San Luca. Dopo baciamano al boss il vescovo rinvia le cresime

Antonio Maria Mira mercoledì 7 giugno 2017

La scelta del vescovo Oliva: inchinarsi ai clan rende schiavi., ci si inchina solo per cambiare vita. Nel paese del boss il 21 giugno digiuno e cresime rinviate

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«Inchinarsi al potere umano, e ancor più al potere mafioso, rende schiavi ed uccide la speranza. Torniamo al Signore con una fede autentica che non scende a compromessi col male».

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Milano. Scritta pro aborto sulla chiesa, la reazione del parroco vola sui social

Lettera aperta di don Andrea Bellò sulla pagina Facebook della Parrocchia san Michele Arcangelo e santa Rita, a Milano, è diventata virale.

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Questa è una piccola “brutta” storia ma che sta dando ottimi frutti.
Arriva dalla pagina Facebook della Parrocchia san Michele Arcangelo e santa Rita, in zona Corvetto, periferia sud di Milano. E come tutte le notizie, soprattutto quelle che girano sui social, va verificata.
Al telefono la voce femminile che risponde al numero della parrocchia, appena dici che sei un giornalista, si irrigidisce un po’. E ti liquida con un “il parroco non c’è”.
Sfoderi la voce più pacata che riesci a fare e spieghi: “Volevo soltanto sapere se la storia è vera e se la pagina Facebok della parrocchia è davvero vostra”.
“Sì, è tutto vero. Ma il parroco non c’è”.

Il parroco è don Andrea Bellò, diventato famoso nelle ultime ore, suo malgrado, per un post Facebook che ha firmato e pubblicato sulla pagina della Parrocchia san Michele Arcangelo e santa Rita.
Ottenere 3700 reazioni, 307 commenti e 1590 condivisioni, per una pagina che normalmente registra 15 mi piace, è un record.

A colpire gli utenti è stata la reazione di don Andrea, dopo che il muro della sua parrocchia è stato imbrattato con una scritta offensiva: “Aborto libero (anche per Maria)”.
Il parroco ha deciso di scrivere su Facebook una lettera aperta all’anonimo “imbrattatore”.
Eccola:
«Caro scrittore anonimo di muri,
Mi dispiace che tu non abbia saputo prendere esempio da tua madre. Lei ha avuto coraggio. Ti ha concepito, ha portato avanti la gravidanza e ti ha partorito. Poteva abortirti. Ma non l’ha fatto. Ti ha allevato, ti ha nutrito, ti ha lavato e ti ha vestito. E ora hai una vita e una libertà. Una libertà che stai usando per dirci che sarebbe meglio che anche persone come te non ci dovrebbero essere a questo mondo. Mi dispiace ma non sono d’accordo. E ammiro molto tua mamma perché lei è stata coraggiosa. E lo è tutt’ora, perché, come ogni mamma, è orgogliosa di te, anche se ti comporti male, perché sa che dentro di te c’è del buono che deve solo riuscire a venire fuori. L’aborto è il “non senso” di ogni cosa. È la morte che vince contro la vita. È la paura che vince su un cuore che invece vuole combattere e vivere, non morire. È scegliere chi ha diritto di vivere e chi no, come se fosse un diritto semplice. É un’ideologia che vince su un’umanità a cui si vuole togliere la speranza. Ogni speranza. Io ammiro tutte quelle donne che pur tra mille difficoltà hanno il coraggio di andare avanti. Tu evidentemente di coraggio non ne hai. Visto che sei anonimo. E già che ci siamo vorrei anche dirti che il nostro quartiere è già provato tanti problemi e non abbiamo bisogno di gente che imbratta i muri e che rovina il poco di bello che ci è rimasto. Vuoi dimostrare di essere coraggioso? Migliora il mondo invece di distruggerlo. Ama invece di odiare. Aiuta chi è nella sofferenza a sopportare le sue pene. E dai la vita, invece di toglierla! Questi sono i veri coraggiosi! Per fortuna il nostro quartiere, che tu distruggi, è pieno di gente coraggiosa! Che sa amare anche te, che non sai neanche quello che scrivi!
Io mi firmo:
don Andrea»

Che una Chiesa venga imbrattata da scritte offensive, purtroppo non è una novità. E nemmeno che un parroco usi i social per cercare un dialogo con un aggressore. E non è una novità nemmeno che un sacco di persone plaudano alla sua scelta.
Ciò che è nuovo, anzi rinnovato è il coraggio del gesto di don Andrea. La bellezza di questo gesto. L’esempio di questo gesto.
fonte: Avvenire

