Si pente Nicola Femia, boss della ‘ndrangheta che minacciò giornalista Tizian

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L’uomo che minacciò di ammazzare il giornalista Giovanni Tizian ha deciso di raccontare tutti i suoi segreti ai magistrati dell’Antimafia

di Francesco Dondi

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REGGIO EMILIA. Era il 16 febbraio scorso, la stangata della sentenza “Black Monkey”, che certificava l’associazione mafiosa nel business delle slot machine gestito da Nicola Rocco Femia, doveva ancora arrivare, ma il boss aveva deciso di passare dalla parte dei buoni.

Colpito da una condanna definitiva a 23 anni per narcotraffico, ha chiesto e ottenuto di parlare con i magistrati antimafia della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri e all’aggiunto Vincenzo Luberto. E forse anche per quello, alla lettura della sentenza di primo grado a Bologna, che lo condanna a 26 anni e 10 mesi, Femia non c’era.

Paga il giro criminale sui videopoker, fiumi di denaro che non entra nelle casse dello Stato, ma soltanto dell’organizzazione comandata dal boss. Ma paga anche le minacce a Giovanni Tizian, che sulla Gazzetta di Modena aveva svelato quegli affari loschi.

«Gli faccio sparare in bocca» disse Guido Torello a Femia, mentre criticavano al telefono gli articoli del giornalista, poi finito sotto scorta proprio per quell’assurdo intento.

Che cosa abbia spinto il “padrino” a mettersi a disposizione degli investigatori non è ancora chiaro. Le ipotesi sono tante. «Forse – ipotizzano gli attivisti di www.mafiesottocasa.com – dopo anni di processi e condanne non ne può veramente più, oppure vuole incastrare qualche “concorrente” o “pesce grosso”, o ancora vede la sua famiglia troppo braccata dopo le condanne del primo grado di Black Monkey? Magari nessuno di questi motivi è quello che lo ha spinto, solo, senza il suo avvocato, a iniziare a collaborare con i pm il 16 febbraio. Nicola Femia non sembra un classico boss stereotipato, probabilmente è sempre stato più interessato ai soldi che a quello che loro chiamano “onore”».

Le risposte le si troveranno strada facendo perché gli inquirenti non hanno alcuna intenzione di approcciare in modo morbido la vicenda. Femia si autoaccuserà di crimini che lo riguardano, ma un pentito vero mette sul tavolo tutto ciò che sa. Racconti a cui bisognerà trovare riscontro, ma che se dovessero essere veri squarcerebbero il silenzio che ancora aleggia sulla ’ndrangheta emiliana, sui suoi affari, ma soprattutto su chi la fiancheggia, perché e a quale prezzo.

«Quella del pentimento è una buona notizia – dice Giovanni Tizian – Ora però dica tutto, davvero tutto: dove sono i soldi veri e i nomi dei complici insospettabili, quelli che gli hanno permesso di costruirsi l’impero del gioco legale e illegale».

fonte: Gazzetta di Reggio