L’anniversario di Gianluca e il walzer d’addio che estinguerà la Locride

Print Friendly, PDF & Email

In “Note di Memoria per Gianluca Congiusta” il soffitto era basso, la notte Ramadan. C’era gente a Piazza Portosalvo, giovani soprattutto, gli ultimi, quelli che dicono di voler resistere ma che fuggiranno a digiuno. Si sa, non c’è mica bisogno della Suprema Cassazione per intuire quel necessario walzer d’addio che estinguerà la Locride. C’erano quattrocento persone a ridosso del palco e quelli di Libera e i cantanti che hanno partecipato al dolore della famiglia Congiusta ricordando quel 24 maggio barbaro dove i topi hanno vinto sugli uomini e la fogna ha invaso la piazza sradicando gli argini. Non c’erano i topi giovedì sera, né i loro re che comandano sotto i baffi; sono rimasti nei tombini, laggiù nella faglia, ma alla prima occasione la piazza se la riprenderanno con o senza canna mozza. La colpa è nostra se “loro” non vogliono più starsene sottoterra e hanno licenza di agire da faraoni alla luce del sole. Per interi decenni, confondendo l’onore con il disonore, abbiamo concesso rispetto e ora ci lamentiamo se le note sono diventate brutali, sempre più disperate. Eppure eravamo bella gente che si godeva il mondo mentre passava dai nostri paesi. La 106 era viva, i benzinai accesi, il futuro frizzante, l’estate profumata e la culla strillava. Poi abbiamo concesso le chiappe alle fruste di guardie e ladri, falangisti e pidocchiosi, al timore che c’ha fregati e anche se non lo vogliamo ammettere, sappiamo fare solo gli indovini su facebook. Non ci rimane nient’altro, i fuochi brillano altrove, lontano. E mentre noi non esistiamo, la fiumara, come diceva Antonio Delfino, continua a scorrere omertosa sotto i nostri balconi e lo stato mostra la faccia feroce di “sua eccellenza” Mori all’inizio e il perizoma del Grande Fratello alla fine.
Sono passati tredici anni dalla morte di Gianluca Congiusta, i peggiori anni della storia sidernese, senza ambizione, fiducia; senza passato né futuro; un buco che ha risucchiato la città più popolosa e più mafiosa (secondo le stime degli esperti) della Locride è divenuto più nero, pesante, profondo.
La realtà è questa e la colpa è palese: le città sono come gli essere umani che le abitano, scriveva Victor Hugo, ahinoi.
Autore:
Jim Bruzzese
Fonte:La Riviera on line