Omicidio Congiusta per gli investigatori Peppe piccolo è Curciarello

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Omicidio Congiusta per gli investigatori “Peppe piccolo” è Giuseppe Curciarello

Costa, nomi e frasi criptate

Il luogotenente di Soverato parla del pizzo a scarfò 


l'Industriale antonio scarfò

Continua in Corte d’Assise di Locri,presieduta dal giudice Bruno Muscolo con a latere il togato Frabotta, dopo la pausa estiva,il “racconto” del luogotenente dei carabinieri della compagnia di Soverato,Giacomo Mazzolini,inerente il procedimento penale relativo la barbara uccisione del giovane imprenditore sidernese del settore della telefonia mobile,Gianluca Congiusta,e che vede alla sbarra Tommaso Costa,accusato di aver organizzato la barbara uccisione e di aver promosso, diretto ed organizzato l’omonimo clan,ed il suo fidato “braccio destro” Giuseppe Curciarello, accusato solo di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Come si ricorderà la sera del 25 maggio 2005 il giovane  Congiusta,  veniva barbaramente “fulminato all’istante” da un devastante colpo di fucile caricato a pallettoni e sparatogli da distanza ravvicinata,(tra i 50 centimetri ed un metro) da un sicario che si trovava seduto su un mezzo,(moto od auto,difficile stabilirlo),che aveva affiancato la BMW  a bordo della quale il giovane Congiusta stava rincasando.L’udienza si apriva con le comunicazioni effettuate dal presidente Muscolo con le quali ha informato le parti che erano state depositate in cancelleria,da parte del perito Minetola, le trascrizioni e “traduzioni” delle lettere inviate e ricevute da Costa durante la sua detenzione nel carcere di Palmi,nonché che i sottufficiali della Guardia di Finanza,Mancuso e Di Pace,avevano chiesto ed ottenuto una proroga di 40 giorni per poter effettuare la trascrizione delle intercettazioni ambientali e telefoniche dal momento che avevano avuto difficoltà a reperire diverse delle bobine indicate nel conferimento dell’incarico.

Poi il luogotenente dei carabinieri della compagnia di Soverato,Giacomo Mazzolini,su richiesta del sostituto procuratore della direzione distrettuale reggina,Antonio De Bernardo,ha continuato il “racconto” iniziato lo scorso 31 luglio, (“racconto” che continuerà anche nella prossima udienza fissata per il prossimo 10 ottobre), attraverso il quale ha illustrato alla Corte di come le intercettazioni telefoniche ed ambientali e “poi il controllo della corrispondenza in entrata ed in uscita” che Costa  teneva dalle carceri di Palmi, abbiano via via consentito  di scoprire non solo l’esistenza del gruppo associato guidato dal boss sidernese ma anche i diversi “affari”,ad iniziare da quello del traffico di droga.

“Aiutandosi” con la corrispondenza che Tommaso Costa,tra il dicembre del 2003 fino a metà del 2004, ha ricevuto e spedito dal carcere di Palmi dove si trovava ristretto,Mazzolini ha evidenziato la determinazione e la ferocia del boss sidernese intenzionato ad eliminare anche un parente perché si drogava.
Il luogotenente ha spiegato,sottolineando molteplici passaggi, che i carabinieri della compagnia di Soverato,indagando su un traffico di droga ed alcuni episodi criminali che si stavano verificando nel soveratese, per primi si imbattettero nel “gruppo dei sidernesi”  guidato da Tommaso Costa  nonostante si trovasse ristretto nelle carceri di Palmi.Scoprivano così che il “clan Costa ” si era fortemente inserito nei traffici di droga che,dietro la regia del boss soveratese Vittorio Sia, si sviluppavano in quel territorio,ed era intenzionato a “svilupparli” anche nel centro foggiano di Nucera dove aveva come referente il boss Barsan Kaled.Il sottufficiale ha spiegato alla Corte che nella corrispondenza tra Costa ed i suoi interlocutori venissero utilizzate parole criptate ;(“capra bianca”)oltre che a nomi convenzionali come “Diabolik”, “l’uomo del monte”, “Silvano”,  riferiti a personaggi chiaramente mafiosi ma,poi non identificati,e Peppe piccolo. Quest’ultimo appellativo,-ha affermato Mazzolini-,riguardava un fidato uomo  di Tommaso Costa che fungeva da “collegamento” con Barsan  Kaled  e che “siamo riusciti ad identificare in Giuseppe Curciarello.”.Era a lui che Tommaso Costa,  oltre ad impartire ordini, si rivolgeva nell’imminenza della di lui scarcerazione,non solo per metterlo in guardia  sui pericoli cui poteva andare incontro una volta scarcerato,ma anche per impartigli “lezioni di ‘ndrangheta”, suggerendogli come deve comportarsi uno ‘ndranghitista  nei rapporti con gli altri. Il sottufficiale,tra l’altro,ha illustrato alla Corte che fu nel corso di una delle tante “duplicazioni” delle lettere che i militari entrarono in possesso della  lettera estorsiva nei confronti dell’imprenditore sidernese Antonio Scarfò.
Quella lettera,-evidenziava il luogotenente-,era stata annunciata da Tommaso Costa  alla propria moglie il 19 dicembre del 2003   durante un colloquio in carcere.Poi veniva spedita,  “nascosta” all’interno di una “normale” missiva,affrancata e con il destinatario già scritto il giorno successivo a quel colloquio.Quella missiva,la cui importanza investigativa emergeva soltanto dopo l’assassinio di Gianluca Congiusta,che venne poi spedita ad Antonio Scarfò ,-raccontava l’investigatore soveratese-, da quanto emergeva dalla corrispondenza che Tommaso Costa ebbe con la sorella Teresa,era finita nelle mani di “quello dei telefonini”,ossia Gianluca Congiusta,che, molto verosimilmente venne barbaramente assassinato proprio perché si era dato da fare per impedire che Antonio Scarfò,suo  futuro suocero, soccombesse alla richieste estorsive.====
Locri 1 ottobre 2008

pino lombardo per il Quotidiano