Solidali con Gratteri? Allora il governo non stia a guardare

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di Alessia Candito

Solidarietà e vicinanza. Parole di incoraggiamento da tutta Italia. La notizia dell’inquietante episodio di cui il figlio di Nicola Gratteri è stato protagonista ha risvegliato dal torpore l’intero arco politico, da destra a sinistra.

Parlamentari di maggioranza e opposizione, presidenti di commissioni alla Camera e al Senato, sottosegretari e persino ministri – Delrio ha affidato il suo messaggio di solidarietà a facebook – hanno sentito il dovere di affermare che lo Stato è vicino al procuratore aggiunto Nicola Gratteri, che il lavoro del magistrato è importante e prezioso e che sarà fatto di tutto perché possa continuare. Bene, bravi.

Ma perché cotante manifestazioni di pubblica solidarietà non siano pelose, è necessario essere conseguenti. Essere solidali con Nicola Gratteri oggi vuol dire rispondere alle tante richieste di uomini e mezzi che per salvare la sua terra il procuratore ha fatto e sono rimaste inascoltate, tirare fuori dai cassetti le proposte di legge elaborate da Gratteri dopo che la porta del Ministero della Giustizia gli è stata sbattuta sul muso e farle camminare, obbligare istituti di credito e finanziarie ad aprire i libri in modo da scoprire dove i soldi del narcotraffico si nascondano, dare manforte alle procure nel pretendere da più o meno influenti Stati esteri nomi e dati che ancorino a realtà concrete le misteriose società su cui troppe indagini necessariamente si arenano.

Per la politica, essere solidale con Nicola Gratteri e con la Calabria che in lui si riconosce non è gratis. Significa assumere e mantenere impegni precisi in termini di supporto materiale e legislativo all’azione dei magistrati, oggi costretti ad uno slalom continuo e faticoso fra depenalizzazioni e controriforme.

Chiaro, non ci si aspetta che a spingere una seria accelerazione alle riforme proposte da Gratteri siano quei tanti – troppi – politici lambiti o coinvolti da indagini di ‘ndrangheta che in questi giorni – compunti – hanno espresso la propria solidarietà al magistrato. Ma per mantenere la propria credibilità istituzionale oggi lo Stato è obbligato a dare risposte a Nicola Gratteri e alla Calabria che in lui si riconosce.

Schivo, diretto e senza filtri, il procuratore della Dda reggina non si è mai tirato indietro quando c’è stato da spiegare quanto pesi il narcotraffico nell’economia mondiale, i metodi di funzionamento e strutturazione di ‘ndrine e clan o quanto necessariamente la struttura Stato sia stata negli anni contaminata dalla criminalità. Delle tante – credibili – minacce ricevute nel tempo invece, non ha mai parlato con piacere.

A differenza di tanti che le espongono come galloni e le gonfiano come mongolfiere, ha tentato nel tempo di nascondere e minimizzare le intimidazioni che ha ricevuto, si è adattato in silenzio a una vita blindata, ha cercato di limitare al massimo i rischi per chi quotidianamente lo accompagna. Persino alla scorta ha imposto di seguirlo in una seconda auto, mentre guida personalmente una blindata.

Anche oggi che la ‘ndrangheta sembra essersi concretamente avvicinata a uno dei suoi affetti più cari, Nicola Gratteri rimane in silenzio. Ma è evidente che i clan hanno alzato il tiro. È evidente che in Calabria il clima si sta surriscaldando. Lo dice l’arsenale pronto ad essere utilizzato ritrovato nel cimitero di Sinopoli, lo dicono le infinite manifestazioni di inquietudine delle cosche della città, lo suggeriscono gli innumerevoli segnali di nervosismo riguardo le inchieste che oggi toccano il nodo fra ‘ndrangheta e massoneria ascoltati dagli investigatori. La Calabria che sta con Nicola Gratteri lo sa, lo ha capito e si è stretta attorno a quello che considera il suo procuratore. Lo Stato che presume di rappresentare quella Calabria oggi è chiamato – concretamente- a fare altrettanto.
fonte: Corriere della Calabria