Omicidio Congiusta-Lo sfogo di Costa “Il PM ha esagerato”

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Il boss di Siderno, imputato per la morte dell’imprenditore, se la prende con il magistrato della DDA Antonio De Bernardo: “Sapevo di essere registrato, quei verbali non possono essere definiti intercettazioni”

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Antonio De Bernardo

di Simona Musco

«Il pm ha esagerato….». Prima di dare il via al confronto tra i pentiti Vincenzo Curato, Giuseppe Costa e Michele Armigero, l’imputato Tommaso Costa, accusato di aver ucciso Gianluca Congiusta, l’imprenditore di Siderno freddato il 24 maggio 2005, ha voluto prendere la parola.

Al confronto, lui, non ha voluto prendere parte e in collegamento dal carcere ha dichiarato di «non voler assistere allo spettacolo che ci sarà dopo». Così si è limitato a fare alcune considerazioni sui verbali depositati dal pm Antonio De Bernardo, relativi ad alcune intercettazioni in carcere, quando Costa si è lasciato andare ad alcune esternazioni sul fratello e sul processo.

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Tommaso Costa

Il boss, già condannato due volte all’ergastolo fino a quando la Cassazione non ha annullato con rinvio la sentenza chiedendo di chiarire meglio proprio il movente dell’omicidio, nel carcere di Viterbo ha manifestato tutto il disprezzo per quel fratello, Giuseppe Costa, che ha deciso di collaborare con la giustizia, inguaiandolo definitivamente. Lui, però, è sicuro: non c’è un movente, non c’è riscontro a quanto racconta il fratello, quel «megalomane cornuto». E De Bernardo, dal canto suo, avrebbe «esagerato» nel definire quei verbali l’esito di intercettazioni. «Sapevo benissimo che i dialoghi in carcere erano video e audio registrati – ha detto al presidente della Corte d’Appello, Roberto Lucisano -. Quindi non credo che si possano definire intercettazioni». Costa, prima di chiudere il collegamento, ha poi spiegato di aver denunciato per calunnia il collaboratore di giustizia. Dichiarazioni, le sue, che però avvalorerebbero le tesi dell’accusa, convinta che le parole pronunciate da Tommaso Costa non siano mai casuali, proprio in virtù della consapevolezza di essere ascoltato. Un’udienza, quella di ieri, che ha poi visto il collaboratore di giustizia pugliese Michele Armigero confermare il rapporto di confidenza tra Vincenzo Curato e Giuseppe Costa, che addirittura avrebbe dato al primo un numero di telefono di un familiare per poter avviare degli affari una volta uscito dal carcere. Circostanza negata da Costa, che quindi ha tentato di attribuire ad Armigero la dettatura di quel numero, incontrando la secca smentita dal pentito pugliese. I tre collaboratori hanno trascorso qualche mese di detenzione insieme nel carcere di Prato. Ed è lì che tutte le confidenze hanno avuto luogo. «Avevo un buon rapporto con Costa – ha spiegato Armigero, smentendo quindi l’ex boss sidernese -. Siamo stati nella stessa camera per qualche mese, non c’è stato mai nessun dissidio. Anzi, ha mediato con la mia ex moglie e mi ha fatto rivedere i miei bambini a colloquio». Costa, infatti, aveva attribuito ad Armigero le confidenze che poi hanno portato Curato a dire che Costa avrebbe mentito nel corso del processo per proteggere il fratello Tommaso; confidenze che, invece, il pentito cosentino ha attribuito direttamente all’ex boss di Siderno. «Più o meno nello stesso periodo, a Prato, ho conosciuto Curato – ha proseguito Armigero -. Il nostro era un rapporto superficiale, nulla di particolare. Con Costa, invece, parlavano, passeggiavano insieme e non mi risulta abbiano mai litigato». Dichiarazioni, queste, che l’accusa vuole usare per dimostrare che le confidenze fatte da Costa sulla volontà di aiutare il fratello Tommaso nel processo per la morte di Congiusta, mentendo sulle sue responsabilità, non sono un’invenzione del pentito Curato.

fonte: il garantista