‘Ndrangheta in Toscana: maxi operazione tra Reggio Calabria e Firenze

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Sequestrati beni e aziende per 100 milioni di euro. 41 persone interessate dalle due operazioni

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Legati per la pelle. I soldi di società in odore di ‘ndrangheta prestati a imprenditori delle concerie dell’Empolese e del Pisano per ottenere in cambio interessi con tassi da usura.

I denari, infatti, sarebbero stati restituiti grazie a false fatture di pellami che, secondo le indagini di carabinieri e fiamme gialle, poi sarebbe stati recuperati dagli imprenditori scaricando l’Iva. Ammortizzando così gli interessi dei prestiti e riuscendo anche a guadagnare. Infatti una parte, il 9,05 per cento era quella stabilita per saldare il debito, il restante sarebbe finito nelle loro tasche.

L’indagine “vello d’oro” è partita nel 2014 quando un imprenditore si è rivolto ai carabinieri per denunciare un episodio di usura. Dopo aver chiesto un prestito di 30mila euro a Stellitano Cosma Damiano, imprenditore di origine calabrese ma operante a Sovigliana di Vinci, gli era stata chiesta la restituzione di 35 mila euro dopo solo 24 ore, con un interesse del 17 per cento. Non riuscendo a trovare tale somma, l’imprenditore calabrese avrebbe tenuto l’intermediario – un conoscente di entrambe le parti – nella sua auto contro la sua volontà fino a quando non gli sono stati versati 35mila euro.

Dopo circa 5 mesi di indagini nell’operazione i militari dell’Arma sono stati affiancati dai finanzieri. Infatti dalle intercettazioni si era capito che gli imprenditori parlavano secondo un codice. Dietro le parole pellame, vitellino e sego, tutti materiali utilizzate nelle concerie, si nascondevano denaro e fatture fittizie. E’ stato stimato un giro di denaro, su operazioni per milioni di euro, di almeno 600mila euro.

La misura cautelare è stata disposta per 14 persone, residenti tra la Calabria e la Toscana: 11 in carcere e 3 ai domiciliari. Diciotto gli indagati. Contestati reati che vanno dall’associazione per delinquere, all’estorsione, al sequestro di persona, all’usura, al riciclaggio ed autoriciclaggio, all’abusiva attività finanziaria e all’utilizzo/emissione di fatture per operazioni inesistenti nonché al trasferimento fraudolento di valori. È stata contestata anche l’aggravante del metodo mafioso.

Disposto il sequestro di 12 società, 5 con sede in Italia e 7 all’estero (per queste ultime è stata avviata specifica attività di assistenza giudiziaria internazionale in Slovenia, Gran Bretagna, Austria, Croazia e Romania) e di numerosi conti correnti bancari. L’operazione “vello d’oro” in parte si è sovrapposta a un’altra operazione della DDA, Martingala, in cui è stato emesso un decreto di fermo per 27 persone (di cui 4 destinatarie anche del provvedimento dell’A.G. toscana). L’ammontare dei beni sequestrati ammonterebbe a 100 milioni di euro.

Stamani la ‘ndrangheta è stata descritta come una vera e propria società di servizi. “Non più attentati dinamitardi – ha spiegato il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho – la ‘ndrangheta ormai da tempo si infiltra nell’economia”.

SISTEMA SCIMONE
Le investigazioni avrebbero portato ad individuare un sodalizio criminale di cui facevano parte, tra gli altri, soggetti legati ad elementi di spicco delle famiglie ‘ndranghetiste dei “Barbaro” e dei “Nirta”, attive nella zona del litorale jonico della provincia di Reggio Calabria. Le indagini avrebbero toccato oltre che Toscana e Calabria anche diversi Stati europei quali la Slovenia, la Croazia, l’Austria, la Romania ed il Regno Unito. Paesi a cui si sarebbe appoggiato Antonio Scimone, ora accusato di essere a capo di una rete di aziende costituite ad hoc per generare voluminose movimentazioni finanziare (pagamenti di fatture relativi a costi fittizi) “strumentali” per costituire ingenti quantità di denaro contante a disposizione dei sodali, da destinare in attività commerciali.

Più in particolare, Scimone Antonio, – con la fattiva collaborazione di Stellitano, di Giuseppe Nirta (nipote dell’omonimo capo indiscusso della ‘ndrina “La Maggiore” di San Luca, ucciso nel 1995) e di Antonio Barbano – avrebbe fatto confluire in conti correnti esteri intestati a società “cartiere” rilevanti somme di denaro da riutilizzare come prestiti di denaro contante agli imprenditori conciari toscani, questi ultimi gravemente indiziati di essere consapevoli della provenienza illecita del denaro e complici del sistema criminale ideato dai menzionati calabresi.

Fonte: Firenze Today