Espulso dall'ordine del capoluogo siciliano, risulta essere scritto in Calabria
Radiato a Palermo, legale a Locri
II caso dell'avvocato Salvo condannato per mafia
Di MITA BORGOGNO
LOCRI – Per dirla con Mario Puzo, l'autore del Padrino, era il "consiglieri" della mafia Memi Salvo, l'avvocato col "parrucchino", come lo chiamava qualche collega palermitano ai tempi d'oro della professione. Prima dell'arresto nel 1999 con l'accusa di concorso in associazione mafiosa. Prima dei quattro anni di carcere. Prima della radiazione dall'albo degli avvocati di Palermo. Ora, dopo aver scontato la pena ed essere stato riabilitato, l'avvocato Domenico Salvo, ha deciso di tornare ad esercitare la professione, riscrivendosi all'ordine. Ma non a Palermo, dove non ha neanche presentato domanda, ma a Locri. Almeno per come riportava la notizia il Giornale di Sicilia mercoledì scorso.
La riabilitazione ottenuta dall'avvocato Salvo è un atto discrezionale, così come lo sono le decisioni prese dall'ordine professionale nel momento in cui ha disposto la reiscrizione che ha consentito a Salvo di tornare a esercitare la professione. In tutte le sedi e in tutti i processi. Civili e penali. Ineccepibile, quindi, dal punto di vista formale.
E' la storia personale di Memi Salvo a essere controversa Era conosciuto bene nella Palermo che conta, figlio di quel Franco Salvo, integerrimo professore di filosofia maestro "di formazione e di vita" di Giovanni Falcone, che lo citava spesso tra coloro i quali, più di tutti, contribuirono alla sua formazione culturale.
Memi Salvo fu arrestato nel 1999 insieme e Nunzia Graviano, sorella dei terribili fratelli Giuseppe e Filippo,i boss stragisti del quartiere Brancaccio a Palermo, in carcere con l'accusa di essere gli assassini di don Pino Puglisi, e tra gli organizzatori dell'attentato a Paolo Borsellino e le stragi romane del '93. Memi gestiva gli affari della cosca e stava curando il trasferimento dei capitali del clan in Francia e Lussemburgo, quando la Dia di Palermo fece scattare le manette ai suoi polsi. La fine di una esistenza dorata e spudorata, condotta senza celare quel rapporto malato con i boss di Brancaccio né i continui viaggi a Nizza. Spudorati come la spiegazione che diede quando entrambi i boss misero al mondo due figli nonostante il 41 bis. Il seme dei boss, spiegò Salvo, era stato congelato in un contenitore all'idrogeno prima che i due fossero arrestati. Niente seme portato fuori dal carcere di nascosto. "Camurrie" diceva quasi vantandosi.
Pino quando fu chiamato in causa da un suo ex amico consulente della procura, il commercialista Giorgio Puma, fidanzato, tra l'altro, con la segretaria di Falcone. Puma, messosi nei guai per aver fregato dei soldi ai Graviano, decide di pentirsi e vuotare Ù sacco. Scattano allora le indagini, accurate, fatte di intercettazioni e controlli bancari incrociati. Si viene così a scoprire che Memi, non portava soltanto fuori dal carcere "pizzini" per i boss Graviano, che pare gli pagassero per il "servizio" uno stipendio di dodici milioni di lire al mese, ma che era anche disposto a curare gli interessi economico- finanziari del clan. O almeno così hanno ritenuto i giudici, che in tre gradi di giudizio lo hanno poi condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere.
Pena scontata e dopo la quale Memi Salvo non ha commesso altri reati e ha dato prove "effettive e costanti di buona condotta", il presidente dell'ordine forense di Palermo dice di non conoscere le valutazioni compiute dai colleghi di Locri: "A noi non è stata chiesta alcuna informazione – ha affermato Enrico Sanseverino al quotidiano siciliano – e presumo che nemmeno la Procura generale di Catanzaro abbia avuto nulla da obiettare. Non conosciamo dunque i motivi per cui un collega radiato dall'ordine di Palermo perché condannato per mafia sia stato reiscritto all'ordine di Locri».-Motivi che ieri non siamo stati in grado di farci spiegare non essendo riusciti a contattare il presidente dell'ordine di Locri.