo aveva modo di incrociare i suoi occhi, il suo sorriso, solo passando davanti al suo negozio.I giornali lo hanno definito il ragazzo dal sorriso contagioso.Era una di quelle persone che sin da piccole hanno una luce particolare negli occhi, già da allora ci si rendeva conto che la sua sarebbe stata un esistenza speciale, fuori dal comune, e così è stato in vita come in morte.Più volte, quasi come un avvertimento, un monito a viverlo intensamente, abbiamo rischiato di perderlo, ma tutte le volte la sua smisurata forza, il suo essere seriamente ironico con la vita avevano vinto, contro un destino che oggi, alla luce di quanto accaduto sembra essersi preso gioco di noi, ma forse non di Lui.Lui sembrava avesse sempre saputo, lui viveva ogni momento, ogni rapporto, ogni esperienza come fosse l’ultima, con un’intensità trascendenziale, LUI e solo LUI aveva capito il valore della vita.Noi invece, ci nascondevamo dietro le insofferenze, dietro le nostre banali delusioni quotidiane, additando la vita per le nostre frustrazioni, non rendendoci conto di quanto fossimo ricchi, ricchi di vita.Ora è troppo tardi, per godere di quella favola che LUI provava quotidianamente a raccontarci: la VITA.Aveva una dote spiccata per guardare al mondo con altri occhi, per guardare oltre.Un barbone, uno zingaro, un ragazzo ritardato per LUI erano prima di tutto delle persone, con una storia, un vissuto dalle quali si poteva sempre imparare qualcosa.Non si accontentava come molti di fare la carità e lavarsi la coscienza, LUI doveva andare a fondo, doveva capire, doveva risolvere.C’è un ragazzo in paese, Ciccio, che prima di conoscere Luca era un’emarginato.Ora non più.Luca non ha rafforzato la sua miseria, facendogli l’elemosina, Luca non lo ha allontanato, ma ha voluto capire cosa c’era dietro quella sua richiesta di aiuto.Era una semplice richiesta d’affetto.Se ciascuno di noi con piccoli gesti provasse ogni giorno, a guardare in faccia i più deboli, e a fare qualcosa, sono sicura che si vivrebbe in un mondo migliore.Non lo affermo per falso buonismo, ma perche’ho vissuto fino al 24 maggio2005 con una persona, mio Fratello, che aveva fatto di questa teoria una regola basilare di vita.Era come se per lui non avesse importanza il tempo che gli era concesso di vivere, purché fosse vissuto al meglio per se e per gli altri, lasciando un segno, del suo passaggio.Con una naturalezza invidiabile, Luca propose a Ciccio di venire a fare volantinaggio nei week-end per il nostro negozio, facendolo sentire utile, importante per qualcuno, anche se Luca di quei lavoretti non ne aveva sempre bisogno.Luca andava oltre, voleva conoscere la storia, la famiglia di quel ragazzo riusciva paradossalmente a farlo sorridere della sua condizione.Oggi per tutti Ciccio non è più l’emarginato, ma è l’amico di Luca.Oggi Ciccio si sente responsabile di quello che è rimasto di Luca, la sua famiglia.Trascorre giornate intere con noi o a far compagnia al suo amico, al cimitero.E’ diventato la nostra ombra, è diventato l’amico fedele.Noi lo abbiamo scoperto solo dopo la morte di mio fratello, ma Luca aveva sempre saputo chi erano i veri amici.E’ dalla piccola gente che si imparano le grandi cose.Proverò con quel poco di forza che mi è rimasta, dopo mesi di rabbia, di umiliazioni, di sospetti, di disperazione, a raccontarvi la sua vita, fino a quell’ultimo gesto di follia inenarrabile, compiuto da ignoti, che lo ha spezzato al culmine della sua giovinezza, a 32 anni.Ancora oggi non ci è dato sapere chi, e soprattutto perché. Proverò a far capire quanto sia devastante il sospetto, quanto possano ferire gli sguardi incuriositi della gente oltre al dolore disumano della perdita violenta.Luca è nato il 19 Dicembre 1973, in una normalissima famiglia di commercianti.Mia madre, Donatella, che nonostante la morte nel cuore continua a dispensare sorrisi, in nome di quel sorriso spezzato, ha sempre gestito un atelier di abiti da sposa.Mio padre, Mario, un uomo oggi indurito