Processo Federica-Cambia imputazione-Resta in piedi l’impianto accusatorio

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14 gennaio, 2010

Processo Federica, La scarica elettrica non è più una certezza – I pubblici ministeri sulla base dell’istruttoria dibattimentale fin qui svolta potrebbero arrivare a modificare il capo d’imputazione – Un comune denominatore lega molte testimonianze: il black out in sala operatoria ha complicato le cose

VIBO VALENTIA – La scarica elettrica in sala operatoria non è più una certezza per la Procura della Repubblica. Le risultanze dell’istruttoria dibattimentale emerse fino ad oggi dal processo per la morte di Federica Monteleone, che si sta celebrando davanti al Tribunale (presidente Giancarlo Bianchi, a latere Anna Maria Lojacono e Cristina De Luca), potrebbero spingere la pubblica accusa ad “aggiustare il tiro”.

Stamane, infatti, a distanza di circa un anno dall’inizio del processo, i pubblici ministeri Mario Spagnuolo e Fabrizio Garofalo potrebbero arrivare a modificare il capo d’imputazione a carico delle persone coinvolte, che a vario titolo rispondono di omicidio colposo.

Si tratta di Francesco Talarico, all’epoca dei fatti direttore generale dell’Azienda sanitaria (che dovrà rispondere anche di corruzione); Antonio Stuppia, titolare dell’impresa che eseguì i lavori nella sala operatoria che dovrà rispondere anche di falso; Francesco Costa, anestesista; Alfonso Luciano, ex direttore sanitario dell’Asp; Pietro Schirripa, direttore sanitario dell’ospedale Jazzolino; Roberto De Vincentis, all’epoca direttore dei servizi tecnici; Nicola Gradia, responsabile di settore dei servizi tecnici; Antonio Bruni, ex consulente incaricato di seguire i lavori in sala operatoria e Matteo Cataudella, medico e direttore dei Presìdi ospedalieri unificati.

Alla base della morte di Federica Monteleone fin dal primo momento è stata ipotizzata una scarica elettrica che avrebbe provocato l’arresto cardiaco con conseguente blocco del circolo ematico ed ipossia cerebrale.

Una tesi sostenuta dal medico legale Pietrantonio Ricci che ha effettuato l’autopsia dopo la morte della giovane, avvenuta a Cosenza il 26 gennaio del 2007 dopo essere entrata in coma mentre veniva sottoposta ad un intervento di appendicite all’ospedale Jazzolino una settimana prima.

Tra i testimoni citati dai pubblici ministeri ad escludere l’elettrocuzione sul corpo di Federica era stato soprattutto l’ing. Dario Monti, consulente della Procura e successivamente l’ing. Massimiliano Vitozzi, che eseguì verifiche sulle apparecchiature elettromedicali della sala operatoria provvisoria all’interno della quale la sedicenne è stata sottoposta ad intervento di appendicectomia.

L’ing. Vitozzi, dipendente di un’azienda che fornisce servizi di ingegneria medica, che allo Jazzolino svolgeva periodiche verifiche sulle apparecchiature, ebbe modo di vedere la sala operatoria martedì 23 gennaio, quattro giorni dopo il drammatico intervento, anche se lo stesso ha sottolineato, nel corso della testimonianza, che in quella sala operatoria erano stati già eseguiti delle verifiche di massima da parte di tecnici dell’Asp addetti alla manutenzione.

Contrari alla tesi della scarica elettrica anche i periti della famiglia di Federica Monteleone, che hanno puntato buona parte delle loro conclusioni sulla responsabilità medica.

Ma dagli esiti processuali emersi fino ad oggi c’è un unico filo conduttore che lega le valutazioni di alcuni periti: il black out elettrico. In quella sala operatoria per alcuni minuti, per come confermato peraltro da tanti testimoni, c’è stato il buio, quindi la tensione, il panico, il tentativo di rianimare manualmente la giovane che si trovava ancora sotto i ferri. Tentativo riuscito ma quando ormai era troppo tardi.

Per capire quale quale nuovo convincimento, se di questo si tratta, i pubblici ministeri si siano fatti al termine dalla prima fase dell’istruttoria dibattimentale, bisognerà aspettare l’udienza odierna fissata per cominciare ad ascoltare i nove imputati.

Invece potremmo trovarci di fronte ad una “inversione di rotta”, imposta sicuramente dalle risultanze delle perizie ma nello stesso tempo da un “buco nero” venutosi a determinare nella prima fase dell’inchiesta sulla morte della giovane per via di qual mancato sequestro della sala operatoria, divenuto oggetto, tra l’altro, di un’indagine della Procura di Salerno.

Qualora si dovesse arrivare alla formulazione di un nuovo capo di imputazione, per come probabile, il processo potrebbe subire un rinvio.

Nicola Lopreiato

Gazzetta del sud