Crotone, mossa del Viminale. «Ispezione alla Prefettura»

Antonio Maria Mira

Minniti: il Cara? Ferita odiosa per la nostra civiltà. Piano di verifica per tutte le strutture d’accoglienza

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Un’immediata ispezione presso la Prefettura di Crotone. L’ha annunciata il ministro dell’Interno, Marco Minniti, rispondendo ieri al question time alla Camera sull’inchiesta che ha scoperto gli affari della ’ndrangheta sul Cara di Isola di Capo Rizzuto. Una vicenda «odiosa, una ferita per la civiltà del nostro Paese», ha denunciato Minniti annunciando la clamorosa ispezione, una decisione mai vista che conferma le critiche all’operato della Prefettura di Crotone contenute nel decreto della Dda di Catanzaro che ha portato in carcere 68 persone, esponenti del clan Arena, imprenditori, il governatore della Misericordia, Leonardo Sacco e il parroco don Edoardo Scordio, che proprio ieri, nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al Gip, hanno respinto tutte le accuse e giustificato il loro operato dicendo che «la prefettura avallava tutto», dai subappalti alle spese. Mentre i magistrati nel decreto sottolineano più volte la mancanza di documenti e fatture, e anche la forte differenza tra presenze nel Cara e servizi pagati. Ovviamente a tutto vantaggio delle società subappaltatrici, della Misericordia e dello stesso sacerdote.

Un lungo elenco di controlli inefficaci ma anche intercettazioni telefoniche di funzionari della Prefettura che parlano di pressioni e irregolarità per far vincere la Misericordia nella recente gara per il rinnovo dell’affidamento della gestione del centro per rifugiati, dove ieri è salita la tensione, con proteste, tra l’altro, sulla non consegna da mesi del pocket money. Su tutto Minniti vuole vederci chiaro inviando «un apposito nucleo ispettivo, coordinato dal prefetto di Catanzaro, che dovrà concludere i lavori entro 30 giorni». E il prefetto Luisa Latella già ieri pomeriggio era al lavoro. Decisione inedita.

Ma, spiega il ministro, «è inaccettabile che l’accoglienza possa diventare terreno per attività mafiose e corruttive. Saremo fermissimi su questo, secondo il principio che un grande Paese gestisce l’accoglienza rispettando i diritti umani e agendo con la massima trasparenza». In questo senso ha confermato che «è partito nei giorni scorsi un piano di verifica delle strutture di accoglienza, che prevede 2.130 controlli e a marzo è stato predisposto il nuovo capitolato per le gare d’appalto, promosso insieme all’Anac ».

Anche con «l’obiettivo di superare le grandi strutture per i migranti come Mineo e Isola di Capo Rizzuto». I principali accusati si difendono su tutta la linea. «Abbiamo fatto tutto alla luce del sole. È tutto tracciato e ricostruibile e non ci sono appropriazioni di fondi da parte di nessuno» ha detto Leonardo Sacco. E secondo i suoi avvocati «ha escluso qualunque ipotesi di appartenenza e complicità con la criminalità e ha chiarito di aver in- rapporti leciti ed autorizzati con tutti i fornitori». «Mai avuto alcun rapporto con la criminalità organizzata », ha dichiarato anche don Edoardo Scordio, sottolineando anche di essere estraneo alla gestione del Cara. A proposito dei 132mila euro ri- cevuti per svolgere «assistenza spirituale agli immigrati» per conto della Misericordia, il sacerdote ha detto che quei soldi sono serviti per effettuare decine di lavori nella parrocchia.

Ma proprio su questa vicenda i magistrati scoprono più di un’anomalia, che coinvolge anche la Prefettura. «Tali servizi non sono assolutamente previsti e contemplati nell’art. 1 del capitolato d’appalto della convenzione stipulata in data 22.12.2006, di talché il loro affidamento alla Parrocchia deve intendersi illegittimamente dato. Si agtrattenuto giunge come gli stessi siano stati documentati con note di debito emesse dalla Parrocchia Maria Assunta nei confronti della Fraternità di Misericordia di Isola di Capo Rizzuto. Invero, in ordine a tale anomala situazione la Prefettura di Crotone, sulla base degli atti acquisiti, non risulta aver mai chiesto alcun chiarimento alla Fraternità di Misericordia».

