Ndrangheta: volto coperto e mitra per rapire la moglie,Giuseppina Pesce racconta

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Nei racconti della pentita della famiglia mafiosa di Rosarno c’è spazio anche per un singolare caso di rapimento in famiglia, con tanto di mitra

Ndrangheta: volto coperto e mitra per rapire la moglie,Giuseppina Pesce racconta

Rosarno (Reggio Calabria) – Tua moglie ti lascia e vuoi riconquistarla? Fai un blitz in casa sua con un mitra e rapiscila. Sembrerebbe uno spot pubblicitario “pro-rapimenti”, una scena da film, o uno scherzo di cattivo gusto. Invece è la realtà: è quanto successo alla moglie di Francesco Pesce, primogenito del boss Salvatore, che aveva deciso di lasciarlo ed era tornata in casa dei suoi genitori.

Di tutta risposta il giovane rampollo del clan ‘ndranghetista di Rosarno, ha cercato di sequestrarla facendo ingresso in casa dei suoceri armato di kalashnikov e spalleggiato da altri uomini anch’essi armati, tutti con il volto coperto. Un rapimento in pieno stile terroristico, non riuscito però.

A raccontare l’episodio è Giuseppina Pesce, sorella di Francesco, oggi pentita e impegnata a collaborare con la Direzione distrettuale antimafia di Reggio. Così, la collaboratrice di giustizia ha raccontato anche dell’a dir poco singolare tentativo di sequestro della moglie tramite blitz armato messo in piedi da Francesco Pesce, classe ’84 quindi all’epoca poco più che ventenne. L’episodio risalente al 2006 emerge dai verbali contenenti le nuove dichiarazioni di Giuseppina Pesce, parte dell’incartamento relativo al processo “All inside” che si sta celebrando davanti al Tribunale di Palmi contro la famiglia egemone a Rosarno. Formulati, dunque, a carico degli imputati nuovi atti d’accusa. E tra gli episodi raccontati dalla pentita ci sarebbe anche una rapina, compiuta circa 6 anni fa in un gioielleria di Rosarno, ad opera dello stesso Francesco Pesce, accompagnato da Rocco Carbone (entrambi a volto coperto) e da altri “due tizi milanesi…”, svela l’altra collaboratrice di giustizia Rosa Ferraro, entrati a volto scoperto senza timore di essere riconosciuti. Tra le nuove imputazioni ai danni del clan Pesce, inoltre, ce ne sarebbe una anche a carico di un impiegato del Comune di Rosarno, reo di aver fornito agli uomini del clan alcuni moduli prestampati che sarebbero serviti per certificare rapporti di parentela falsi, inesistenti, per consentire l’autorizzazione ai colloqui in carcere.

Tutte accuse mosse sulla basse di dichiarazioni importanti, pesanti, quelle di due persone interne alla famiglia: Giuseppina Pesce e Rosa Ferraro, cognata del boss Pesce; parole che si intersecano e combaciano, e quasi sempre corrispondono a realtà. Come la presenza del bottino della rapina raccontata prima nella casa della nonna di Giuseppina: un tesoretto di oltre 200mila euro che i carabinieri hanno trovato andando a colpo sicuro.

Federico Lamberti

fonte: RTV