dal dolore che vive una continua lotta per la legalità, era titolare di un negozio di elettroforniture, che si tramandava di padre in figlio, e che negli anni grazie all’intraprendenza ed all’intuizione di Luca era diventato, leader nel settore della telefonia, dando lavoro e lustro al corso di Siderno.Luca, aveva frequentato il Liceo linguistico, aveva una particolare predisposizione per le lingue e per lo sport, in tutte le sue manifestazioni.Mio padre, lo aveva fatto viaggiare da solo sin dall’età di otto anni, per vacanze studio o per raduni sportivi, forse perché come tutti o quasi tutti, i padri calabresi, auspicava per il figlio un futuro brillante in altra terra. Consapevole del fatto che qui da noi tutto ciò che semini viene distrutto, o vengono colti da altri i frutti del tuo lavoro.Ma Luca non era il ragazzo che si accontentava di essere mantenuto da papà per il suo corso di studi, LUI doveva fare, doveva vivere, doveva costruire, doveva correre in fretta era come se il tempo non gli bastasse mai. Era da vigliacchi chiudere gli occhi, ed andare via, cosa sarebbe rimasto nella sua Siderno se tutti ce ne fossimo andati? Oggi rimpiango che non abbia concluso i suoi studi e si sia messo a lavorare, a progettare per il progresso della sua terra, perché quella stessa terra, lo ha inghiottito.Prima di diventare, l’abile giovane imprenditore che tutti conoscono, durante l’ultimo anno di scuola aveva dovuto lottare per la prima volta contro un tumore, forse meno infido di quello che a distanza di quindici anni lo ha ucciso.Aveva solo diciassette anni, gli avevano dato un mese di vita, anche allora un intera comunità ha pregato per LUI. Anche allora non ci siamo arresi.Mamma e papà, si sono trasferiti a Bologna, abbandonando le loro attività, anche in quel caso forse per salvarlo dovevamo andare via da Siderno, era come se la vita dei calabresi avesse meno valore, qui non c’erano strutture adeguate e non ci sono ancora.A Bologna per i miei genitori e per Luca, iniziò il calvario, un pellegrinaggio nei vari ospedali prima di individuare la malattia: una forma leucemica fulminante, ci avevano detto.Io ero piccola, ma non abbastanza da non capire.Ho vissuto per due anni con i miei nonni paterni, isolandomi, irrigidendomi caratterialmente ed attendendo il suo ritorno.Andavo a Bologna durante le vacanze scolastiche, ma soffrivo terribilmente nel vederlo spegnersi lentamente, e nello scoprire di volta in volta, che mamma si stava annientando, non esisteva più nulla al di fuori di quella stanza di ospedale.Qui in paese, parenti ed amici, si rivolgevano ai mistici di nota fama, Natuzza Evola o Fratel Cosimo, chiedendo aiuto per quel bambino.Al contempo però mi guardavano proprio come oggi con pietà e timore, dovuto all’ignoranza. All’epoca mio fratello, fu uno dei primi casi di Leucemia in paese, e quella malattia come tutto ciò che non si conosce, spaventa.La gente mi guardava incuriosita e furtivamente, quasi io li potessi contagiare.Già allora Luca ha dato prova della sua determinazione e la sua voglia di Vita ha vinto contro la Morte.Già allora, la mia mamma, una donnina di un metro e cinquanta, lo ha ancorato a se, combattendo il male con l’amore, andando contro tutte le intuizioni dei medici, seguendo il suo istinto, oltre ovviamente alle terapie, curandolo con una medicina, che oggi è difficile reperire: l’amore incondizionato.Mamma gli dava da mangiare, lo massaggiava, lo faceva leggere, camminare, anche quando i medici lo sconsigliavano, continuava a farlo sentire vivo nonostante le diagnosi dicevano tutt’altro.Per quasi due anni, la casa di mamma è stata una fredda sedia di fronte alla stanzetta asettica del reparto di ematologia dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.Ancora oggi, medici ed infermieri ricordano quel ragazzino e sua madre, portandoli da esempio.Anche lì il percorso di Luca si è intrecciato quasi per un disegno divino, con le vite e le morti di tanta povere gente, e di