‘Cent’anni di storia”: dure condanne per le infiltrazioni nel porto di Gioia Tauro. Colpita la ‘ndrangheta dei colletti bianchi

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”Cent’anni di storia”: dure condanne per le infiltrazioni nel porto di Gioia Tauro. Colpita la ‘ndrangheta dei colletti bianchi

di Claudio Cordova – Il pubblico ministero Roberto Di Palma mette a segno un altro “colpo” ottenendo, nell’ambito del delicato processo “Cent’anni di storia”, la condanna di undici individui, che, a vario titolo, sarebbero legati alla criminalità organizzata della Piana. Il Tribunale di Palmi, infatti, ha condannato Giuseppe Alvaro a 12 anni di reclusione e Antonio e Natale Alvaro a 9 anni ciascuno. Pietro D’Ardes, gestore della società cooperativa “Lavoro” di Roma a 11 anni di reclusione; condanna a 9 anni e 6 mesi anche per l’avvocato Giuseppe Mancini che avrebbe coadiuvato D’Ardes e poi Gianluigi Caruso, a 5 anni. Condannato a 4 anni e 8 mesi anche Giuseppe Arena, che sarebbe stato il braccio operativo della cosca Molè. A tal proposito sono durissime le condanne che il Tribunale ha inflitto a Girolamo Molè (classe ’61) e Domenico Molè, condannati rispettivamente a 17 e 16 anni di reclusione; un altro Girolamo Molè (classe ’63) è stato condannato a 5 anni e 6 mesi di reclusione. Altra durissima condanna, a 15 anni di reclusione, per Giuseppe Piromalli, detto “facciazza”. Assolti, invece Lorenzo Domenico Arcidiaco, Marco Fantone e Vincenzo Priolo, nonché l’ex sindaco di Gioia Tauro, Giorgio Dal Torrione, che, in passato, ha conosciuto anche il carcere.

Si tratta, dunque, di una vittoria del pm Di Palma che, con pervicacia, ha indagato sugli affari delle cosche all’interno del porto di Gioia Tauro, in un periodo in cui sembrava che, sulle attività delle ‘ndrine dello scalo, tutto fosse stato già detto. Le condanne emesse dal Tribunale di Palmi (Accurso presidente, Spedale e Ciollaro giudici), vanno quindi a certificare, nuovamente, le ingerenze delle famiglie mafiose all’interno del porto: su tali circostanze, infatti, da sempre si sono spesi fiumi di inchiostro da parte delle varie Commissioni e nelle interpellanze parlamentari.

Oggi lo Stato fornisce la sua risposta.

Un’indagine, quella denominata “Cent’anni di storia”, condotta mentre i meccanismi di infiltrazione sarebbero stati ancora in atto e non “a giochi fatti”, come spesso accade, purtroppo. Il territorio della Piana, peraltro, è, da sempre, contraddistinto da storiche alleanza che, però, negli ultimi anni (l’omicidio di Rocco Molè ne sarebbe la testimonianza) starebbero vacillando: Girolamo Molè ne è tanto consapevole che, sin dalle prime avvisaglie dello strapotere accumulato dai Piromalli, della corrispondente perdita di posizioni da parte dei suoi uomini e del conseguente determinarsi di un clima di tensione e conflittualità tra le famiglie da sempre alleate, già il 27 settembre 2007, nel corso di un colloquio mette in guardia il suo interlocutore, il rampollo della famiglia, il nipote Domenico Stanganelli, richiamandolo a stare “al suo posto”, per non distruggere quel potere mafioso frutto di oltre cento anni di storia: “qua ci sono 100 anni di storia che non la puoi guastare, ecco …tu ci sono 100 anni di storia che non la puoi guastare tu …”

Con la sentenza odierna viene anche certificata, seppure in primo grado, l’attuale persistenza delle due potentissime cosche Piromalli e Molè, sulle quali l’ultima sentenza definitiva era datata 2002. Vengono anche condannati gli Alvaro di San Procopio che, invece, avevano sempre professato la propria estraneità al ceppo originario della famiglia, originaria di Sinopoli. Gli Alvaro, in nome degli affari, avrebbero anche sancito dei rapporti di alleanza con i Piromalli, da sempre egemoni in quei territori. E allora, come detto, la sentenza di condanna (oltre un secolo di carcere) assume la valenza di una risposta, poderosa, da parte dello Stato. Una risposta fornita anche ai cittadini della Piana: non è necessario rivolgersi alle cosche per poter lavorare all’interno del porto. Un’indagine condotta in totale solitudine dal magistrato che, da anni, indaga sulle cosche della Piana e dei territori limitrofi.

Ma le condanne vanno a colpire, soprattutto, i cosiddetti “colletti bianchi”, quella “zona grigia” tanto citata: Pietro D’Ardes, infatti, è un uomo venuto da Roma per acquisire rilevanti attività economiche, costituite dal complesso aziendale della società cooperativa in liquidazione “All Services”. Giuseppe Mancini è un avvocato: condannato a 9 anni e 6 mesi avrebbe avuto un ruolo decisivo proprio nella vicenda “All Services”. Assai significativa anche la posizione di Gianluigi Caruso, condannato a 5 anni di reclusione per corruzione: liquidatore della “All Services”, nominato dal governo, avrebbe agevolato D’Ardes e Mancini ad accaparrarsi la società.

Viene colpita dunque la ‘ndrangheta “nuda e cruda”, quella di uomini il cui cognome è Alvaro, Molè, Piromalli, ma anche quella delle “facce pulite”, tutt’altro che impresentabili. Tra abbreviato e rito ordinario, a giudizio sono finiti, complessivamente, venticinque soggetti: venti le condanne e cinque le assoluzioni. Tra cui, come detto, anche quella dell’ex sindaco di Gioia Tauro, Giorgio Dal Torrione, che, nel frattempo, era stato scarcerato.

Si tratta, dunque dell’ennesima dimostrazione di quanto sia necessario, fondamentale, andare a colpire collusioni e commistioni che hanno permesso, negli anni, alla ‘ndrangheta di impossessarsi dei gangli più redditizi (e quindi decisivi) della società.