Ma c’è anche molto altro. Sacco e i suoi presunti complici «inducevano in errore la Prefettura di Crotone circa il numero dei pasti forniti e dei servizi alla persona resi, ottenendone per tale via una liquidazione maggiore che – nel caso dei pasti contabilizzati per il solo anno 2013 – individua un ingiusto profitto per euro 451.335, così cagionando un conseguente danno economico per l’ente pubblico prefettizio, somma indebitamente liquidata dalla Prefettura di Crotone nell’ambito dell’appalto di servizi, sulla base della contabilizzazione sopra dedotta e sul falso presupposto dell’effettiva fornitura della prestazione dei servizi di ristorazione da parte della società Quadrifoglio. Con la circostanza aggravante dell’avere agito al fine di agevolare le illecite attività consortili della locale di ’ndrangheta».

E ancora, «si poteva riscontrare una ulteriore carenza di documentazione in ordine alle modalità ed efficacia dei controlli da parte della Prefettura allorché, a seguito di verifiche si poteva appurare come la Quadrifoglio, unitamente ad altre ditte subfornitrici, non presentava alla stazione appaltante ed all’ente gestore fatture dal 2011». E «anche qui contravvenendo ad un preciso obbligo contrattuale e normativo». Norme che prevedono la sospensione dei pagamenti in caso di mancata trasmissione delle fatture. Ma queste non sono mai arrivate mentre i pagamenti non si sono mai interrotti. Materia sicuramente per l’ispezione all’opera da ieri.

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fonte: Avvenire

‘Ndrangheta, arrestato il super latitante Rocco Barbaro: gestiva il traffico di coca in Lombardia

Era latitante dal 2015, anno in era sfuggito all’arresto per associazione mafiosa.

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I carabinieri del Gruppo di Locri hanno arrestato a Platì il latitante Rocco Barbaro, di cinquantadue anni, considerato elemento di vertice dell’omonima cosca della ‘ndrangheta e già proposto per l’inserimento nell’elenco dei trenta latitanti più pericolosi.

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Si pente Nicola Femia, boss della ‘ndrangheta che minacciò giornalista Tizian

L’uomo che minacciò di ammazzare il giornalista Giovanni Tizian ha deciso di raccontare tutti i suoi segreti ai magistrati dell’Antimafia

di Francesco Dondi

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REGGIO EMILIA. Era il 16 febbraio scorso, la stangata della sentenza “Black Monkey”, che certificava l’associazione mafiosa nel business delle slot machine gestito da Nicola Rocco Femia, doveva ancora arrivare, ma il boss aveva deciso di passare dalla parte dei buoni.

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‘Ndrangheta, Gratteri ai giovani di San Luca: “Basta vittimismo”

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SAN LUCA. “Basta vittimismo”. È un messaggio forte quello che il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha lanciato ai giovani di San Luca, nell’Aula Magna dell’Istituto Comprensivo “San Luca-Bovalino”, dove si è svolto il convegno “In Campo per il futuro”, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in collaborazione con la Prefettura, il Consiglio Superiore della Magistratura e il Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Sicilia e Calabria.

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Non archiviate l’inchiesta sull’omicidio di Attilio Manca!

Appello della famiglia Manca al Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, al Procuratore aggiunto Michele Prestipino e al sostituto procuratore Maria Cristina Palaia

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Non archiviate l’inchiesta sulla morte di Attilio Manca!
E’ questo l’appello al Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, al Procuratore aggiunto Michele Prestipino e al sostituto procuratore Maria Cristina Palaia da parte della famiglia del giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), trovato morto a Viterbo il 12 febbraio 2004.

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La figlia del boss si è uccisa perché odiava il mondo della ‘ndrangheta

Desiderava essere una donna normale. La sua è una storia comune negli ambienti dove mafia, camorra e ‘ndrangheta dettano legge

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Maria Rita Logiudice il giorno della sua laurea

di Paolo Salvatore Orrù
Si è uccisa, perché non riusciva più a sopportare un cognome troppo famoso. Un cognome che i calabresi (e non solo) legano a estorsioni, usura, omicidi, donne uccise o sparite nel nulla.