‘Ndrangheta, catturato a San Luca il latitante Giuseppe Giorgi. E c’è chi gli bacia le mani

Ricercato dal 1994 era in un bunker sopra il camino della sua abitazione. Era nell’elenco dei cinque ricercati più pericolosi in Italia. Deve scontare una condanna a 28 anni per traffico di droga
di ALESSIA CANDITO

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REGGIO CALABRIA – Dopo 23 anni di latitanza, sono scattate le manette per “U capra” Giuseppe Giorgi, considerato uno dei cinque latitanti più pericolosi d’Italia. Irreperibile dal ’94 e attualmente considerato al vertice della famiglia Romeo “Staccu”, il boss cinquantaseienne è stato arrestato questa mattina a San Luca, dopo quasi sei ore di perquisizione nella storica casa di famiglia, raggiunta e circondata nella notte da centinaia di carabinieri.

A sottolineare il ‘prestigio’ che Giorgi ancora ricopriva nella zona, all’uscita dalla casa dove era nascosto alcuni passanti si erano fermati e gli hanno baciato le mani, come mostra un video esclusivo mandato in onda dal Tg1.

“Avevamo intuito che c’era la possibilità che in questi giorni Giorgi passasse da casa – racconta uno dei militari che ha partecipato all’arresto – Quando le possibilità sono diventate alte probabilità, abbiamo fatto scattare l’operazione”. Un blitz complicato. La casa, un palazzotto a più piani dove abita tutta la famiglia, è nel cuore di San Luca, paese tuttora presidiato da un sistema di vedette dei clan, pronte a segnalare ogni possibile presenza estranea. Per questo, questa notte i carabinieri si sono mossi alla spicciolata, in silenzio, attenti a non farsi scoprire. Dopo aver circondato il palazzo e bloccato le strade limitrofe, attorno alle 3 hanno fatto irruzione.

Arrivati nell’appartamento di una delle figlie, gli investigatori non hanno trovato però traccia del latitante, se non un letto disfatto e ancora caldo. Ma sapevano che il boss era lì, per questo hanno iniziato a perquisire il palazzo palmo a palmo. Prima sono stati perlustrati gli appartamenti, le stanze, le cantine e le soffitte. Poi i carabinieri, planimetrie alla mano, hanno iniziato a controllare anche i muri. Da un vano nascosto sono saltati fuori 157mila euro in banconote di grosso taglio, divisi ordinatamente in buste impermeabili e occultati dietro una parete. Altri erano vuoti.

Giorgi era in bunker sopra il camino di casa a San Luca
Ci sono volute oltre sei ore di operazioni e occhi ormai allenati a scovare covi e nascondigli per individuare il bunker in cui Giorgi si era nascosto. Il rifugio, grande poco più di un loculo, era stato ricavato dietro il camino nella cucina dell’appartamento di una delle figlie del boss. Per accedere al covo, era necessario spostare una botola nascosta alla base da un masso. Da lì si apriva un piccolo tunnel che permetteva di accedere a uno stretto vano in cui il latitante riusciva a stento a stare in piedi. “Giorgi era praticamente murato”, ha spiegato il colonnello Franzese, che ha coordinato l’indagine. Una scomoda e quasi impensabile tana, pensata per salvarsi da un blitz, ma non per lunghe permanenze. E che questa volta non è riuscita a risparmiargli l’arresto.

Quando il meccanismo d’accesso al bunker è stato sbloccato, Giorgi è uscito senza fare resistenza e senza tentare di fuggire. “Prima o poi doveva succedere”, ha detto alle figlie, che abitano in quel palazzo e preoccupate hanno assistito per tutto il tempo alla perquisizione. Poi, rassegnato, si è fatto ammanettare.

Scortato dai carabinieri, il boss è stato portato all’auto che lo ha condotto al comando, di fronte a una folla silenziosa di amici e vicini. Più di uno di loro è riuscito ad avvicinarsi per salutarlo e baciargli le mani. Omaggi che riservano solo ai boss di rango.