bambini che versavano in condizioni peggiori di Lui, e non perché la loro malattia fosse diversa, ma perché non avevano il giusto supporto e la forza di combatterla. Molti di quei bambini si legarono morbosamente a Luca, traevano slancio dal suo sorriso, dal suo sapere ironizzare anche prima di un delicato intervento.Luca ce l’ha fatta, contro tutto e tutti, contro ogni previsione Luca ha vinto, e fu quell’esperienza che lo rese ancora più uomo, ed in quanto tale amabilmente imperfetto e complesso.Io in quegli anni vivevo tutto a distanza, tramite telefonate fiume nelle quali le parole di conforto di mia madre non riuscivano a nascondere, a camuffare il tono della sua voce che mi diceva altro.Una delle immagini che è rimasta indelebile nella mia mente fu quando entrando nella sua stanzetta d’Ospedale con le dovute precauzione sterili, vidi in quel letto una persona che non riconoscevo in mio fratello. La malattia lo aveva trasformato, i suoi riccioli erano caduti, gli occhi erano incavati, pallido. Apparentemente era ingrassato per cui mi illudevo che quello fosse un segno di ripresa senza capire che la sua nuova fisionomia era dovuta agli effetti del cortisone. La leucemia ti cambia nell’anima e nel corpo. Quel giorno accanto a lui c’era un prete. Cosa ci fa mi chiedevo? E non osavo formulare la domanda ad alta voce perché non volevo una risposta. Luca però con il suo solito umorismo mi guarda ed esclama: “E’ venuto a farmi la comunione” facendola passare per una cosa normale mentre io non volevo capirne l’urgenza. Una delle doti più preziose di Luca era ridimensionare i problemi anche quelli apparentemente irresolubili per trovare la forza di affrontarli. Ho continuato a fissarlo per tutto il tempo che mi era stato concesso stargli accanto, sempre poco per una sorella consapevole del fatto che quel giorno potesse essere l’ultimo. Lui impassibile non ha mai fatto trapelare le sue paure, le sue fragilità, rimaneva lì immobile senza dare alcun segno di cedimento con il suo libro d’inglese in mano ed il suo sorriso ironico, sembrava volesse sfidare la morte.Ha vinto Lui, dopo quasi due anni di chemioterapia, d’interventi anche sperimentali, dopo l‘espianto midollare e il reimpianto, Luca è tornato a Siderno, è tornato da me, da Alessandra la più piccola di noi fratelli, è tornato dai suoi amici.Il paese era in festa, casa mia era un via vai di parenti, conoscenti, che volevano accertarsi personalmente delle condizioni di Luca, volevano vedere con i propri occhi che Luca ce l’aveva fatta. Si, proprio cosi, Luca non solo aveva vinto la malattia ma anche in quelle condizioni non aveva sprecato un solo istante di vita. Si informava, divorava libri, studiava quanto più poteva (quando gli effetti della chemio glielo concedevano) per recuperare gli anni di scuola persi e per prepararsi alla maturità.Dal suo rientro in paese, la sua vita fu un susseguirsi di sfide, anche quando non era il destino a presentargliele, era Lui che doveva mettersi continuamente in gioco. Inizia il suo percorso universitario con la consapevolezza di non portarlo a termine perché la sua famiglia aveva bisogno di Lui, ma con la ferma convinzione che anche quell’esperienza, seppur breve, poteva essergli utile, così fu. Dopo un anno di frequentazione universitaria presso la Facoltà di Scienze Politiche a Messina, senza però mai smettere di lavorare, torna definitivamente a casa ed inizia a progettare, a costruire per se, per la sua famiglia, per la sua terra. Era un vulcano in continua eruzione. A casa trova una situazione familiare e commerciale fallimentare, ma questo non lo scoraggia. Prende le redini dell’attività di mio padre e forte delle sue intuizioni commerciali, nel giro di due anni crea un’azienda la “ GC ”. Tre Centri Tim, uno a Siderno, uno a Locri ed uno a Marina di Gioiosa Ionica, paesi della costa Ionica collegati urbanisticamente l’uno all’altro. Diventa Master Dealer per Tim (massimo livello raggiungibile nel settore della