Buccinasco il fortino della ndrangheta

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Milano/ Il viaggio di Affari a Buccinasco, il fortino della 'ndrangheta. Nel sud Milano i Papalia e i Barbaro comandano. Le carte giudiziarie

Sabato 19.07.2008 17:00

Certi nomi, a Buccinasco, fanno ancora tremare. Gli imprenditori, di fronte a cognomi come Papalia, Sergi, Barbaro, Trimboli, sanno che devono essere prudenti. Gli amministratori, quando si trovano in ufficio uno "delle famiglie", non sanno cosa fare. Perché, e la realtà è dura da accettare, la 'ndrangheta nel sudovest milanese, è più viva che mai. Semplicemente ha cambiato strategia: dalle pallottole alle srl, dalle estorsioni al movimento terra, ai cantieri, alle costruzioni.

Affari ha ricostruito le vicende mafiose di uno dei comuni con più alta infiltrazione grazie all'ordinanza firmata dal gip Piero Gamacchio che ha portato in carcere i nuovi boss della mala della periferia milanese.

I PADRI E I FIGLI – L'ordinanza del gip parte con un lungo excursus storico di Buccinasco. Qui, nel paesone cresciuto troppo rapidamente, negli anni '70, si stabiliscono le famiglie di Platì. Qui la 'ndrangheta attecchisce, per poi dare l'assalto al capoluogo milanese, una pallottola dopo l'altra. A raccontare tutto ai magistrati, nel 1992, è Salvatore Morabito. Detenuto nel carcere di Bergamo dal 1990, Morabito "canta". E spiega come a Corsico, Buccinasco, Cesano Boscone, il dominio della 'ndrangheta fosse completo. Dopo "mister calibro 9", come era chiamato, parlano anche il fratello e l'amico Mario Inzaghi. "Queste collaborazioni rendevano possibile – scrive il gip – ricostruire gravi episodi delittuosi tra cui omicidi, sequestri di persona a scopo di estorsione, rapine, violazione della legge sulle armi e numerosissimi episodi di narcotraffico". In quel momento la Procura di Milano inizia a sentir parlare dei Papalia e dei Barbaro. Le due famiglie vengono decimate. I sindaci, dopo l'operazione Nord-Sud, che fa scoprire aderenze strettissime tra i calabresi e la politica, pensano che sia tutto passato. Si torna a costruire, a movimentare terra. Passano gli anni e viene eletto Maurizio Carbonera. L'ex direttore del Centro Servizi Lavoro del Sud Ovest, diessino, ritorna a parlare di 'ndrangheta. La sua auto viene bruciata, riceve dei proiettili in una busta chiusa. Inoltre, viene investito dalle critiche di chi pensa che quei tempi siano definitivamente finiti. Invece no. E infatti, dall'ordinanza del gip, si scopre che il boss dei boss del sud ovest è Domenico Barbaro. Rocco Papalia è il suocero di Salvatore Barbaro, finito in carcere nell'ambito dell'operazione. Tra gli altri indagati, Pasquale Papalia, figlio del boss Antonio Papalia.

PAURA NEGLI UFFICI – Il Palazzo comunale di Buccinasco è una grande struttura. Arcigna, alta, massiccia, pare una fortezza. Dovrebbe rappresentare il potere dello Stato sul territorio. E invece è la riserva di caccia degli affiliati alla 'ndrangheta. Negli uffici si muovono come padroni. Si fanno pagare lavori mai svolti, terrorizzano i dirigenti comunali. Molti di quelli che hanno parlato agli inquirenti sono ancora là, a lavorare nel Palazzo. Hanno vuotato il sacco davanti agli inquirenti, ma hanno paura. Tanta quanta ne avevano quando capitava loro di fronte un Barbaro. "Che la vicenda del cantiere di via Guido Rossa a Buccinasco rappresenti un esempio topico dell'agire del sodalizio criminoso che ne occupa è reso evidente dalle significative dichiarazioni rese l'8 febbraio 2007" da un tecnico comunale di Buccinasco, scrive il gip. "Dichiarava dunque la persona informata dei fatti: "nella zona di Buccinasco, Assago, e Corsico l'attività di movimento terra è monopolio di alcune famiglie calabresi quali i Barbaro, i Papalia, i Sergi, e i Trimboli (i platioti). Anche quando il subappalto viene dato formalmente a ditte del luogo, i lavori di fatto sono eseguiti da questi padroncini calabresi. Posso citare ad esempio il più grosso cantiere aperto in Buccinasco, via Guido Rossa, nel quale i lavori sono formalmente appaltati nella zona di Rho, di fatto, nonostante tutte le assicurazioni dei committenti, i lavori di movimento terra sono stati eseguiti dai calabresi".

  'Ndrangheta/ Gli ordini al clan mafioso venivano impartiti dal carcere. Arrestati gli esponenti del clan Papalia – Barbato

Venerdí 18.07.2008 18:53   

Volevano arrivare a comandare il territorio lombardo come già accadeva in Calabria. Con una vera e propria cosca creata “ad hoc” e basata sulla conduzione familiare. Dove gli ordini venivano impartiti direttamente dal carcere da personaggi mafiosi di eccezione già condannati all'ergastolo nel 1997, nell’ambito del maxiprocesso Nord-Sud  e detenuti in regime carcerario duro seguito in base al 41bis. Un clan che però al nord faceva affari “puliti”, forti dei cognomi che portavano, conosciuti e temuti da tutti. Un'organizzazione criminale che aveva il suo centro a Buccinasco, ma che perpetrava il suo potere anche ad Assago e Corsico.  E che, attraverso intimidazioni e minacce, riusciva a farsi largo nel mondo degli appalti. Un modus operandi che garantiva profitti ingenti grazie alla "ichiesta"di sovrapprezzi fuori dalle logiche di mercato. A dare una mano all'organizzazione erano imprenditori compiacenti, le cui società servivano per schermare le imprese gestite dagli 'ndranghetisti, il tutto con un giro di fatturazioni false e compensi in denaro. Un traffico poco rumoroso su cui la 'ndrangheta punta sempre di più.  