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Con i familiari delle vittime della ‘Ndrangheta, per ricordare e amare

Reportage da Locri per la “XXII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”

di Annarita La Barbera

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Foto di Gigi Romano

25 Mar 2017
Scrivere questo articolo dopo aver marciato accanto ai familiari delle vittime delle mafie, ‘ndrangheta e anonima sequestri calabrese, può diventare molto difficile per chi è cresciuta a Bovalino. Ma in questa Via Crucis del dolore non richiesto né meritato siamo tutti chiamati a sostenere il peso della loro sofferenza e del diritto di giustizia

Un 21 marzo intenso quello vissuto a Locri per la “XXII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, organizzata dall’Associazione “Libera” di Don Luigi Ciotti.

Oltre 25 mila persone, provenienti da tutta Italia, hanno marciato per le strade locresi per dire “Basta”.

Ho camminato anch’io con i familiari delle vittime, da calabrese, prima ancora che da giornalista. Ho avuto modo di guardare molte facce quel giorno, ho incrociato sguardi e ho provato a immedesimarmi in chi era lì in ricordo di un proprio caro.

Molte sono le storie che mi sono state raccontate, i nomi pronunciati: una lista infinita. Quasi 900 vite spezzate da mani non timorose di Dio. Ho avuto modo di conoscere tanti genitori i cui figli sono stati assassinati per opera della criminalità organizzata. Ognuno di loro mostrava l’immagine del proprio parente, ammazzato senza un perché.

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Foto Gigi Romano

Ho ascoltato il racconto della madre di Celestino Fava, un ragazzo trucidato a Palizzi ( R.C.) nel 1996, a soli 22 anni, poiché testimone oculare di un altro omicidio.

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Foto di Gigi Romano

Ho parlato con Mario Congiusta, padre di Gianluca, trentenne ucciso a Siderno (R.C.) nel maggio del 2005.

Il suo sangue urla ancora giustizia: per un vuoto normativo l’assassino è rimasto impunito. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno infatti statuito l’inutilizzabilità processuale, come fonte di prova, dell’intercettazione della corrispondenza epistolare di un detenuto- che inchioderebbe l’assassino- non essendovi una disposizione di legge che lo consenta. In questo caso, a seguito di tale vuoto normativo, risulterebbe necessario l’intervento del legislatore.

Mario Congiusta, in merito alla questione, ha persino scritto una lettera aperta al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando.

“Non l’ho fatto per me- mi ha detto- ma per coloro che in futuro potrebbero trovarsi nella mia stessa situazione”. Ho chiesto se avesse ricevuto risposta dal Ministro, ma purtroppo la delusione dell’uomo è stata subito visibile e con un filo di voce ha dichiarato: “non mi sono arreso davanti alla ‘ndrangheta e sembra che adesso lo debba fare di fronte alla politica”.

Tra i partecipanti della giornata ho incontrato anche una donna che conoscevo sin dall’infanzia, la signora Mimma, moglie di Lollò Cartisano. Lollò era un fotografo molto stimato al mio paese, Bovalino. Il suo nome è divenuto tristemente noto perché è stato l’ultimo innocente sequestrato, nel lontano 1993, dall’Anonima aspromontana. Non ha più fatto ritorno a casa da allora.

Vedere la signora Mimma con la figlia Deborah, lì presenti, è stata un’emozione non da poco. Per un bovalinese parlare del sequestro e della fine di Lollò è come mettere il dito in una piaga ancora sanguinante, che non credo riuscirà a rimarginarsi. Ricordo ancora quando in paese circolò la notizia del suo sequestro e lo sgomento di tutti. All’epoca ero una bambina di 9 anni.

Cartisano fu sequestrato in una calda serata di luglio mentre si accingeva a ritornare con la moglie a casa. Fu aggredito e caricato assieme a quest’ultima su un’auto. La consorte fu ritrovata, diverse ore dopo, legata ad un albero lungo la strada che porta in Aspromonte, mentre di lui si persero le tracce. Il sequestro fu compiuto per punire il fotografo poiché aveva osato, negli anni ’80, sfidare la ‘ndrangheta: si era, infatti, opposto alla richiesta di pagare il pizzo e aveva fatto arrestare i suoi estorsori. Nonostante gli appelli da parte della famiglia e il pagamento di un riscatto, non fu mai liberato.