telefonia mobile), e crea venti Sub-affiliati nei paesi che vanno da Reggio Calabria a Soverato.Anch’io negli anni successivi abbandonai gli studi per contribuire alla ripresa, Luca mi affidò La gestione del negozio di Marina di Gioiosa Ionica, mio padre curava il Centro Tim di Locri, mentre Katia, la sua fidanzata lo affiancava al negozio di Siderno, sede principale. In poco tempo, sfruttando la fama del suo marchio, Luca si fece promotore e sponsor di ogni iniziativa e manifestazione di sviluppo e turismo nella Locride, riuscendo sempre a dare un valore aggiunto ad ogni iniziativa: la beneficenza.La sua attenzione era rivolta in particolar modo ai bambini, ai disabili, ai disagiati, a quel mondo parallelo spesso ignorato per comodità, il mondo dei deboli. Nulla per Luca doveva essere fine a se stesso, guai a considerare un’attività commerciale solo come mera fonte di guadagno. Collezionò coppe e targhe di gratitudine, che valgono più di ogni altro trofeo al valore sportivo o professionale. Il suo negozio era diventato un punto di riferimento, un ritrovo per adulti e bambini che si rivolgevano a Lui per i motivi più disparati, dall’organizzazione di un torneo di Basket ad un semplice consiglio per il primo appuntamento, agli sfoghi per incomprensioni con i professori, alle richieste di mediazione con i genitori per avere il permesso di una vacanza studio.La gente non entrava nel suo negozio solo per acquistare ma per vederlo e per iniziare la giornata con un sorriso, con il suo saper essere seriamente divertente. Aveva un carisma particolare, un autocontrollo invidiabile, una carica vitale coinvolgente. Luca era l’amico di tutti perché riusciva a rendere ogni incontro anche il più occasionale, speciale. Riusciva a vivere la vita come andrebbe vissuta, con Passione, entusiasmandosi per e con gli eventi e non lasciandosi semplicemente trasportare da essi.C’è una preghiera, la preghiera di un padre, di Douglas Mac Arthur che sembra scritta per Lui:

 “Dammi un figlio, Signore, che sia abbastanza forte da riconoscere la sua debolezza ed abbastanza coraggioso da affrontare se stesso davanti alla paura.Dagli la forza di restare in piedi, dopo una sconfitta onorevole, così come la forza di restare umile e semplice dopo la vittoria.Dammi un figlio, Signore, in cui i desideri non rimpiazzino le azioni, un figlio che Ti conosca e sappia conoscere se stesso.Fa’ che percorra, Ti prego, non il sentiero dell’agiatezza e delle comodità, ma quello dello sforzo e della sfida nella lotta contro le difficoltà.Insegnagli a tenersi diritto nella tempesta, ma ad avere comprensione per coloro che sono deboli.Dammi un figlio che abbia un cuore puro ed un ideale elevato, un figlio che sappia dominarsi prima di voler dominare gli altri, un figlio che sappia ridere senza dimenticarsi come si fa a piangere, senza dimenticarsi del passato.E dopo tutto questo, Signore, dagli, Ti prego, il senso dell’umorismo, così che viva con serietà, ma sappia guardare se stesso senza prendersi troppo sul serio.Dagli l’umiltà che gli ricordi sempre la semplicità della vera grandezza; l’apertura di spirito della vera sapienza e la dolcezza della vera forza. E allora io suo padre potrò mormorare
Non ho vissuto invano”

La sua vita era una giostra, un’altalena, tra lo sfrenato lavoro, gli impegni sociali e lo sport, tanto sport. Corsa, ciclismo, nuoto, tennis, equitazione, calcetto…. Anche lì non gli era sufficiente praticarne solo uno, Lui doveva sperimentare, doveva mettersi alla prova fino all’estremo. Nell’intervallo dal lavoro divorava chilometri fino allo sfinimento, quasi a voler dimostrare la sua libertà. Libertà dalla malattia, libertà da schemi di vita precostituiti, libertà da pregiudizi, dai bassi preconcetti. Libertà, in una terra dove spesso la libertà di pensiero e di operato ha un prezzo troppo alto da pagare: la vita stessa. Dopo i primi anni di liberta commerciale, iniziarono le avvisaglie di un contesto sociale che forse avevamo