Preso in Calabria il boss Fazzalari (e la storia della testa mozzata al rivale)

Preso in Calabria il boss Fazzalari (e la storia della testa mozzata al rivale)

L’uomo è il secondo dei ricercati dopo Messina Denaro

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Roma, 26 giu. (askanews) – Il boss latitante Ernesto Fazzalari è stato preso nelle prime ore del giorno a Molochio, una frazione di Monte Trepitò, in provincia di Reggio Calabria dai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale. In una nota si ricorda che l’arresto è stato eseguito in base ad un ordine di carcerazione ed una condanna all’ergastolo per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, porto e detenzione illegale di armi. Fazzalari è il secondo dei ricercati per importanza e pericolosità dopo Matteo Messina Denaro.

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Impronte e Ombre incontra Mario Congiusta

Impronte e Ombre incontra Mario Congiusta

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Il 14 maggio arriviamo a Bovalino ed è un sabato di sole. L’appuntamento con il Signor Congiusta è fuori della stazione. Appena lo vediamo arrivare, alle 10.00 in punto, pensiamo inevitabilmente che se i treni da quelle parti avessero la sua puntualità, ci sentiremmo in Svizzera. Il suo stile impeccabile, quando scende dall’auto, fa pensare invece a un gentleman inglese, discreto e presente, asciutto e attento.

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Crimine, ecco il verdetto della Cassazione

Crimine, ecco il verdetto della Cassazione

Tiene l’impianto generale del procedimento scaturito dall’inchiesta sull’unitarietà della ‘ndrangheta. Undici nuove assoluzioni, diverse riduzioni di pena, una decina di annullamenti e molte conferme

cassazione

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

Undici nuove assoluzioni, diverse riduzioni di pena, tutti senza rinvio, una decina di annullamenti e molte conferme.

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FAVARA Tre strade intitolate a vittime di mafia

FAVARA Tre strade intitolate a vittime di mafia

 

Tre strade di Favara, da oggi saranno intitolate ad altrettante vittime della mafia. Si tratta di Emanuela Loi, caduta nell’agguato al giudice Borsellino, di Filippo Gebbia, coinvolto nella prima strage di Porto Empedocle, e del favarese Antonio Valenti, assassinato nel 1984 in un impianto di calcestruzzi in territorio empedoclino. Con le autorità, saranno presenti i familiari delle Vittime.

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Tre strade di Favara, da oggi saranno intitolate ad altrettante vittime della mafia.

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Libera-Intitolazione strada a Gianluca Congiusta

Libera-Intitolazione strada a Gianluca Congiusta

Bandiera libera

Il coordinamento Libera Locride e l’associazione Cambi@menti, in tutte le sue componenti, esprimono viva soddisfazione per la recente delibera della Prefettura di Reggio Calabria che ha autorizzato l’intitolazione di una strada di Siderno a Gianluca Congiusta, il giovane imprenditore ucciso dalla ‘ndrangheta il 24 maggio del 2005.

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Omicidio Congiusta: Cosa succede a Siderno? – Ciavula

Omicidio Congiusta: Cosa succede a Siderno? – Ciavula

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Autore: giovanni maiolo

Notizia tratta da: http://ciavula.it/2016/05/omicidio-congiusta-cosa-succede-siderno/

Tra due giorni saranno undici anni da quando la giovane vita di Gianluca Congiusta venne spezzata dalla barbara e infame violenza mafiosa. Le battaglie di Mario Congiusta per ottenere verità e giustizia hanno portato il caso sulle pagine dei giornali e all’attenzione dell’opinione pubblica. Questa testata sta, senza se e senza ma, dalla parte di Mario e delle sue richieste. E ci sorprende che oggi, nel luogo in cui undici anni fa venne consumato il terribile omicidio, sia comparso uno striscione dalle lettere che grondano sangue e che recita: ” Qui il 24 maggio 2005 non è successo niente”. Che succede? Forse Mario deciderà di riferircelo ma qualcosa puzza. Conoscendo il profondo senso di responsabilità di Mario Congiusta e l’attenzione che ripone in ogni suo gesto pubblico, è facile intuire che qualcosa non quadra. Che deve esserci una motivazione dietro un gesto del genere. Noi siamo qui per sostenerlo.

Notizia tratta da: http://ciavula.it/2016/05/omicidio-congiusta-cosa-succede-siderno/

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Caselli: «Contro Antoci brutto segnale»

Caselli: «Contro Antoci brutto segnale»

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ANTONIO MARIA MIRA
20/05/2016
«L’attentato contro il presidente del Parco dei Nebrodi è stato un pessimo segnale. Poi capiremo se si è trattato di un fatto isolato o l’inizio di una sequenza, ma sicuramente è stato un tentativo di strage». Per Giancarlo Caselli, ex procuratore di Palermo e Torino, nella lotta alle mafie «non possiamo ancora voltare pagina. Non dobbiamo essere pessimisti ma neanche illuderci che non possano succedere fatti di questa gravità. È nelle corde dei mafiosi, purtroppo… ». Per questo «bisogna rimettere le mafie all’ordine del giorno, come repressione ma anche come prevenzione. Se non c’è, la risposta complessiva è debole». Anche nel settore agroalimentare, «un business per i clan da 16 miliardi l’anno in costante aumento», ricorda Caselli che oggi è presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare, promosso da Coldiretti.

