Piangiamo le stesse lacrime di Giovanni Maiolo

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Piangiamo le stesse lacrime

È venuto a trovarmi Aiva, il mio amico del Togo. Ci siamo messi a valutare, davanti alle criminali leggi italiane sull’immigrazione, su come ricongiungerlo alla moglie, che è dovuta fuggire in Ghana. Gli occhi di Aiva sono profondi e mi fissano ansiosi mentre attende che io legga i vari articoli e glieli traduca in inglese.

Quando a Rosarno gli hanno sparato all’inguine stava solo camminando per strada, tornava dal supermercato dove aveva comprato l’unica cosa che si poteva permettere col suo lavoro di fatica gestito dai caporali, la farina. Il suo ferimento causò la rivolta di cui hanno parlato i giornali di tutto il mondo, nei giorni in cui i migranti insegnarono a noi calabresi cos’è la dignità ribellandosi al posto nostro alla ‘ndrangheta.

Poi arrivò nel mio paese ancora convalescente, visto che il sindaco si offrì di accoglierlo. Si portava sulle spalle una storia terribile, di lavoro duro, sfruttamento, dolore. Era un leader dell’opposizione nel suo paese, e per questo venne arrestato. Riuscì ad uscire dal carcere solo per le manifestazioni di protesta e le pressioni dei suoi sostenitori ma dovette lasciare il Togo. Poi andò in Ghana, dove si separò dalla moglie e dai suoi due figli neonati per tentare il viaggio verso l’Italia, rischiando di morire ad ogni tappa tra le mani dei trafficanti di uomini. E nonostante la sua storia l’Italia gli ha negato l’asilo costringendolo in clandestinità, facendolo vivere come un fantasma, nascondendosi nei fabbricati inutilizzati, lavorando per i caporali di Brindisi, poi per quelli di Rosarno, pur di mettere qualcosa nello stomaco, rodendosi il fegato per non potere mandare soldi alla sua famiglia, pensando alla moglie lontana e ai figli che crescevano tra gli stenti, senza di lui, senza il viso e il calore del padre lontano, che si accartocciava nei cartoni come un animale.

Il ministro dell’interno alla fine ha deciso di concedere un permesso di soggiorno per protezione umanitaria ai feriti di Rosarno ed Aiva è così potuto uscire dalla clandestinità, a Caulonia ha incontrato l’affetto di molti. Nei primi giorni ringraziava tutti perché diceva che, dopo anni, “finalmente vengo trattato di nuovo come un uomo”.  È un gran lavoratore il mio amico, ed oggi ha un regolare contratto, seppur part-time. Ma non paga l’affitto, perché il fratello del sindaco gli ha permesso di utilizzare gratuitamente una sua abitazione, modesta ma dignitosa.

Ma nemmeno col permesso di soggiorno che gli è stato dato può effettuare il ricongiungimento familiare, deve modificarlo in permesso di lavoro. E poi soddisfare determinati requisiti. Li leggo in italiano e glieli spiego in inglese. Dovrebbe avere un reddito che non ha per fare venire sua moglie. Per portare anche i bambini dovrebbe avere un reddito da dirigente d’impresa. Parlo col consulente del lavoro che gli fa le buste paga, si offre di aiutarlo in qualche modo, pur di permettergli di riabbracciare la moglie dopo tutto questo tempo. Ma per i bambini non c’è davvero nulla da fare.

Mentre guardiamo il tg scorrono le immagini di Lampedusa, del mare agitato. I suoi occhi si velano e comincia  a raccontare: “Siamo partiti da Tripoli in 75, poi la barca ha ceduto, ho visto la gente annegare, i miei amici morire… siamo sopravvissuti in 42, non voglio pensarci. Io sapevo nuotare, per quello sono vivo… anche se dopo tanto nuotare le forze mi stavano abbandonando… ho visto i miei amici andare giù, uno per uno, e non tornare a galla, ed io stavo per fare la stessa fine…”. Mi viene da piangere ascoltandolo. È da anni che sento queste storie tutti i giorni, da mille bocche diverse, e ormai so che non ci farò mai l’abitudine. Non ci si può abituare a questo dolore, non voglio abituarmi, voglio sempre vivere su di me queste ingiustizie, voglio piangere, indignarmi, reagire. Sulla scheda elettorale ci sarà scritto Giovanni Maiolo ma si leggerà Aiva, Blessing, Doris, Tessy… voglio essere usato da loro, voglio rendermi strumento al loro servizio. Solo così ha senso una candidatura, solo così ha senso un impegno. Non mi interessa il potere, l’ho imparato in anni di militanza che il potere è violento in quanto tale ed io mi porto cucita sulla pelle la non violenza che ho imparato da Angelo Frammartino.  È di questo che voglio parlare, dei migranti che vengono accolti dai calabresi. E dei calabresi che li accolgono e che non piegano la testa di fronte alla criminalità organizzata, che hanno ancora una dignità da difendere, che amano troppo la loro terra per lasciare che sia ancora violentata dalla feccia ‘ndranghetista. La puzza di merda che sento andando in giro per la Locride non arriva solo dalle fogne che scaricano in mare ma dall’odore di certi personaggi in giacca e cravatta che parlano a nostro nome e che siedono su banchi istituzionali solo perché le cosche lo hanno deciso. Non so quanti voti prenderò, mi interessa poco, ma sono sicuro che le mani che faranno una croce sul mio nome non puzzeranno di merda, non saranno sporche di sangue e saranno libere dai fili dei burattinai mafiosi. Avranno invece l’odore della legalità, della solidarietà verso i deboli, della voglia di riscatto. Le mani che mi voteranno non saranno quelle che hanno stretto una pistola per sparare ad Aiva ma saranno quelle di chi lo ha soccorso ed aiutato. E quelle mani porteranno con loro occhi che di fronte a storie come quelle di Aiva non riusciranno in nessun modo a restare asciutti.

Giovanni Maiolo