sottovalutato, o che forse Luca consapevolmente aveva voluto sfidare. Al Centro Tim di Locri subiamo le prime rapine a mano armata, in tutto tre nel corso di un anno. Non ci pieghiamo e all’intimazione di chiudere o pagare il pizzo, mio padre risponde andando in negozio scortato dai Carabinieri che lo affiancavano durante tutto il corso della giornata lavorativa. Questo stato di cose però non poteva durare a lungo per cui dopo qualche mese ci riproviamo e riappropriandoci del nostro tempo, del nostro negozio riprendiamo in mano la nostra vita. Quella gente però, non dimentica e non si arrende, dopo l’ennesima minaccia chiudiamo definitivamente l’attività a Locri. Non è tollerabile che in Calabria un commerciante debba pagare le tasse due volte, allo Stato e all’Antistato. La nostra non fu rassegnazione ma realismo e sopravvivenza, perché finche si sarà da soli a denunciare, a protestare, a sdegnasi, non si potrà mai vincere contro di Loro.Da quell’anno decidemmo di concentrare le nostre energie sugli altri negozi a Siderno il nostro paese e a Marina di Gioiosa Ionica, paese di origine di mamma, rassicurati dal fatto che lì per tanti anni nessuna forma estorsiva nessun tipo di potere corrotto ci aveva mai soggiogati. Forse perché lì, Luca lo avevano visto crescere e lottare per la vita, forse perché quella sua spontaneità, quella sua pulizia, quella sua carica emotiva aveva conquistato anche Loro, e sino a quel momento lo avevano risparmiato. Loro, non so chi siano, non so individuarne i volti, Loro, i mafiosi che molto generalmente si indicano con i cognomi delle famiglie che storicamente appartengono a queste incivili forme associative, ma chi ha la certezza che l’uno o l’altro tuo compaesano ne faccia parte? Per anni abbiamo creduto che a Siderno e a Marina di Gioiosa Ionica si potesse vivere e lavorare bene,non c’era confronto con Locri che seppur a soli quattro chilometri di distanza, presentava uno scenario sociale, commerciale, completamente diverso. Una mentalità chiusa, retrograda, fondata su retaggi di una mafia primitiva, dove rischi di perdere la vita se non dai la precedenza, dove la tua unica colpa e non conoscere chi hai di fronte. Per anni ci siamo illusi di aver superato quella parentesi di soprusi, vedevamo il nostro paese Siderno progredire ed eravamo orgogliosi di far parte di quella crescita, ma purtroppo era una mera illusione. Anche Siderno era controllata da forme di potere occulto, solo che veniva esercitato in maniera diversa. Quella di Siderno è una mafia più moderna, una mafia “colta”, una mafia alla quale non serve fare rumore perché consapevole del proprio potere economico. Anche qui a Siderno però ti è concesso vivere solo fino a quando la tua professione, i tuoi interessi, la tua vita privata non si scontrano con i loro. Ancora oggi non ci è dato sapere chi e soprattutto perché. Dopo anni di sacrifici,di lavoro sfrenato,di imprenditoria brillante,dopo anni di aiuti , di solidarietà che Lui regalava ad insaputa di tutti (le lettere di riconoscenza ci sono pervenute dopo quella maledetta data) dopo anni trascorsi a costruire mattone dopo mattone,tutto e’ stato cancellato,annientato con un solo disumano gesto,un solo colpo ha colpito il cuore della nostra famiglia distruggendola per sempre.Come tutta la sua vita anche la sua morte e’stata diversa,innaturale.Il 25 maggio i giornali titolavano: giovane imprenditore assassinato,tipica esecuzione mafiosa.Non era un giovane imprenditore,era il giovane imprenditore,era mio fratello,era la mia vita.Nei giorni successivi a quella maledetta notte,i cui ricordi sono offuscati,sia per una forma di autodifesa dal dolore, sia per i vari sedativi assunti,forse sragionando,mi sono voluta convincere che Luca aveva conquistato anche Loro con il suo saper essere uomo e bambino.Questa convinzione nasceva dal fatto che le modalità del suo omicidio,avevano delle peculiarità difficili da comprendere per chi non vive in Calabria.La ndrangheta,uccide