È così importante questo affare, da sparare per ammazzare?

L’agroalimentare muove 274 miliardi, occupa 2,5 milioni di persone ed è tra i principali motori dell’economia nazionale. Siccome la filosofia delle mafie è ‘piatto ricco mi ci ficco’, ecco che si possono fare dei bei soldi, tanto più se si gioca con carte truccate.
Come?
In molti segmenti della filiera, tutto comprovato dalle indagini. Dai terreni alle aziende agricole, al trasporto, al controllo dei grandi mercati, alla grande distribuzione, alla vendita al dettaglio, alle aziende agrituristiche, alla ristorazione. E ancora l’aggressione parassitaria dell’infame pratica dei prestiti ad usura che svuotano l’azienda per poi impadronirsi del guscio per pochi soldi. Poi c’è il corollario del ricorso ai meccanismi complessi – ma loro sanno bene come districarsi – che danno accesso ai finanziamenti europei e alle altre risorse pubbliche. E siccome i loro strumenti di ‘lavoro’ sono corruzione e al limite la violenza, ecco che questi meccanismi si piegano a loro vantaggio. Infine, mettendo le mani sul comparto, affermano il proprio controllo sul territorio.
Questo giustifica tornare a sparare contro una figura istituzionale?
Le mafie capitalizzano la violenza come strumento per ottenere risultati economici attraverso attività illecite. Ma la violenza può anche solo essere minacciata come dice la Cassazione in un troncone del processo ‘Minotauro’, del 23 marzo 2015. La mafia è un sodalizio criminale che adopera il metodo mafioso anche in forma silente, cioè senza ricorrere a forme eclatanti, ma avvalendosi di quella forma di intimidazione, per certi aspetti ancora più temibile, che deriva, afferma, dal «non detto, dall’accennato, dal sussurrato, dall’evocazione di una potenza criminale cui si ritenga vano resistere». «Basta la parola », come diceva una vecchia pubblicità. Non c’è bisogno di prendere a pugni qualcuno. Ma quando la posta in gioco è di rilevanza tale, pur di conseguirla torna la violenza.
Sembra il caso dell’attentato al presidente del Parco dei Nebrodi.
Esatto. Se uno mette i bastoni tra le ruote a un business colossale come questo non conviene più alla mafia restare sotto traccia. Esce allo scoperto anche puntando a una strage.
L’iniziativa di Antoci aveva fatto emergere una grande quantità di aziende collegate alla mafia.
La zona grigia si allarga sempre più. Coi mafiosi fanno affari in tanti perché conviene. Pecunia non olet.
Mafia antica e moderna, come questa dei Nebrodi che non disdegna l’abigeato ma poi è capace di intercettare i fondi europei.
Le mafie oggi sono un intreccio di antico e di moderno. Sono capaci di usare tutti gli strumenti della modernità, sono un network globale. Nascono dal latifondo nelle campagne e ci tornano attraverso le agromafie.
Questa vicenda dimostra quanto sia importante intervenire in sede di buona amministrazione. Quando arrivano le inchieste spesso è tardi.
Non c’è dubbio. Nell’agroalimentare per tutelare l’interesse del consumatore, la sua salute e il regolare funzionamento dell’economia pulita, l’intervento fondamentale è il ‘principio di precauzione’. Non intervenire solo ‘a babbo morto’ quando il danno è fatto ma cercare di prevenirlo. Non bisogna delegare tutto l’intervento alle forze dell’ordine. Bisogna studiarle prima le cose, capirle e intervenire. Tocca alla po-litica, all’economia, all’amministrazione, all’informazione. Bisogna intervenire in maniera determinata tutti quanti insieme perché queste cose rischiano di fare a brandelli il senso morale della comunità del nostro Paese. Ci deve essere un lavoro di squadra, che non si cerchi di chiudere la stalla soltanto quando i buoi sono scappati e poliziotti, carabinieri e magistrati ne hanno recuperato qualcuno. Un’economia controllata in maniera massiccia dalla mafia è un’economia che pensa solo agli interessi mafiosi e non a quelli generali.
Quello contro Antoci non è l’unico episodio di attacco mafioso a chi tutela l’ambiente. Abbiamo avuto varie minacce, ad esempio, ai presidenti dei Parchi nazionali del Pollino e dell’Aspromonte in Calabria.
Tutelare l’ambiente vuol dire anche fronteggiare adeguatamente la mafia. L’enciclica ‘Laudato sì’’ dice chiaramente che vanno difesi i beni comuni. I parametri mafiosi considerano invece questi beni come qualcosa che deve solo fruttare un profitto per sé.
Ci vuole più attenzione alle mafie? Il tema non sembra al centro dell’agenda politica.
Sta passando la tendenza a delegare tutto a forze dell’ordine e magistratura. Non è la strada giusta. Deve esserci l’antimafia della cultura, compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, dell’informazione. E poi l’antimafia sociale, dei diritti e soprattutto il buon governo, che incida sulle radici delle organizzazioni criminali.
fonte: avvenire