L’inferno vuoto delle donne in fuga dalla ’ndrangheta

Non hanno mai commesso reati, non possono essere pentite e nemmeno testimoni di giustizia. Una di loro si racconta: «Vivo nel limbo: niente auto, gite per i figli, viaggi»

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Dopo la stagione dei pentiti ora un spunta un nuovo fenomeno: quello delle donne che abbandonano le famiglie per risparmiare ai figli maschi il carcere o la bara

niccolò zancan
inviato a bologna

«La mia colpa è di essere nata in quel luogo».

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Polsi- Quel santuario che non è della ‘ndrangheta

’Ndrangheta con il rosario in mano, addio.

Mons-OLIVA

di Michele Cucuzza

Il santuario della Madonna di Polsi, dove i boss facevano i summit tristemente famosi grazie alle immagini dell’indagine ‘Crimine’, non è più cosa loro. Lo annuncia il vescovo di Locri e Gerace, mons. Francesco Oliva: telecamere dappertutto, controlli sull’identità dei pellegrini che vogliono soggiornare nei paraggi del luogo sacro nell’Aspromonte e, al posto della statua della Vergine cui i capi delle ‘ndrine fingevano devozione per mercanteggiare intanto delitti e strategie criminali, dall’8 ottobre farà da monito il busto di don Giuseppe Giovinazzo, prete antimafia assassinato dai sicari delle ‘ndrine proprio lì, il primo giugno 1989. L’effige di tufo della madre di Gesù sarà ricollocata in una posizione più interna, a disposizione di chi vorrà invocarla sul serio e non servirsene come copertura. A porre fine a uno scandalo che durava da troppi anni un uomo minuto, dalla voce pacata, che non la manda a dire: ‘la ‘ndrangheta non può appropriarsi della simbologia religiosa’ ammonisce mons. Oliva. ‘Mi ha dato sempre fastidio questo abbinamento tra santuario di Polsi e mafia’ afferma il Vescovo, ‘ma è inutile negare che la presenza pervasiva delle ‘ndrine da quelle parti è stata sempre forte: i mafiosi ne hanno fatto un loro simbolo. Questo luogo deve tornare ad essere un punto di riferimento esclusivamente spirituale, come lo è già a livello popolare, per tutta la gente che affronta il disagio di un viaggio difficile tra strade dissestate e sentieri malmessi per vivere momenti di preghiera nel cuore della spiritualità mariana del meridione. E’ mio dovere tutelare la sacralità di questo luogo sottolineando che anche la Chiesa ha pagato con il sangue la sfrontatezza della ‘ndrangheta: accanto al busto in memoria di don Giovinazzo nell’anfiteatro del santuario, dall’8 ottobre una lapide ricorderà che quel sacerdote è stato assassinato da ‘disonorata mano mafiosa’. La statua della Madonna sarà ricollocata in un luogo interno, più dignitoso: la ‘ndrangheta non può usare i simboli religiosi per attrarre consensi . Nelle mani delle cosche quei simboli non hanno nessun significato religioso, è solo strumentalizzazione di una devozione spontanea, popolare. A meno che i mafiosi non depongano le armi e si pentano’.
I segnali del cambiamento sono concreti, dalla videosorveglianza dell’area alla registrazione come negli alberghi dei pellegrini che vorranno soggiornare nelle strutture di accoglienza del santuario, al concorso sulla legalità che ha coinvolto migliaia di studenti della Locride e che sarà ripetuto ogni anno. Iniziative che fanno seguito alle dimissioni di don Pino Strangio, rettore per più di 20 anni del santuario, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa , sostituito dal vescovo con don Antonio Saraco, parroco di Ardore. La Chiesa fa pulizia, adesso tocca allo stato, ecco l’appello di Mons. Oliva: ‘Occorrerà un esame di coscienza per capire il perché di questa facile conquista di Polsi da parte della ‘ndrangheta. Intanto, subito, bisogna liberarlo dall’ isolamento fisico che ha favorito la criminalità, che notoriamente vuole conquistare i territori, a prezzo di sangue, faide, sottosviluppo: l’illegalità ferma lo sviluppo. Le istituzioni diano a Polsi una strada dignitosa e sicura: ancora l’altro giorno una donna è morta in macchina, in fondo a un burrone. L’attesa è diventata insopportabile, nessuno può più dire: non sapevo’.