sfigurando,sfregiando,ti priva della tua identita’di essere umano e nei 32 omicidi impuniti degli ultimi anni,le modalita’furono pressocche’ identiche.Mai meno di tre o cinque colpi per portare a termine le loro missioni di morte. Non per Luca però,mi ripetevo autoconvincendomi che non avesse sentito dolore,sperando che non si fosse reso conto che sulla strada di casa quella notte c’era il diavolo ad aspettarlo.Per Luca e’ stato diverso,fu un unico colpo,forse sono riusciti a sparare solo uno perché anche in quel momento il suo sguardo li aveva bloccati.Era come se quel gesto disumano compiuto chissà quante altre volte da quei killer, per Luca fosse troppoNon perché la vita di mio fratello valesse più di quella di tutte le altre vittime ,ma per me ovviamente da sorella,da sorella innamorata si. Forse non saprò mai perché,forse non saprò mai se Luca e’ andato incontro alla morte consapevole,per scelta,per scelta di valori,scelta di libertà,perché non si e’ piegato,o se invece paradossalmente si e’ trattato di un’errore di persona,unica cosa plausibile nella follia dei primi momenti.Cio’che purtroppo so per certo,ciò che vivo quotidianamente e’ che da quella notte i miei occhi vedono solo buio,tutto e’ finito,dissolto,tutto ciò che prima aveva importanza ora e’ niente,il nulla.Ti svegli,cammini,lavori,mangi,sorridi alla gente,ma non sei piu’tu.Ogni odore,ogni suono,ogni immagine,ogni stupido vocabolo di una banale conversazione ti riporta a quell’istante,a quell’attimo in cui ti viene comunicato che la persona che ami di più al mondo e’andata via,e non perche’cosi’ era scritto nel destino ma perche’qualcuno si e’ arrogato il diritto di decidere della sua vita e di conseguenza della tua.Da quel momento qualunque sia il tempo che ti e’ dato vivere,anche solo il domani ti sembra troppo senza di Lui.Da quel momento la schiacciante consapevolezza che nulla avrà più lo stesso sapore,ti annienta.Piangi,ti disperi,aspetti,vaneggi ma provi a lottare,anche se debolmente lotti per l’unica cosa che ti e’ rimasta:La Giustizia,La Verità.Giorno dopo giorno provi a costruirti una nuova stabilità,ma e’ solo apparente.Ciascun membro della mia famiglia a suo modo sta conducendo una battaglia personale contro uomini senza volto e contro il dolore.Non oso immaginare cosa sia oggi il cuore dei miei genitori,perché se e’ vero che perdere un fratello in quel modo e’ insopportabile,e’ altrettanto vero che sopravvivere ad un figlio e’ innaturale.Estate 2006.cosa siamo oggi e’difficile da spiegare,cosa e come sono diventate tutte le persone la cui vita ruotava intorno a Luca e’ altrettanto avvilente da descrivere.Purtroppo nella sofferenza si e’ soli,il proprio dolore non e’ condivisibile,nessuno può capire se non chi e’ stato amputato allo stesso modo di un’amore.Per quanto ci si sforzi a spiegare non e’ verbalmente narrabile.Non lo dico per presunzione ma semplicemente perché anche io nella mia precedente condizione di normalità non potevo sapere……………….Un anno prima della morte di Luca,la mia cara amica Simona perse il padre,non per volontà di un altro essere umano,ma con la stessa fulmineità.La sera gli dai il bacio della buona notte,ti addormenti,la mattina non c’e’ più,stroncato da chissà quale forma di attacco.Allora io non conoscevo il dolore,ma provai con tutta me stessa a capire ad immedesimarmi,le stetti vicino giorno e notte,chiesi anche al Signore di darmi un po’ del suo dolore per alleggerirle il cuore,forse quella mia preghiera fu ascoltata ma e’ stato veramente troppo.Oggi posso dire che nonostante gli sforzi non potevo immaginare………E’dolore allo stato puro,e’dolore fisico che ti paralizza,e’ una morsa che ti stringe il cuore e non accenna a mollare la presa,non ti da’ tregua se non quando la rabbia e la paura ti permettono di dormire.Sei prigioniero in casa tua perché se solo provi ad uscire ogni angolo, ogni strada,ogni volto,ogni insegna dei negozi, che erano i tuoi negozi urlano cio’ che eri e cio’ che sei diventata.Dopo