STORIE
‘Ndrangheta leghista
La faida fra boss e la malavita a San Vittore Olona.
di Agostino Riitano
«C’era tanta gente quel pomeriggio. Noi davamo in tivù il giro di Francia e mi ricordo la vittoria di un italiano», ha detto a Lettera43.it il titolare del circolo Reduci e Combattenti mentre preparava l’ennesimo bianchetto della giornata. Un euro e via. Altra ordinazione.
«ERA UNA PERSONA NORMALE». «Sì, conoscevo Carmelo Novella», ha spiegato. «Veniva spesso qui. Arrivava e se ne andava a piedi, abitava qui vicino. La solita partita a carta, i soliti amici. Insomma, una persona normale. Non mi sembrava particolarmente preoccupato».
Ma, forse, don Nunzio preoccupato lo era. Poche settimane prima non era stato invitato al matrimonio della figlia di uno dei boss più anziani e rispettati della Calabria, Rocco Aquino, di Marina di Gioiosa Jonica.
L’ESCLUSIONE AL MATRIMONIO. Nel linguaggio simbolico della ‘ndrangheta significa che sei morto. Fine della corsa. Due mafiosi, intercettati, lo dicono in un altro modo: «Compare Nunzio è stato licenziato». La sua colpa? Era un “traditore”, si era messo in testa di scindersi dalla Calabria.
«Sono Nunzio Novella, non ho bisogno di chiedere il parere a nessuno, non ho bisogno neanche di mandare l’imbasciata (messaggio, ndr) in Calabria», ripeteva con orgoglio.
Le confessioni del pentito
(© La Presse) Ilda Boccassini.
Un pentito ha da poco raccontato tutto quello che sa su quell’omicidio al pubblico ministero Ilda Boccassini. Racconta di una «trascuranza», una mancanza grave, di cui si sarebbe macchiato Novella: avrebbe offeso la madre di uno dei boss «di giù». Il pentito è Antonino Belnome, 39 anni, indagato con l’accusa di essere uno dei due killer di compare Nunzio, ed è lui ad avere dato l’avvio all’operazione “Bagliore” che ha portato a una quarantina di arresti ordinati dalla procura milanese.
MILANO TERRA DI UNA NUOVA FAIDA. Secondo Belnome, l’assassinio andrebbe inquadrato all’interno di una faida nata fra i boschi a cavallo fra Locride e Catanzarese che si è allargata alla Lombardia con altri tre omicidi.
Milano teatro di una nuova guerra di mafia con radici in Calabria e ramificazioni qui al Nord, qui dove girano i “piccioli”?
A vederlo da fuori, il circolo Reduci e Combattenti non sembra lo scenario adatto a un capitolo di una faida di ’ndrangheta. Giardinetto curato, tavolini, giornali e carte da gioco sotto lo sguardo indulgente di Padre Pio, è il solito bar adagiato sulla placida e infinita pianura alle porte della metropoli.
OMERTÀ ONNIPRESENTE. «’Ndrangheta? Mah, io Carmelo Novella lo conoscevo come un semplice pensionato», ci ha detto il responsabile del circolo. «’Ndrangheta? Boh, non so chi sono io, figurarsi se sono di ’ste cose», si è schernito un altro all’ingresso del circolo. «Non frequento questo bar. Ci vengo ora perché devo accompagnare una persona. Dell’omicidio ho saputo dai giornali. E basta», ha detto. Per poi sgattaiolare via.
Le istituzioni con gli occhi tappati
Giulio Cavalli, consigliere regionale di Italia dei valori.
«La ‘ndrangheta qui a San Vittore Olona? Ma va!», dicono in Comune. «Novella è stato ucciso qui perché qui aveva l’obbligo di soggiorno, mica per altro? Il sottosegretario Roberto Castelli ha detto di escludere i calabresi dalla opere pubbliche? I bandi sono scritti e i lavori assegnati a norma di legge, noi siamo per la libera concorrenza. Se poi si scopre che qualche imprenditore che fa i lavori è affiliato alla mafia calabrese, beh, noi ci possiamo fare poco, non siamo mica preveggenti».
DENUNCIARE NON CONVIENE. «Il sistema è semplice e collaudato. La ‘ndrangheta è affidabile per un imprenditore perché fornisce le entrature politiche e istituzionali giuste per poter lavorare e fare affari. A chi conviene denunciare?» ha sintetizzato a Lettera43.it Giulio Cavalli, attore e regista teatrale di Lodi, minacciato e sotto scorta, consigliere regionale di Italia dei valori.
A lui abbiamo chiesto se la morte di Novella e il suo tentativo abortito di staccarsi dalla “casa madre” calabrese possa portare a una nuova guerra di mafia a Milano: «Non lo so, ma non mi sorprenderebbe. Per la città non sarebbe una novità. Penso alla faida fra Francis Turatello e Renato Vallanzasca. Formigoni ha affermato che la Lombardia non è mafiosa? Guardi, io a lui non voglio rispondere. Le ultime inchieste hanno dimostrato che gli ‘ndranghetisti parlavano di votare questo o quel candidato di Formigoni. E questo lui lo sa, anche se fa finta di ignorarlo».
IL DISTACCO DELLE COSTE LOMBARDE. Cavalli non crede che i tempi siano maturi per un distacco delle cosche lombarde da quelle calabresi: «I boss, giù, godono ancora di un forte carisma che gli deriva dal territorio, dal rispetto e dalla forza. Però, si sa, chi ha i soldi… Certo», ha sorriso, «sarebbe curioso se anche la ‘ndrangheta si trovasse ad affrontare un problema “leghista”».
Domenica, 29 Maggio 2011