IL CLAN MAFIOSO- Il clan, formato da due organizzazioni criminali, era riuscito a monopolizzare le attività illecite dell’hinterland milanese, soprattutto nel campo dello spaccio degli stupefacenti. La cosca, originaria delle zone di Platì e Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, e trapiantata nelle zone tra Buccinasco e Corsico, faceva capo a  famiglie radicate nella ’ndrangheta di stampo mafioso che avevano legami costanti con altri gruppi criminali operanti in Calabria. Famiglia mafiosa che era riuscita a prolificare in ogni campo, da quello edile a quello del narcotraffico

'Ndrangheta/ Gli ordini al clan mafioso venivano impartiti dal carcere. Arrestati gli esponenti del clan Papalia – Barbato

Venerdí 18.07.2008 18:53

GLI ORDINI DAL CARCERE –

Ad impartire gli ordini, nonostante fosse in carcere, era Antonio Papalia, capo indiscusso della ‘ndrangheta calabrese in Lombardia. E a lui facevano capo tutte le attività criminali anche con personaggi noti tra i mafiosi come Pepè Flachi e Coco Trovato Franco, capo del filone trapiantato a Lecco e che incorporava anche le province di Como e Varese.

Con lui da dietro le sbarre, comandavano anche i fratelli Rocco e Antonio.  Il potere di Antonio Papalia derivava direttamente dal vertice della ‘ndrangheta calabrese della famiglia De Stefano.

A servire il boss mafioso Salvatore Barbaro, genero di Papalia Rocco, ritenuto il promotore, l’organizzatore e il gestore dei piani malavitosi che si sviluppavano nell’hinterland. Lui aveva ricevuto l'investitura di boss emergente direttamente dal capo Rocco Papalia, che è suo suocero e dal quale prendeva gli ordini.

Emergente anche Pasquale Papalia, figlio di Antonio, colui che intratteneva i rapporti con gli imprenditori "ai quali si presentava come il genero di Papalia Rocco, imponendo il prezzo a metro cubo degli sbancamenti, stabilendo a propria discrezione chi dovesse lavorare nei cantieri, beneficiando altresì delle commesse di lavoro quale amministratore di fatto della Edil Company" di Platì, una delle nove aziende sottoposte oggi a sequestro preventivo. 
Il padre Domenico, 71 anni detto "l’australiano", considerato capo storico e internazionale della ‘ndrangheta, il fratello Rosario Barbaro 36anni, ma anche Mario Miceli 51enne e Pasquale Papalia, 29enne figlio di Antonio, che doveva garantire la continuità della cosca, avevano un ruolo di "compartecipi, sia partecipando alle attività di intimidazione, sia beneficiando delle commesse di lavoro" attraverso le ditte Mo.Bar sas a Corsico, sostituita dopo la liquidazione dalla F.M.R Scavi e costruzioni, la L.M.T. sas di Plati, la Lavori Stradali srl di Pogliano Milanese. Tutte "società schermo" sottoposte a sequestro. 
I PRESTANOMI- A servire il clan anche tre imprenditori insospettabili. Maurizio Luraghi, 53 anni di Rho, che insieme alla moglie Giuliana Persegoni, 49 anni, fungeva da "testa di ponte" mettendo a disposizione la loro società Lavori stradali srl, con sede formale in via Freguglia a Milano, di fronte al Palazzo di Giustizia, per far si  che si aggiudicasse i lavori per poi girarli in subappalto alle ditte Edil company, Mo.Bar, Fmr scavi, Lmt che facevano diretto riferimento alla cosca. Era dunque il famoso prestanome per ottenere gli appalti sui cantieri, e poi subappaltava illecitamente alla cosca.  In sostanza si interponevano come "imprenditori di facciata nella aggiudicazione delle commesse, che venivano subappaltate formalmente o in via di fatto alle ditte e società" citate, "liquidando in contanti gran parte delle spettanze dei sodali, giustificando contabilmente le uscite attraverso l'annotazione di fatture emesse da soggetti di comodo". Un'attività accertata tra luglio 2004 e luglio 2006.
Infine Maurizio De Luna, milanese di 44 anni, l'unico a non essere accusato del reato di associazione mafiosa, ma comunque accusato di riciclaggio aggravato da modalità mafiose perchè emetteva fatture false, che servivano a coprire il flusso di denaro tra Luraghie Salvatore Barbaro.   
LE VEDETTE-
Da tempo poi i Papalia e i Barbaro cercavano di riprodurre nel milanese lo stesso controllo criminale del territorio attuato in Calabria, anche chiamando a lavorare decine di ragazzi, che prima servivano come autisti dei camion o come vedette e col tempo scalavano la gerarchia mafiosa. Una sorta di colonizzazione della ‘ndragheta, in atto ormai da anni.