Fonte:Corriere dell’Umbria

‘Ndrangheta, uccise la madre per una “relazione segreta”, ora la condanna

Aveva chiesto perdono al figlio, dopo che quest’ultimo aveva scoperto la sua relazione nascosta. Ma lui non ha voluto sentire ragioni, e l’ha uccisa. Per questo Francesco Barone è stato condannato all’ergastolo.

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 Secondo i giudici della Corte d’Assise di Palmi, il 25enne di Rosarno ha ucciso la madre Francesca Bellocco, figlia del defunto boss di ‘ndrangheta Pietro, perché la donna aveva una storia extraconiugale con Domenico Cacciola, anch’egli scomparso e mai più ritrovato.
I giudici hanno accolto la richiesta formulata dalla pubblica accusa rappresentata dal pm Adriana Sciglio. La vittima è scomparsa nell’agosto del 2013, quando aveva 43 anni, e il suo corpo non è mai stato ritrovato. L’omicidio sarebbe stato commesso il 18 agosto di quello stesso anno, dopo che Barone, che allora aveva appena 21 anni, aveva scoperto la madre insieme a Cacciola, ritenuto ai vertici dell’omonima cosca federata ai Bellocco. Nonostante questo i due avrebbero comunque continuato vedersi, suscitando poi la reazione estrema del giovane.

Fondamentale ai fini delle indagini è stata la testimonianza di un vigile urbano che, dopo qualche tempo, ha raccontato di aver sentito delle grida, la notte in cui la donna scomparve, e le sue insistenti richieste di perdono. Il testimone ha raccontato di aver visto tre uomini incappucciati arrivare a bordo di un’auto in casa Bellocco. Poi, dopo le urla (“Pirdunatimi”), il figlio uscito con una Fiat Panda. Il 21enne avrebbe denunciato la scomparsa della madre solo tre giorni dopo. Tutti questi elementi, insieme alle dichiarazioni della testimone di giustizia Giuseppina Multari, hanno convinto i giudici a ritenere l’uomo responsabile, in concorso con altri soggetti, dei reati di omicidio della madre e occultamento del suo cadavere, detenzione e porto di armi comuni da sparo, commessi con metodo mafioso, e al fine di agevolare la potente cosca Bellocco di Rosarno.

‘Ndrangheta, la vita isolata del magistrato in Calabria De Raho: «Impossibile avere rapporti in questa terra»

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REGGIO CALABRIA – «Questo è un territorio nel quale non si possono avere rapporti con altre persone. Perché quello che caratterizza la ‘ndrangheta è la sua capacità di confusione, d’infiltrazione e inquinamento dei vari settori: economico, politico e sociale. Quindi bisogna vivere sempre da soli». L’immagine forte della Calabria è quella offerta dal procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, in un’intervista a Tg2000, il telegiornale di Tv2000.

La realtà che emerge è quella di una terra difficile, in cui separare il “buono” dal “cattivo” diventa difficile, quasi impossibile. Infatti, il procuratore De Raho evidenzia questo confine molto complesso: «Non si ha mai la certezza – ha detto – di parlare con l’antimafia o con persone che hanno preso una posizione ferma contro la ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta per essere battuta necessita di esponenti delle istituzioni che adottino anche un codice etico che riporti alla rinuncia a tutti i rapporti esterni che non siano quelli strettamente istituzionali. Prima giocavo a tennis, oggi non lo posso più fare perché anche quello determina entrare in un circolo, avere rapporti con persone. Cosa penserebbe il cittadino se mi vedesse insieme a persone che io reputo perbene, ma che invece hanno rapporti che io ignoro. Penserebbero tutti ad una Procura inaffidabile».