 

“Come ogni capo, Giorgi non si è allontanato dalla sua zona – ha spiegato il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho – Andare via significa perdere il potere e nessuno si può permettere di farlo”. Un potere che si misura nel muro di omertà che per oltre due decenni ha protetto la latitanza del boss, catturato solo grazie a un’indagine tecnica, fatta di intercettazioni, osservazione dei familiari, pedinamenti. Anche per scelta. “In quest’operazione non ci sono stati confidenti, noi non vogliamo alcun rapporto con la criminalità. La ‘ndrangheta deve capire che non c’è margine di collaborazione con lo Stato, deve solo deporre le armi”, ha dichiarato il procuratore. “Questa – gli ha fatto eco il comandante provinciale dei carabinieri, Giancarlo Scafuri – è una terra che merita di più. I calabresi meritano di essere più coraggiosi e devono imparare ad avere maggiore fiducia nelle istituzioni”.
Latitante per quasi metà della sua vita, Giorgi deve scontare una condanna a 28 anni e nove mesi per associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e altri reati. Ma questa – ha rivelato in passato il pentito Francesco Fonti – non sarebbe stata l’unica attività cui il boss nel corso della sua vita si sarebbe dedicato. Secondo il collaboratore, Giorgi sarebbe stato coinvolto anche in un traffico di niobio, sostanza utilizzata per costruire reattori nucleari, trasportata dal boss da Budapest alla Sierra Leone. Qualche anno dopo, “U capra” si sarebbe occupato di organizzare l’affondamento di tre “navi dei veleni” – carrette del mare cariche di scorie – al largo delle coste calabresi.
fonte R.it

Mafia, chiesta archiviazione per le minacce di Riina a don Ciotti. Libera: “Erano messaggi fuori dal carcere”

“Ciotti, Ciotti, putissimo pure ammazzarlo”, possiamo pure ammazzarlo, aveva detto il capo dei capi di Cosa nostra il 14 settembre 2013, intercettato all’interno del carcere milanese di Opera. Il sacerdote: “”Non ho paura, sono solo disorientato. Ma il nostro impegno va avanti”

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di F. Q. | 29 maggio 2017

“Non ho paura, sono solo disorientato. Ma il nostro impegno va avanti”.

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24 Maggio 2005-24 Maggio 2017

Sono passati dodici anni, dodici lunghi anni senza Gianluca

Gianluca con giacca a righe

 

” E’ come se, in una operazione chirurgica, asportassero una parte di te, un organo.
Dopo, ti fa male la ferita, ma in questo caso, continua a farti male anche la parte asportata da “un chirurgo” che “operando” non ha provato alcuna emozione…è il suo “lavoro”.
Quella ferita, continuerà a bruciare ogni giorno di più, così come, quell’organo asportato, farà male ogni giorno di più fino alla fine dei tuoi giorni e …forse anche dopo, perchè ogni giorno  sarà il 24 Maggio 2005 “

(da uno scritto di Ucceo Goretti)
 

‘Ndrangheta, inchiesta sul Cara – “Don Scordio ideatore piano criminale”. Cosca Arena e l’appalto per ristorazione Senato

È questa la storia che racconta il gip di Crotone Abigail Mellace nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dopo gli interrogatori di garanzia. Il presidente della Misericordia di Isola Capo Rizzuto Leonardo Sacco e il prete don Edoardo Scordio restano in carcere. E dalle intercettazioni emerge che l’organizzazione stava preparado i documenti necessari per partecipare alle gare per l’aggiudicazione del servizio ristorazione di Palazzo Madama

di Lucio Musolino 

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Il “saccheggio spietato” del Centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto, in mano alla cosca Arena, fu ideato dal parroco della chiesa di Maria Assunta di Isola Capo Rizzuto.

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Crotone, mossa del Viminale. «Ispezione alla Prefettura»

Antonio Maria Mira

Minniti: il Cara? Ferita odiosa per la nostra civiltà. Piano di verifica per tutte le strutture d’accoglienza

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Un’immediata ispezione presso la Prefettura di Crotone. L’ha annunciata il ministro dell’Interno, Marco Minniti, rispondendo ieri al question time alla Camera sull’inchiesta che ha scoperto gli affari della ’ndrangheta sul Cara di Isola di Capo Rizzuto. Una vicenda «odiosa, una ferita per la civiltà del nostro Paese», ha denunciato Minniti annunciando la clamorosa ispezione, una decisione mai vista che conferma le critiche all’operato della Prefettura di Crotone contenute nel decreto della Dda di Catanzaro che ha portato in carcere 68 persone, esponenti del clan Arena, imprenditori, il governatore della Misericordia, Leonardo Sacco e il parroco don Edoardo Scordio, che proprio ieri, nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al Gip, hanno respinto tutte le accuse e giustificato il loro operato dicendo che «la prefettura avallava tutto», dai subappalti alle spese. Mentre i magistrati nel decreto sottolineano più volte la mancanza di documenti e fatture, e anche la forte differenza tra presenze nel Cara e servizi pagati. Ovviamente a tutto vantaggio delle società subappaltatrici, della Misericordia e dello stesso sacerdote.