I resti mortali sono stati ritrovati soltanto nel 2003, a seguito di una lettera anonima inviata da parte di uno dei carcerieri alla famiglia. L’autore della lettera, dichiarandosi pentito e invocando il perdono, aveva indicato il posto dove era stato seppellito il cadavere.

Sono riuscita ad avvicinarmi alla signora Mimma soltanto a fine giornata. L’ho vista stanca e assorta tra i suoi pensieri. Nei suoi occhi ho letto un profondo dolore, dignitoso e composto. In silenzio,si guardava attorno. Con lei ho scambiato qualche parola.

“E’ stata una giornata bellissima, ma carica di forti emozioni”, mi ha detto. E ha aggiunto, riferendosi al rapimento del marito: “Quando ci sono eventi come quello di oggi, non sembra siano passati 23 anni e il dolore che vivi è più forte di quello che hai provato fino a ieri”.

Mi sono commossa alle sue parole, provando a non darlo a vedere.
La donna mi ha raccontato, poi, del sostegno ricevuto da parte dell’Associazione Libera e di Don Ciotti: “Libera ha fatto tanto per noi, dandoci un grande appoggio morale. Mia figlia Deborah è la referente di Libera per la Locride, ne fa parte da più di 20 anni”. Continuando: “Tutti noi familiari delle vittime, che abbiamo deciso di combattere assieme a Don Ciotti per la legalità, ci sentiamo parenti: non ci lega il sangue, ma la sofferenza che viviamo nel nostro intimo. Quando siamo insieme lo strazio si sente di meno. Siamo ormai una vera e unica famiglia”.

Nell’ascoltarla, ho pensato a quanta forza ci voglia per sostenere dispiaceri simili e andare avanti. Gliel’ho fatto anche notare.

“Sono sofferenze difficilmente comprensibili per chi non le vive, perché perdere un proprio caro in questo modo è brutale, molto di più di quando a portartelo via è una malattia: di fronte ad una malattia non puoi fare nulla, ma in casi come quello di mio marito ti chiedi semplicemente ‘perché?’ e non riesci ad accettarlo”, mi ha risposto.
“Non si riuscirà mai ad accettarlo, probabilmente”, ho aggiunto io. “Già”, ha annuito lei, alzando gli occhi al cielo.

L’ho salutata, andando via con una consapevolezza diversa. Dopo questa esperienza, ho compreso che in questa Via Crucis del dolore che avvolge i familiari delle vittime – dolore non richiesto né meritato – siamo tutti chiamati a sostenere il peso della sofferenza che ognuno di loro porta sulle spalle. Abbiamo un debito verso questi uomini e queste donne: un debito che possiamo scontare soltanto abbracciando la strada della legalità. Abbiamo il dovere morale di non lasciarli soli nella loro richiesta di giustizia. La primavera deve iniziare dalle coscienze.

Come mi è stato detto da una madre a cui è stato strappato il figlio: “Tre cose ci uniscono: il ricordo, l’amore, la preghiera”.
Fonte:

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Annarita La barbera

Annarita La Barbera
Calabrese di nascita, ma di sangue siculo. Laureata in Scienze giuridiche. Ho iniziato a scrivere a 20 anni per il giornale politico “Nuova Calabria”. Sono stata corrispondente della Locride per diverso tempo per Il Quotidiano della Calabria e per Calabriainforma. Mi sono occupata soprattutto in merito ai casi di commissioni di accesso antimafia e sugli sbarchi dei clandestini avvenuti sulle coste Joniche, oltre alla cronaca locale.

Il 21 marzo di impegno nel carcere di Opera

Manuela D’Alessandro il 25 marzo 2017. Lombardia

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C’è il silenzio denso e la ritualità assorta delle cerimonie mistiche. Stanno in coda, stringendo il foglio con la lista. Uno a uno, chi con voce tenue, chi spavalda, si avvicinano al leggio in ferro e pronunciano con cura i nomi, ripetendoli quando inciampano nel pronunciarli.

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