la morte di Luca io e katia la fidanzata che rimanemmo sole a gestire i negozi,decidemmo da quasi subito di chiudere,fu una scelta dolorosissima,ma fu una scelta probabilmente guidata da Luca.Non avendo un colpevole per noi erano diventati tutti potenziali colpevoli,in quelle condizioni,con quella rabbia dentro non si può stare dietro ad un bancone ad elargire sorrisi, fingendo una condizione di normalità,dentro ad un negozio che ancora non si sa’ se sia stato la causa della nostra rovina.Abbiamo cercato di incanalare la rabbia e il dolore verso un condotto che porti a qualcosa di positivo,che porti un cambiamento,che sensibilizzi quante piu’persone possibili verso un tarlo che esiste da sempre e che continuerà a crescere se non ci si renderà conto che va combattuto e non subbito,se non ci si renderà conto che vanno cambiati gli atteggiamenti,va cambiata la mentalitàSiamo convinti che se le voci si alzano in coro forse qualcosa si riuscirà ad ottenere,se non giustizia quantomeno fastidio verso chi altrimenti agirebbe indisturbato.Stiamo per costituire una fondazione dedicata a Gianluca che avrà come prerogative principali,solidarietà e sostegno verso i più bisognosi ed i bambini,e la promulgazione di legalita’e cultura,perché senza di esse si puo’essere facili prede per la criminalità.Nonostante tutto però,nonostante provi a crearti una nuova ragione di vita,nonostante i buoni propositi, ti chiedi se ne valga la pena,se il tuo sforzo porterà realmente ad un cambiamento.Quando chiudi la porta di casa,quando rimani sola con il tuo dolore,con i tuoi ricordi,quando non sei costretta a sorridere per non risultare pesante,ti rendi conto che e’ tutto fine a se stesso,tutto ti e’ indifferente,ti senti diversa,cambiata,non so se in positivo o in negativo,queste tragiche esperienze possono incattivirti,abbrutirti o forse meglio sensibilizzarti.Sono fidanzata da quindici anni con un ragazzo che ironia della sorte porta il mio stesso cognome, Congiusta,sembra fosse tutto scritto.Se mai avrò la fortuna di avere un figlio si chiamerà come mio fratello, Gianluca Congiusta.Forse non e’ questa la motivazione giusta per sperare di avere un bambino,forse sbaglio, ma e’ un tentativo di sopravvivenza,un figlio potrebbe ridarmi la voglia di vivere,voglia che oggi non esiste,esiste solo paura,paura di vivere,esistono solo fobie dovute al terrore di soffrire ancora,al terrore di perdere un’altra persona che ami,al terrore di non resistere.Tutto cio’ che fai lo vivi in sordina,tutto cio’che osservi e’ filtrato,quando cammini,quando parli, quando lavori,quando semplicemente assisti a normali scene di vita quotidiana,hai una diapositiva davanti a te,prima di vedere tutto il resto vedi Lui,i suoi occhi,il suo sorriso e ti senti in colpa perché tu stai respirando e Lui?dov’e’?Ho provato ad aggrapparmi a tutto,all’idea forse folle che in qualche modo avrei potuto mettermi in contatto con Lui,ho provato ad aggrapparmi alla fede,ma quando c’e’ la rabbia dentro non ti e’ possibile trovare conforto.E’ da più di un anno che non vivo,che non esisto. Roberta e’ ferma li’ a quella notte,davanti a quella scena,la persona che ha continuato ad interpretare il suo ruolo non la riconosco.Per quanto mi sforzi non riesco più ad uscire, non vado a fare semplicemente una spesa,per non sentirmi osservata,compatita,giudicata,ma, ho deciso che un significato dovra’avere tutta questa sofferenza,dovrà portare a qualcosa di positivo,se non per noi per altri,per evitare che riaccadano tragedie simili.Mi fa male avvertire la sensazione che forse per gli altri per gli estranei,siamo diventati pesanti,perché la nostra esistenza o inesistenza ruota intorno a Lui,per me e’ un’esigenza vitale nominarlo in tutti i miei racconti,o parlarne al presente ma mi rendo conto che per chi non lo ha vissuto,o per chi non fa parte della famiglia risulta opprimente,forse perche’la gente preferisce sempre fingere che vada tutto bene,be’ con noi non e’ più possibile…………………………….