Un lungo elenco di controlli inefficaci ma anche intercettazioni telefoniche di funzionari della Prefettura che parlano di pressioni e irregolarità per far vincere la Misericordia nella recente gara per il rinnovo dell’affidamento della gestione del centro per rifugiati, dove ieri è salita la tensione, con proteste, tra l’altro, sulla non consegna da mesi del pocket money. Su tutto Minniti vuole vederci chiaro inviando «un apposito nucleo ispettivo, coordinato dal prefetto di Catanzaro, che dovrà concludere i lavori entro 30 giorni». E il prefetto Luisa Latella già ieri pomeriggio era al lavoro. Decisione inedita.

Ma, spiega il ministro, «è inaccettabile che l’accoglienza possa diventare terreno per attività mafiose e corruttive. Saremo fermissimi su questo, secondo il principio che un grande Paese gestisce l’accoglienza rispettando i diritti umani e agendo con la massima trasparenza». In questo senso ha confermato che «è partito nei giorni scorsi un piano di verifica delle strutture di accoglienza, che prevede 2.130 controlli e a marzo è stato predisposto il nuovo capitolato per le gare d’appalto, promosso insieme all’Anac ».

Anche con «l’obiettivo di superare le grandi strutture per i migranti come Mineo e Isola di Capo Rizzuto». I principali accusati si difendono su tutta la linea. «Abbiamo fatto tutto alla luce del sole. È tutto tracciato e ricostruibile e non ci sono appropriazioni di fondi da parte di nessuno» ha detto Leonardo Sacco. E secondo i suoi avvocati «ha escluso qualunque ipotesi di appartenenza e complicità con la criminalità e ha chiarito di aver in- rapporti leciti ed autorizzati con tutti i fornitori». «Mai avuto alcun rapporto con la criminalità organizzata », ha dichiarato anche don Edoardo Scordio, sottolineando anche di essere estraneo alla gestione del Cara. A proposito dei 132mila euro ri- cevuti per svolgere «assistenza spirituale agli immigrati» per conto della Misericordia, il sacerdote ha detto che quei soldi sono serviti per effettuare decine di lavori nella parrocchia.

Ma proprio su questa vicenda i magistrati scoprono più di un’anomalia, che coinvolge anche la Prefettura. «Tali servizi non sono assolutamente previsti e contemplati nell’art. 1 del capitolato d’appalto della convenzione stipulata in data 22.12.2006, di talché il loro affidamento alla Parrocchia deve intendersi illegittimamente dato. Si agtrattenuto giunge come gli stessi siano stati documentati con note di debito emesse dalla Parrocchia Maria Assunta nei confronti della Fraternità di Misericordia di Isola di Capo Rizzuto. Invero, in ordine a tale anomala situazione la Prefettura di Crotone, sulla base degli atti acquisiti, non risulta aver mai chiesto alcun chiarimento alla Fraternità di Misericordia».

Ma c’è anche molto altro. Sacco e i suoi presunti complici «inducevano in errore la Prefettura di Crotone circa il numero dei pasti forniti e dei servizi alla persona resi, ottenendone per tale via una liquidazione maggiore che – nel caso dei pasti contabilizzati per il solo anno 2013 – individua un ingiusto profitto per euro 451.335, così cagionando un conseguente danno economico per l’ente pubblico prefettizio, somma indebitamente liquidata dalla Prefettura di Crotone nell’ambito dell’appalto di servizi, sulla base della contabilizzazione sopra dedotta e sul falso presupposto dell’effettiva fornitura della prestazione dei servizi di ristorazione da parte della società Quadrifoglio. Con la circostanza aggravante dell’avere agito al fine di agevolare le illecite attività consortili della locale di ’ndrangheta».

E ancora, «si poteva riscontrare una ulteriore carenza di documentazione in ordine alle modalità ed efficacia dei controlli da parte della Prefettura allorché, a seguito di verifiche si poteva appurare come la Quadrifoglio, unitamente ad altre ditte subfornitrici, non presentava alla stazione appaltante ed all’ente gestore fatture dal 2011». E «anche qui contravvenendo ad un preciso obbligo contrattuale e normativo». Norme che prevedono la sospensione dei pagamenti in caso di mancata trasmissione delle fatture. Ma queste non sono mai arrivate mentre i pagamenti non si sono mai interrotti. Materia sicuramente per l’ispezione all’opera da ieri.

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fonte: Avvenire