La Primavera di Locri: un messaggio di rinascita culturale, etica e civile contro tutte le mafie

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Di Nicola Rombolà • 24 marzo 2017

La Primavera di Locri: un messaggio di rinascita culturale, etica e civile contro tutte le mafie.

Un risultato di straordinaria importanza che è stato costruito dall’impegno e dalla responsabilità che si sono assunti tanti giovani che operano in Libera, per restituire voce e memoria alle vittime delle mafie e per ridare luce ad un percorso condiviso di riscatto, di giustizia e di libertà.

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Verso Locri e da Locri: una nuova pagina nella storia del territorio e della Calabria? “La risposta soffia nel vento” recita il ritornello di una delle canzoni più conosciute di Bob Dylan (Blowin’ in the Wind ), premio Nobel per la Letteratura 2016. Alla luce delle risonanze e delle immagini che si sono impresse negli sguardi e nei pensieri della moltitudine di cittadini (oltre 25 mila) che hanno partecipato alla manifestazione del 21 marzo per ricordare le vittime innocenti delle mafie, potremmo parafrasare che la risposta è “nel vento di Primavera che sta soffiando da Locri”. Il vento dei tantissimi studenti che hanno sfilato lungo i viali della cittadina ionica, il vento dei nomi che sono stati declamati, il vento delle potenti parole pronunciate da don Luigi Ciotti dal palco. Il suo discorso ha sigillato con intensità e passione il percorso cominciato domenica 19, con la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e con la forte risonanza delle sue parole, cariche di inusuale passione e commozione, ma anche di forte denuncia, la cui eco si è dispiegata oltre Locri, la Calabria e l’Italia.

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Non una, ma tante risposte. Una prima risposta emblematica, inequivocabile, l’hanno data i tantissimi giovani di Libera sparsi lungo lo Stivale che si sono ritrovati nella punta estrema, in una terra che da decenni è insanguinata e contaminata. L’altra risposta è dentro la primavera delle loro mani che si sono stagliate in alto capaci di immaginare un destino diverso, facendo tesoro dell’eredità vera, alta, nobile, tersa, luminosa delle vittime uccise dalle mafie. Perché dai loro sguardi è riverberata una nuova luce, una nuova speranza, una nuova coscienza, una nuova stagione. Il vento della primavera di Locri del 2017 ha attraversato la storia delle altre Locri, della Calabria e dell’Italia, perché da questo lembo di terra può sorgere anche il bello, dopo che, per tanti anni, è stato fatto partorire il brutto e l’oscuro. Sono state tante, tantissime le risposte che il vento della primavera ha soffiato verso l’Aspromonte e verso l’orizzonte mitico del mar Ionio. E mentre questo proliferare di anime, di testimoni, di presenze, di sentimenti e di emozioni ha invaso le strade di sogni, intorno la natura esprimeva la sua incantevole e spontanea voce: la potente parola che sboccia su ogni germoglio, il tripudio di colori che si imprime nei campi, i profumi che entrano nei pensieri e fanno risentire le antiche memorie. La natura racconta una storia ancestrale che si ripete e il suo dono spontaneo rinnova il miracolo della rinascita, come il ramoscello fiorito del mandorlo in pieno inverno che scopre il profeta Geremia nel proprio giardino, quando la sua anima afflitta era senza più speranza.

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È arrivata non più silenziosa la primavera nella storia oscura e disperata delle tante famiglie che hanno vissuto il tragico spezzarsi della vita. La luce dissolve ogni ombra, sancisce la sua vittoria quando espande radioso il suo fiore. Questo è il messaggio potente che parte da Locri: nel luogo dove si è propagata, nel remoto passato, la luce della bellezza. Adesso ritorna a risplendere quella voce. Le impronte profonde di quella Memoria rinascono, e si espandono in una moltitudine di corrispondenze e rispondenze. Ma questo itinerario di rinascita e di riappropriazione della Memoria è stato possibile dopo un lungo cammino di impegno, di assunzione di responsabilità condivisa, collettiva, iniziato da oltre due decenni; un percorso di costruzione del Noi per dissolvere la solitaria e disastrosa avventura dell’io e reagire di fronte alle forze oscure che dividono e che rendono le comunità sempre più fragili, rassegnate e impotenti. Il lavoro deve continuare con più determinazione, con più energia, con più convinzione, soprattutto con entusiasmo e con fiducia. Questa è la consapevolezza che ha accompagnato la straordinaria esperienza di questi giorni che hanno scandito la preparazione della grande manifestazione di Locri.

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E i protagonisti sono i giovani. Sono loro che cercano di scuotere le coscienze inquinate di coloro che usano i poteri (finanziari, economici, politici, criminali) per disseminare il degrado, il disagio, la disperazione, la precarietà, gli egoismi, la negazione dei diritti fondamentali e intangibili di qualsiasi essere umano sanciti nella Costituzione italiana e che rappresentano la via maestra per ogni cittadino che si identifica con il messaggio evangelico. Non si intravvede altro orizzonte se non la lunga e faticosa opera compiuta da don Luigi Ciotti e da Libera. Un impegno e una riflessione che parte da un assunto: ricostruire l’insieme, il Noi, e diffidare dei “navigatori solitari”, di quei “professionisti” che utilizzano l’antimafia come patente di credibilità, o la legalità come idolo, lasciando che si diffonda la disgregazione delle comunità e del bene comune attraverso l’indifferenza e la sfiducia. Un lavoro che deve ripartire dal linguaggio, dalle parole e da tutte quelle modalità di comunicazione che vanno a rappresentare la cultura. Perché il più potente farmaco contro il tumore del fenomeno criminale e contro ogni forma di corruzione, è la vera, autentica cultura, che va distinta da tutto ciò che invece produce spazzatura, come la propaganda, la demagogia, la retorica, la mistificazione, la cattiva informazione che nell’era dei social media, va a nutrire il protagonismo fine a se stesso e l’esaltazione o l’esibizione individualistica e narcisistica che rappresentano la negazione del dialogo e dell’incontro. Il significato e la missione che deve avere la cultura è quello di generare l’humus per “coltivare” un’azione corale, un dialogo e un impegno capace “di far partorire il bello, il buono e il bene”. In relazione al significato di questi concetti, è utile rammentare l’insegnamento che ci ha lasciato in eredità Socrate: infatti all’individualismo dei Sofisti contrappone il legame di solidarietà e di giustizia tra gli uomini, facendo suo il motto delfico del Conosci te stesso come incessante esame di se stesso e degli altri, con il riconoscimento dei propri limiti. Scegliendo di morire per amore della verità, Socrate volle dare una testimonianza decisiva al suo messaggio filosofico ed etico, ponendo al primo posto il valore più alto dell’esperienza umana, “la virtù e il bene comune”. Anche Dante ha declinato questo valore mettendo insieme “virtute e conoscenza” (Inferno, canto XXVI). La vera cultura consiste nell’impegno e nella responsabilità per essere “testimoni di bellezza” e per costruire “luoghi di speranza” (messaggio della manifestazione di Locri del 21 marzo). Il compito più importante a cui è chiamata la cultura oggi è la cura dell’ambiente. Per questo deve diventare ecologia, etica, estetica, oltre ad aprire gli orizzonti delle nostre conoscenze. Ecco perché diventa prioritario riappropriarsi della verità delle parole e del linguaggio, contro la corruzione e l’inquinamento che è avvenuta nel corso del tempo, perché è con le parole che si producono i “codici” con cui si nutre il consenso, con cui si costruisce l’alleanza tra fenomeno criminale e fenomeno mediatico. È fondamentale recuperare l’autentica vocazione della cultura e delle parole, far risplendere la loro luce, per identificare ciò che è oscuro, opaco, omertoso. Se non c’è questo lavoro di scavo, non si toglierà la linfa vitale alla criminalità, perché il primo crimine che si compie è proprio ai danni delle parole, al nostro modo di veicolare le informazioni, di esprimerci, di leggere e interpretare la realtà. La bellezza e la verità delle parole crea dentro e intorno a noi bellezza e verità, ci disintossica delle contaminazioni che vengono diffuse in modo occulta per generare confusione e malattie. Le parole definiscono il nostro stile e la nostra storia, ci presentano e ci rappresentano.

In questo inganno, in modo inconsapevole (perché c’è stato un uso piuttosto disinvolto della parola “cultura” da parte di certa antropologia), cadono molte illustri firme del giornalismo, i quali creano un connubio molto infelice quando definiscono certi fenomeni come il frutto di una “cultura mafiosa”. E’ accaduto anche a Giovanni Tizian, su la Repubblica del 21 marzo, il cui padre è una delle tredici vittime uccise a Locri e che è stato ricordato nel lungo elenco delle vittime innocenti delle mafie. Nella sua importante e preziosa testimonianza e riflessione dal titolo “’Ndrangheta, il messaggio di Locri”, definisce le scritte comparse sul muro dell’arcivescovado all’indomani del discorso del Presidente Mattarella (Don Ciotti Sbirro. Più lavoro, meno sbirri), un messaggio impregnato di “cultura mafiosa”. Ma sappiamo che la ‘ndrangheta non ha niente a che fare con la cultura. È la sua negazione, la distrugge, la uccide, la contamina. È il contrario di ogni forma di cultura, perché la cultura unisce la terra al cielo, elevando spiritualmente ogni esperienza dell’umanità, sia in profondità che in altezza, aprendo orizzonti di bellezza, creando profonde risonanze e corrispondenze ideali, etiche e spirituali. Per questo la cultura è antitetica a qualsiasi forma con cui si manifesta il crimine. La parola “cultura” è carica di luce e di bellezza; accostandola ad un termine che indica invece oscurità, viltà, distruzione, crimine, crudeltà, si inquina la sia etimologia, la sua vocazione, la sua anima, la sua missione. La cultura è un “coltivare”, non un distruggere e inquinare, è humus in cui cresce “l’amore per la vita”, lo ha sottolineato nell’esordio del suo discorso don Luigi Ciotti. Cultura unisce il bello, al buono e al bene, secondo la definizione greca. Lo ha ricordato ancora don Ciotti, richiamando l’etimologia della parola Calabria, “faccio sorgere il bello” e le profonde radici culturali di Locri che affondano nella luminosa stagione della Magna Grecia, a partire dal primo legislatore dell’Occidente, Zaleuco. La vera, autentica cultura ci riporta alla radice delle parole, alle scaturigini che hanno generato la civiltà e non la viltà: illumina in profondità, fa chiarezza e sgombra il campo da ogni sospetto, da ogni ombra. Diventa urgente pertanto, quando si racconta il fenomeno criminale, evitare termini che gli diano potere e con cui, addirittura, si costruisce una sorta di mitologia.

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In tutti questi anni si è stata diffusa una grande mistificazione da parte dei media definendo “potente” questo o quell’altro clan o cosca, incoronando “boss” o “capo” crudeli criminali, uomini che sono diventati dei malvagi, che in modo spietato, disumano, uccidono, così come fanno i tanti industriali che costruiscono i loro profitti e i loro successi vendendo armi e veleni, scaricando rifiuti tossici e radioattivi nei nostri mari e nelle nostre terre utilizzando in modo vile la barbarie e la sete di denaro di molti ‘ndranghetisti e l’anima nera che abita i loro corpi. Ecco perché questa “zona grigia e oscura” che lo stesso Presidente Mattarella nel suo discorso di domenica a Locri ha denunciato, aggredisce anche il linguaggio e risiede nelle istituzioni. Questi illuminati signori, che hanno studiato, che occupano posti di potere, si macchiano di un crimine ancora peggiore di coloro che materialmente compiono questi atti criminosi contro l’umanità. Eppure vengono omaggiati e riveriti perché sono “ricchi”; ma questa presunta ricchezza è frutto di nefandezza, di ignobiltà, di violenza, di corruzione, di disumanità. È per questo che bisogna fare chiarezza, e fare una analisi attenta dei fenomeni e dei modelli informativi. In questo senso un passaggio dell’articolo di Giovanni Tizian va in profondità, perché spiega i meccanismi che determinano i comportamenti che portano poi a compiere dei crimini. Riprendendo il discorso del Presidente Mattarella – che definisce la sua presenza a Locri “rivoluzionaria” – citando le sue parole “la mafia non ha onore né coraggio”, afferma: “Che si sappia però che a sottrarre lavoro alle persone oneste sono proprio le associazioni mafiose in combutta con una politica clientelare e spregiudicata. I poteri occulti, massoneria inclusa, che abitano la Calabria, si sono da sempre sostenuti a vicenda. Con i loro traffici i padrini, insieme ai loro compari, hanno seppellito le speranze delle persone per bene. La pratica del favore, l’inchino ai piedi del potente che tanto piace a tutte le mafie, ha azzerato i diritti e la dignità di un popolo intero”. Risuonano , a tal proposito, a quasi 50 anni dalla sua uccisione (in un discorso tenuto il 8 marzo del 1968 , tre mesi prima di essere vittima in un attentato a Los Angeles) di Bob Kennedy che aveva profetizzato una verità: che dietro il famigerato e tanto osannato Pil si nasconde la morte, la disperazione, la guerra, la strage. “Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari …” Una verità che tanti illustri accademici e giornalisti, guarda caso, asserviti a questi poteri, dimenticano di sottolineare: vale a dire che la criminalità è insita proprio nel sistema produttivo di cui loro sono i cantori, nel modello neoliberista che ha prodotto inquinamento, morte, violenza, guerre, disperazione, povertà. La storia del Novecento è segnata dall’appoggio, diretto e indiretto, degli industriali, ai regimi totalitari e ai feroci dittatori. Un quadro questo che emerge sempre più preoccupante con la globalizzazione, in cui la concentrazione delle risorse economiche e finanziarie risulta in mano a pochissime persone (basti dare un’occhiata ala rapporto Oxfan 2017) e che spiega che siamo governati da poteri “plutoligarchici” o dalle “mafiocrazie”, secondo la definizione del prof. Saverio Di Bella (ex senatore, storico delle mafie). “L’economia deve camminare con l’ecologia”, ha ribadito con forza don Ciotti; invece vi è un’alleanza “tra massoneria, criminalità organizzata, criminalità politica e criminalità imprenditoriale”. La vulgata che ci viene servita in tantissimi menu dai “colti” predicatori, dal pulpito dei media, è che l’unica via maestra che possiamo seguire è il mercato, indicando come valori supremi il profitto, il successo economico. Ma si dimentica di far vedere il recto della parola: quella che loro chiamano “ricchezza” o “successo”, è il frutto di tanta distruzione, di tanta disperazione, di tanta violenza, di tantissima ingiustizia. Quanta ipocrisia, menzogna e quanta viltà si nasconde in queste loro prediche.

