Audizioni davanti la Commissione antimafia.

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 Audizioni davanti la Commissione antimafia.

‘Ndrangheta, c’è molto da fare

 

Ribadita la forza criminale della organizzazione calabrese

ROMA. “La cattura dei latitanti, in Calabria, è un problema drammatico: quasi quotidianamente si ha notizia di latitanti di mafia arrestati, mentre in questa regione permane uno zoccolo duro di grandi ricercati, decisamente preoccupante, per numero e per qualità”. A lanciare l’allarme, davanti alla Commissione antimafia, è Vincenzo Macrì, magistrato della Direzione nazionale antimafia.

 

“Un esempio? Pasquale Condello – incalza Macrì -, il più importante: tutti sanno che non si è allontanato dalla zona che controlla, eppure ci sono grosse difficoltà a localizzarlo. Il numero di latitanti nella provincia di Reggio Calabria supera il centinaio, c’è un problema di risorse da dedicare a questo fronte”. Il livello di infiltrazione è “alto, basti pensare che dalle ordinanze di custodia cautelare contro membri della cosca Giuffrè di Seminara emerge che essa aveva un controllo totale dell’amministrazione comunale, stabiliva alternanze di candidati, arrivava addirittura a stimare con precisione i voti che avrebbe avuto una determinata lista (1700 contro gli effettivi 1708, ndr). Mentre dalle indagini sui lavori di ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria è risultato che Piromalli è arrivato a tracciare una variante, poi effettivamente realizzata perché migliore di quella pensata dai progettisti”. “Qual è il segreto di famiglie tanto longeve – chiede il magistrato della Dna -, i Piromalli, i De Stefano, i Mammoliti, i Morabito? Sono gruppi che non vivono occasionalmente, ma hanno una struttura che sopravvive nel tempo, sono interlocutori istituzionali, quasi imprescindibili, del potere: possono anche incassare condanne, ma importa relativamente se continuano ad essere consultati ad ogni consultazione elettorale e a fornire servizi in regime di monopolio”. Di fatto, “la loro sopravvivenza è garantita da uno Stato che da un lato si presenta come repressore e dall’altro come interlocutore. Del resto, tutta la storia della mafia in fondo è una storia di dialogo”. Quanto al rapporto tra mafia e politica, denuncia Macrì, “c’è una stasi delle indagini: c’è una sola sentenza passata in giudicato su un politico di rilevanza nazionale, originario della provincia di Reggio, mentre altri processi si sono conclusi con sentenze di assoluzione”.

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    ROMA. La ‘ndrangheta continua ad avere una posizione di assoluto rilievo nel traffico di cocaina, “ma non sempre a gestirlo direttamente sono membri dell’organizzazione: dopo le condanne degli anni 90, e come se l’attività fosse stata data in outsourcing”. Lo ha affermato Alberto Cisterna, magistrato della Direzione nazionale antimafia, nella audizione davanti alla Commissione antimafia. “I boss – ha spiegato Cisterna – hanno i canali di riferimento e conoscono le rotte, ma utilizzano altri calabresi, non appartenenti all’organizzazione ma accreditati dal suo “logo”. Potremmo arrestarne 5 mila e non diminuire di un grado la pressione effettivamente esercitata sul territorio”. Il quadro disegnato dal magistrato è tutt’altro che incoraggiante: “niente collaboratori di giustizia, le tracce di pagamento che emergono dalle intercettazioni sono labilissime, le cosche sono 155, solo 15 delle quali subiscono procedimenti nell’arco dell’anno. Per arrivare a conoscere tutti gli appartenenti ci vorrebbero almeno 10 anni: la frammentazione dell’organizzazione è un ostacolo, un conto è mettere le mani su Lo Piccolo, che significa dare un colpo forte al vertice di Cosa nostra, un conto è arrestare Piromalli o Condello, che sono solo due dei 155 capi. Meglio allora concentrare gli sforzi sulle 15 cosche maggiori”. “A Reggio Calabria – ha ricordato ancora Cisterna – in corte d’appello ci sono 22 maxiprocessi alla criminalità organizzata, con decine e decine di condannati in primo grado e solo 5 giudici per celebrarli: se si completeranno i collegi con giudici giovani si rischierà di affidare a questi ultimi un lavoro estremamente delicato, che richiederebbe esperienza”.

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  Sulla stessa lunghezza d’onda, il collega della Dna, Emilio Ledonne: “in Calabria – ha detto – è sbagliato dire che la mafia è collusa con l’amministrazione, la mafia è l’amministrazione. E bisogna fare i conti con una popolazione rassegnata all’oppressione della criminalità organizzata, e che essendo priva di garanzie fondamentali da parte dello Stato si sposta sull’altro fronte”.