Nel contrasto all’ndrangheta, ha proseguito de Raho, «non mi sento solo. Nell’ambito delle istituzioni i vertici sono rappresentati da uomini di altissimo spessore etico e di una straordinaria professionalità: il Prefetto, il Comandante provinciale dei Carabinieri, il Questore, il Comandante della Guardia di finanza. Persone con le quali si riesce a condividere un’impostazione strategica nel contrasto alla ‘ndrangheta. Una volta non c’erano denuncianti, oggi invece le vittime di estorsione a volte denunciano. E questo è un passo enorme se si tiene conto che la ‘ndrangheta controlla tutto. Nella città di Reggio Calabria anche per pitturare una parete è necessario chiamare l’impresa che è autorizzata a lavorare in quell’edificio. Oggi invece ci sono cittadini che credono che questo sistema criminale può essere cambiato e che l’azione dello Stato è costante, seria e forte. Alcune persone si presentano spontaneamente per riferire di estorsioni subìte da anni. Questa è la dimostrazione di una società che sta cambiando».

fonte: Il Quotidiano del Sud

Sprar: «A Riace l’accoglienza non è a rischio»

“Sono stati fatti dei rilievi gestionali su cui il Comune può lavorare per sistemare le cose”, spiega il Servizio centrale del Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati. “

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di Daniele Biella

I nostri controlli puntano a migliorare qualitativamente l’offerta e la segnalazione di eventuali irregolarità va in quella direzione”. Ridimensionati quindi i timori del sindaco del paesino calabrese che accoglie migranti dalla fine del secolo scorso.

“Al modello di accoglienza del Comune di Riace sono stati contestati dei rilievi su cui l’amministrazione comunale può operare per sistemare le cose. Non c’è alcuna intenzione da parte del ministero di fare terminare l’esperienza in atto, che tra l’altro è una delle più longeve d’Italia”. E’ una risposta importante quella che il Servizio centrale dello Sprar (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, organo facente capo al ministero dell’Interno) fornisce tramite Vita.it proprio nei giorni in cui si sta diffondendo ampiamente un appello, sottoscritto da varie personalità e migliaia di cittadini, che chiede di salvaguardare il “modello Riace” – le specificità del progetto di accoglienza del comune calabrese – su cui anche Papa Francesco aveva speso parole di apprezzamento.

“Il problema quindi è tecnico”, fa sapere il Servizio centrale. Potrà tirare un sospiro di sollievo Domenico Lucano, sindaco di Riace che aveva preannunciato le dimissioni in caso di chiusura dell’esperienza. Quello che lo Sprar gli chiede è, quindi, di tenere conto dei rilievi fatti e porre le necessarie modifiche per continuare nella direzione intrapresa.

Il Servizio centrale “come per ciascuna amministrazione comunale aderente allo Sprar, intende fornire il massimo supporto al progetto di Riace, condividendo il percorso avviato da anni. Quelli in atto sono rilievi ordinari, nell’ottica di un servizio sempre migliore a livello qualitativo”.

fonte: VITA.it

Io sto con Riace- Appello al Governo Italiano-Raccolta firme

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Al Governo Italiano/ Ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria.

L’anno 2017 non verrà ricordato solo come un anno dove il meteo ha toccato temperature massime, sarà ricordato (dalle tante persone, associazioni, cooperative ecc che hanno potuto conoscere in questi anni l’esperienza di Riace), anche come un anno di passaggio importante per la possibile continuità del progetto di accoglienza.

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Riace in festival-Edizione 2017- Premio “Gianluca Congiusta”-Tutto il programma

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Inaugurazione Festival

Giovedi 3 Agosto

Anfiteatro di Riace Superiore ore 18

Domenico Lucano sindaco di Riace e Peppino Mazzotta

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Incontro fra operatori: Miserie e Nobiltà: viaggio nei progetti di accoglienza

Alberto Mossino – Piam onlus Asti

Viola De Andrade Piroli – Baobab Roma

Davide Grilletto, Arci Reggio Calabria

Emilio Sirianni, Magistrato

Coordina Giovanni Maiolo progetto Sprar Gioiosa

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Al via oggi il campo di E!state Liberi a Gioiosa, campo di volontariato e formazione sui beni confiscati alle mafie.

Da anni l’associazione Don Milani – Onlus in collaborazione con Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie, offre la possibilità a ragazzi e ragazze provenienti da tutta Italia di essere protagonisti del cambiamento che vorremmo vivere sui nostri territori e testimoni del riscatto sociale per il quale fortemente ci battiamo.

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