LA ‘NDRANGHETA SI FA FORTE ANCHE DELLE STRETTE DI MANO di GIUSEPPE PIGNATONE

LA ‘NDRANGHETA SI FA FORTE ANCHE DELLE STRETTE DI MANO

di GIUSEPPE PIGNATONE


Un anno fa, a Reggio, migliaia di persone hanno sfilato per le vie della città esprimendo la loro solidarietà  ai magistrati e alle altre vittime delle violenze e delle minacce gravissime dei mesi precedenti e gridando il loro NO alla ‘ndrangheta; hanno dato così voce e presenza alla stragrande maggioranza dei calabresi e hanno combattuto quello che per Martin Luther King è il maggior pericolo per la democrazia: il silenzio degli onesti.

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Giuseppina Pesce rientra tra i collaboratori.Le ‘ndrine tremano

Giuseppina Pesce rientra tra i collaboratori.Le ‘ndrine tremano

Giuseppina Pesce rientra tra i collaboratori.Le ‘ndrine tremano

Giuseppina Pesce, anello debole della cosca dei Pesce che agisce nella piana di Gioia Tauro, diventa teste chiave in diversi processi d’ndrangeta.

La donna è nata nel 1980 e si è già pentita due volte, attualmente era agli arresti domiciliari per evasione . Giuseppina è figlia del boss detenuto Salvatore Pesce dell’omonima cosca della ‘ndrangheta che insieme ai Bellocco si divide il dominio del territorio di Rosarno.

 

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Giuseppina Pesce rientra tra i collaboratori.Le ‘ndrine tremano

Giuseppina Pesce rientra tra i collaboratori.Le ‘ndrine tremano

Giuseppina Pesce rientra tra i collaboratori.Le ‘ndrine tremano

Giuseppina Pesce, anello debole della cosca dei Pesce che agisce nella piana di Gioia Tauro, diventa teste chiave in diversi processi d’ndrangeta.

La donna è nata nel 1980 e si è già pentita due volte, attualmente era agli arresti domiciliari per evasione . Giuseppina è figlia del boss detenuto Salvatore Pesce dell’omonima cosca della ‘ndrangheta che insieme ai Bellocco si divide il dominio del territorio di Rosarno.

 

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Il metano era un affare di famiglia. Blitz a San Luca, sette arresti

Il metano era un affare di famiglia. Blitz a San Luca, sette arresti

E’ in corso da stamani l’operazione “Metano a San Luca”, durante la quale i carabinieri di Reggio Calabria hanno effettuato sette fermi di indiziato di delitto, emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nei confronti di altrettante persone ritenute affiliate alla cosca della ‘ndrangheta dei Mammoliti, alias fischiante, di San Luca.

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‘Ndrangheta, Antonio Pelle evade dall’ospedale di Locri

‘Ndrangheta, Antonio Pelle evade dall’ospedale di Locri

Era stato scarcerato ad aprile per motivi di salute. Tassone (udc): «episodio gravissimo non era sorvegliato»

Antonio Pelle (Emblema)
Antonio Pelle

REGGIO CALABRIA – Antonio Pelle, 49 anni, soprannominato «Vancheddu» o «la mamma» ritenuto uno degli esponenti di spicco della cosca omonima di San Luca, è evaso dall’ospedale di Locri. L’evasione è avvenuta nel pomeriggio di mercoledì Quando i medici si sono recati nella sua stanza si sono accorti che non c’era e che non era presente neanche in altri locali dell’ospedale. Pelle aveva ottenuto gli arresti domiciliari per gravi motivi di salute nell’aprile scorso su decisione della Corte d’appello di Reggio Calabria. Cinque giorni fa, l’uomo ha avuto un malore ed è stato portato al pronto soccorso dell’ospedale di Locri dove è stato ricoverato.

 

 

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Vincenzo Cordì da ieri è un uomo libero

Vincenzo Cordì da ieri è un uomo libero

Vincenzo Cordì da ieri è un uomo libero

Ha lasciato la casa circondariale di Terni dove ha scontato 12 anni, molti in regime di carcere duro – A carico del boss, oggi 54enne, il solo obbligo della sorveglianza speciale

LOCRI – Erano circa le undici di ieri mattina quando Vincenzo Cordì, ritenuto al vertice dell’omonima consorteria di Locri, ha lasciato la casa circondariale di Terni dove ha trascorso gli ultimi anni di detenzione in regime di carcere duro. Nei suoi confronti rimane il solo obbligo della sorveglianza speciale nel comune di Locri per i prossimi tre anni, come disposto dal Tribunale reggino delle misure di prevenzione che, nel 1999, ha rigettato la richiesta della Procura e della Questura, di sequestro di alcuni suoi beni.