Settembre 2006.Chi siamo?
Mia madre, che come Luca ha un temperamento invidiabile,e’palesemente morta dentro.Continua a vivere per me e per mia sorella,la sua esistenza e’ diventata una forma di pegno.Dovra’sapere la verità,dovra’guardare negli occhi l’assassino di suo figlio,dovrà vederci serene se mai sarà possibile,e poi la sua ricompensa sarà riabbracciare Luca.

Katia,la fidanzata di Luca si e’trasferita a Milano,l’odio per questa terra che ha divorato il suo amore,e’ stato più forte del disagio di vivere da sola in una grande città,senza amici senza familiari.
Mia sorella Alessandra,la più piccolina era una persona di una vitalità incontenibile,nonostante un suo problema di sordità,oggi faccio fatica a farla alzare dal letto,oggi anche lei dentro e’ inanimata.il suo modo di staccare la spina ,di isolarsi nel mondo dei ricordi e’ quello di spegnere la protesi e rifugiarsi in un silenzio assordante stringendo forte a sé i vestiti di Luca.
Mio padre,trascorre tutta la sua giornata,davanti al computer,in continuo contatto con associazioni antimafia,con i ragazzi,con i giovani “gladiatori” che lo aiutano nell’aggiornamento costante del sito www.gianlucacongiusta.org ha parcheggiato il maggiolino giallo di mio
fratello che ormai e’ diventato un simbolo,davanti al tribunale,facendolo diventare un calendario che scandisce il tempo trascorso da quando Luca non c’e’ più,mentre i suoi assassini sono ancora liberi.
L’unica forma di riscatto che ho,l’unico modo per provare ad evitare altre tragedie,per provare a far capire tramite le nostre esperienze che bisogna combattere non con la spada ma con la parola,con la dignita’individuale,e’ far conoscere a tutti,anche fuori dai confini della mia terra,un’eroe moderno,il mio eroe,il mio gladiatore,Luca.
Sono convinta che ogni esistenza sia unica,so che ogni forma di vita,ogni esperienza, ogni percorso umano e’ un percorso speciale come e’ stato quello di mio fratello.Forse questo sfogo serve più a me per prendere ulteriormente coscienza di quanto e’ accaduto,per prendere coscienza della vita e della morte,ma spero che leggere la mia esperienza,la mia tragedia faccia sentire meno soli quanti hanno subito la stessa amputazione.


Il killer di mio fratello ha sparato il primo colpo, l’indifferenza della gente ha continuato ad ucciderci.

Roberta,sorella di Gianluca Congiusta.

Donare un sorriso rende felice il cuore.

Arricchisce chi lo riceve
senza impoverire chi lo dona.

Non dura che un istante
ma il suo ricordo rimane a lungo.

Nessuno è così ricco da poterne fare a meno
né così povero da non poterlo donare.

Il sorriso crea gioia in famiglia
dà sostegno nel lavoro
ed è segno tangibile di amicizia.

Un sorriso dona sollievo a chi è stanco
rinnova il coraggio nelle prove
e nella tristezza è medicina.

E se poi incontri chi non te lo offre
sii generoso e porgigli il tuo:


Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo.