Il bambino di undici anni che racconta i segreti dei clan

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Il padre è stato arrestato, sua madre si è pentita e anche lui ha iniziato a parlare di tutto quello che ha visto nonostante la giovanissima età. Svelando traffici e organigrammi della ‘ndrangheta

f998c62d18896720a2988be819830110abe2a89a-300x300di FRANCESCO VIVIANO e ALESSANDRA ZINITI

REGGIO CALABRIA – Nella piana di Gioia Tauro c’è un bambino di 11 anni che fa tremare mafiosi e potenti. È stato abituato a maneggiare pistole sin da quando era piccolo piccolo, sa bene cos’è la droga e come si chiede il pizzo.

Il suo era un destino segnato, sarebbe diventato uno di loro, un picciotto delle ‘ndrine. È stato anche per questo, per salvare lui e i suoi due fratelli, che sua madre – pochi mesi dopo che i carabinieri avevano arrestato suo padre – ha deciso di collaborare con la giustizia. Ma adesso anche lui, Nicola (il nome è di fantasia) vuole dare il suo contributo e da settimane riempie verbali su verbali davanti al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria Giulia Pantano. “Certo che so cosa fa un mafioso, è uno spacciatore, spara, è normale… Nel paese ho sentito parlare di ‘ndrangheta da tutti, pure i miei amici grandi”. I primi verbali del più giovane “pentito” della storia della criminalità organizzata sono stati depositati due giorni fa all’udienza preliminare dai pm della Dda di Reggio Calabria ai quali il piccolo supertestimone ha persino consegnato la scheda telefonica del suo cellulare in passato utilizzata dal padre, preziosissima prova dei contatti intrattenuti da quello che, secondo l’accusa, sarebbe stato un esponente di spicco del potente clan Bellocco di Rosarno. E a tremare non sono solo gli ‘ndranghetisti, perché la famiglia di San Ferdinando aveva anche i suoi referenti politici come il vicesindaco Santo Cieli e il consigliere d’opposizione Giovanni Pantano, anche loro arrestati con l’accusa di associazione mafiosa.

“Mio papà faceva parte di questa cosca, il capo era Nando Cimato. Si sapeva, era lui che dava gli ordini, più i Bellocco”. Con grande sorpresa degli inquirenti, il bambino disegna l’organigramma preciso della cosca, fa nomi e cognomi di tutti e indica i ruoli. “Papà faceva quello che voleva all’interno della cosca, era il braccio destro del capo”. E cosa li hai visti fare?, gli chiede il pm. “Tutto, tutto quello… so tutto quello che avete trovato: le armi, i capis avete trovato, i capis sono i bossoli”.

Era presente a casa, quel giorno di ottobre dell’anno scorso, Nicola quando i carabinieri trovarono nella cucina un vero e proprio arsenale: due pistole con silenziatore e migliaia di munizioni per kalashnikov e calibro 9. Il bambino non ha esitazioni ad accusare quel padre che, sin da piccolo, lo portava in giro con sé, a prelevare partite di droga o a summit con gli altri boss. “Ho visto la droga, le armi, pistole più che altro, fucili mai… la droga l’ho vista sempre nel garage, in giro non l’ho mai vista. Una volta ho visto l’erba, ma questa droga era polvere, non so come si chiama, loro la chiamavano così, era bianca, era di tutta la cosca, di tutti quelli che hanno arrestato”. Il sostituto procuratore Giulia Pantano, che lo ascolta con tutte le cautele e la delicatezza del caso, lascia parlare quel bambino che le dà con naturalezza del “tu” mentre, con la sicurezza di un adulto, racconta la sua vita di figlio di boss. “Quella droga era di papà. Lo so perché senza ordine suo non facevano niente, non muovevano neanche un dito. Le persone di San Luca le ho viste solo una volta o due, sono venute a casa… La vendevano, l’acquistavano, facevano tipo a turni, certe volte gliela vendeva ad altri fuori Calabria, certe volte dentro, dipende”.

Che fosse testimone di traffici poco leciti, Nicola ne aveva piena consapevolezza. Il pm vuole essere sicura che quelle non siano fantasie di un bambino e gli chiede: “E che era roba illecita come fai a saperlo? Magari che ne sai, non potevate portare una torta?”. La risposta del piccolo “pentito” non fa una grinza: “Perché era nascosta nel cofanetto, lo stereo dell’auto si toglieva, l’ho vista solo quando l’hanno tolta. Si vedeva solo la busta, era tutta scocciata (sigillata con lo scotch, ndr). Era nascosta, non penso che nascondevano una torta dentro lo stereo”.

Da quattro mesi ormai Nicola vive lontano dalla Calabria, in una località protetta, con un altro nome, insieme ai due fratellini più piccoli e alla madre che (arrestata insieme al marito per aver tentato di nascondere nel reggiseno al momento della perquisizione una pistola e droga) ha deciso di dissociarsi quando, dalle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, ha appreso che il marito aveva di fatto “arruolato” nella ‘ndrina il figlio maggiore nonostante la tenerissima età non solo facendogli maneggiare armi ma coinvolgendolo anche nel confezionamento di dosi di droga.

“Mi trovo qui per i miei figli – ha esordito quando ha chiesto di poter parlare con i pm della dda di Reggio Calabria – non voglio che crescano secondo ideali e valori sbagliati come quelli che sono stati finora impartiti loro dal padre. Ero a conoscenza del fatto che mio figlio maneggiasse armi, ma non potevo impormi con il mio compagno perché non so che fine avrei fatto. Il mio compagno è un tipo pericoloso per sé e per gli altri”. Nei prossimi mesi, se le accuse di madre e figlio passeranno il vaglio del gip, Nicola si ritroverà in un’aula di giustizia faccia a faccia con il suo papà.

Fonte: R.it