Enzo Cordì, 54 anni tra un mese, ha finito di scontare 12 anni di condanna a seguito delle sentenze passate in giudicato dei due processi denominati “Primavera”.

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Vincenzo Cordì da ieri è un uomo libero

Vincenzo Cordì da ieri è un uomo libero

Ha lasciato la casa circondariale di Terni dove ha scontato 12 anni, molti in regime di carcere duro – A carico del boss, oggi 54enne, il solo obbligo della sorveglianza speciale

LOCRI – Erano circa le undici di ieri mattina quando Vincenzo Cordì, ritenuto al vertice dell’omonima consorteria di Locri, ha lasciato la casa circondariale di Terni dove ha trascorso gli ultimi anni di detenzione in regime di carcere duro. Nei suoi confronti rimane il solo obbligo della sorveglianza speciale nel comune di Locri per i prossimi tre anni, come disposto dal Tribunale reggino delle misure di prevenzione che, nel 1999, ha rigettato la richiesta della Procura e della Questura, di sequestro di alcuni suoi beni.

Enzo Cordì, 54 anni tra un mese, ha finito di scontare 12 anni di condanna a seguito delle sentenze passate in giudicato dei due processi denominati “Primavera”.

In “Primavera 1″ Vincenzo Cordì è stato condannato a quasi 10 anni di carcere quale capo promotore della consorteria, mentre in “Primavera 2″ ha preso 5 anni per quelli che sono passati alla cronaca dell’epoca come i “fatti di Locri”, con riferimento al blocco stradale e ferroviario, e al lutto cittadino imposto per il decesso di un giovane avvenuto in un incidente stradale con la scorta di un magistrato. La somma delle due pene era di 15 anni di detenzione.

Cordì sarebbe dovuto quindi uscire nell’aprile del 2014: ha ottenuto la liberazione anticipata grazie a due diversi provvedimenti.

Da ultimo quello emesso dal magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Spoleto, competente per territorio, che nel giugno scorso ha concesso 405 giorni, in accoglimento dell’istanza presentata dall’avvocato Giovanni Taddei, difensore di Cordì, che aveva evidenziato il possibile riconoscimento di ulteriori benefici che, se fossero stati accordati, avrebbero portato alla scarcerazione dell’ormaiex detenuto prima dell’estate.

Con l’operazione Primavera, eseguita il 31 ottobre del 1997 dai carabinieri di Locri, coordinati dalla locale Procura, gli investigatori avevano chiuso il cerchio sulla ripresa della faida di Locri, scoppiata a causa di contrasti in un giro di affari illeciti, che vedeva contrapposti i Cordì ai Cataldo, iniziata con l’eclatante strage di piazza Mercato del 1967, in cui trovò la morte anche Domenico Cordì, padre di Vincenzo.

L’uomo, a fine 2005 fu anche coinvolto nell’operazione “Arcobaleno”, con la quale la Distrettuale antimafia reggina ha fatto luce sull’omicidio di Francesco Fortugno.

Le accuse contro Vincenzo Cordì non riguardavano l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale calabrese, bensì l’ipotesi investigativa di un “timore” da parte del presunto boss che alcuni tra i giovani arrestati, ritenuti “vicini” alla famiglia, potessero pentirsi. Da quella accusa Cordì, difeso dall’avvocato Giovanni Taddei, fu assolto dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, dopo una sentenza di condanna in primo grado a 12 anni.

Sempre il 2005 ha segnato un lutto per Vincenzo Cordì. In quell’orribile anno di cronaca nera, infatti, il 31 maggio fu ucciso, a Siderno, suo fratello Salvatore. Omicidio per il quale è in corso il processo davanti alla Corte d’assise di Locri contro i presunti esecutori materiali e che, per la Dda di Reggio Calabria, ha segnato una ripresa della faida che, sempre secondo i magistrati dell’antimafia, si sarebbe conclusa con una pace approvata dal “ghota” della ‘ndrangheta, come riportato nell’ordinanza custodiale dell’operazione “Locri è Unita” eseguita nel novembre del 2010.

di Rocco Muscari

da gazzettadelsud.it

Il pm antimafia lancia l’allarme La ‘ndrangheta usa i frontalieri

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Il pm antimafia lancia l’allarme
La ‘ndrangheta usa i frontalieri

COMO – Code alla dogana di Ponte Cjhiasso (Foto by Carlo Pozzoni)

COMO Frontalieri appetibili ai clan calabresi. È il pubblico ministero Alessandra Dolci a parlare, nell’udienza preliminare a carico di 119 presunti affiliati alla ‘ndrangheta lombarda: «Si coinvolge un frontaliere perché è fatto notorio che le persone che tutti i giorni vanno a lavorare all’estero, in Svizzera, non vengono controllati in quanto noti alla polizia di frontiera».

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