Questo moto di indignazione deve essere indirizzato anche verso quelle leggi dello Stato che riconoscono degli assurdi e ignobili privilegi (ci sono caste di intoccabili a cui vengono elargiti fiumi di denaro che potrebbero sfamare migliaia di poveri cristi che non hanno nemmeno un pezzo di pane da mangiare); ma anche verso le istituzioni, come denuncia ad es. il prof. Saverio di Bella in un documento intitolato “Calabria, ultimo bivio” (http://saveriodibella.blogspot.it/2017/03/calabria-ultimo-bivio.html)

che chiudono gli occhi di fronte ai pericolosi siti inquinati perché, molto probabilmente, i responsabili di questi crimini occupano ancora posti di potere. Allora si comprende perché la criminalità organizzata prolifera, in quanto è strutturale a questo sistema neoliberale e neocapitalista che persegue solo l’etica del profitto, dell’arricchimento spietato e gli interessi spregiudicati di persone corrotte e colluse, che non hanno sentimenti umani, che sono asserviti al dio denaro, alla stessa stregua dei criminali che fanno parte della ‘ndrangheta e delle mafie, i quali preferiscono adorare lo sterco del demonio che tutelare e difendere con amore la vita dei loro simili e dei loro stessi familiari.

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Il male della criminalità non è al di fuori, come si è voluto far credere, ma è dentro le istituzioni, perché rigenerano questo modello produttivo e mediatico. È necessario perciò comprendere le forme occulte che si nascondono nelle pieghe delle notizie e dei modelli che vengono propagandati per cercare di combattere in modo efficace la mentalità e i meccanismi che portano molti giovani a scegliere la propria distruzione con le tante droghe, a partire anche dall’inquinamento che agisce indisturbato nel mondo dello sport, come il calcio. Come si può sopportare che un giocatore possa guadagnare un mare di soldi, mentre tanti onesti lavoratori che operano in modo silenzioso per dare risposte ai tanti problemi che vivono i cittadini e che rischiano la propria vita come gli “sbirri”, abbiamo invece uno stipendio da fame! Qualsiasi forma di potere criminale e criminoso, per natura ha la necessità fisica di rendere fragile il corpo etico e morale della società, di inquinare le coscienze, di disgregare l’ethos umano e spirituale, di svuotare il pensiero e la capacità di riflettere sulla realtà, fargli perdere la memoria, obliare, isolare e indebolire chi cerca di reagire contro le ingiustizie e che denuncia questo cancro.

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Contro questa “peste” che ha rubato e contaminato anche le nostre parole, Libera rappresenta il buon campo dove seminare un’insieme di etimologie umane, etiche ed estetiche germinanti, accanto alle tante altre associazioni che cercano di ribellarsi con la costruzione della vera cultura, con l’humus dell’impegno, della solidarietà, della denuncia, per far risorgere la memoria, perché è nella “cultura che coltiva” che si creano gli ideali, i principi, le emozioni, i valori etici e spirituali; è all’interno di questo campo si generano le relazioni umane dense di bellezza, che si mettono in corrispondenza il passato con il presente e si fanno rinascere le voci di coloro che sono vittime delle mafie, per illuminare l’oscurità in cui si nasconde il crimine. “L’Italia è il Paese dove il potere invisibile è quello più visibile, diceva Norberto Bobbio (in Democrazia e segreto). La mafia è uno di quei poteri che pochi hanno voluto vedere. Tanti, invece, hanno contribuito a plasmarlo, con i loro silenzi, ma soprattutto con la loro complicità” (Antonio Nicaso, Mafia, Torino 2016).
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