Usura,maxisequestro di 2,2 milioni di euro

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Usura,maxisequestro di 2,2 milioni di euro

Undici immobili tra appartamenti, ville e capannoni industriali, nove automezzi, conti correnti e buoni fruttiferi postali. Il valore complessivo di tutto questo è di 2,2 milioni di euro. Si tratta dei beni sequestrati a sette persone accusate di usura ed estorsione arrestate nel marzo scorso nell'operazione "Sisifo", su cui martedì scorso è calata la scure dello Stato che vuole privarli dei loro patrimoni accumulati illecitamente secondo gli inquirenti.

Il sequestro è stato disposto dalla procura della Repubblica lametina guida da Raffaele Mazzotta che ieri ha sottolineato in conferenza stampa la cooperazione tra il Gruppo della guardia di finanza e la Squadra mobile della polizia. Sott'inchiesta dall'8 marzo scorso sono Vincenzo Giampà (39 anni), Antonio Salatino (41), Sergio Ugo Greco (49), Concetto Trovato (41), Rosario e Giovanni Notarianni (di 51 e 36 anni), e Francesco Olandini (59). Soltanto quest'ultimo si trova agli arresti domiciliari, gli altri sono tutti in carcere. L'accusa è di aver prima estorto del denaro e poi dato soldi ad usura ad un imprenditore lametino titolare di un'azienda edile specializzata in impiantistica elettrica. Le richieste d'arresto erano state firmate da Mazzotta e dal sostituto procuratore Alessandra Ruberto e convalidate dal Gip del tribunale lametino Barbara Borelli. Ed il prossimo 8 novembre, con una rapidità inusuale per un processo penale di questa portata, il processo va in dibattimento davanti alla corte.
Ai sequestri gli inquirenti sono arrivati dopo un'operazione investigativa fatta con metodi tradizionali per risalire ai possessori effettivi dei beni. «Spesso infatti», ha spiegato ieri il generale Riccardo Piccinni che comanda la Finanza in Calabria, «chi esercita attività illegali intesta i suoi beni a prestanome e "teste di legno", proprio per evitare che si possa risalire a loro».
Guardia di finanza e polizia hanno comunque seguito la procedura regolata dalla legge 356/92 che prevede il sequestro, e poi la confisca, dei patrimoni accumulati illecitamente e di cui i possessori non sono in grado di giustificare la provenienza.
I sette imputati nell'operazione "Sisifo" infatti sono piccoli imprenditori con redditi dichiarati di poche migliaia di euro, per lo più si tratta di attività che il generale Piccinni ha definito «di copertura» per nascondere il loro lavoro effettivo, quello del malaffare. Ma su tutto questo farà chiarezza il processo che comincerà il mese prossimo.
Gli investigatori comunque hanno dimostrato che c'è una sproporzione tra i beni posseduti dai presunti usurai ed estortori, e i loro redditi che spesso risultano irrisori. Il procuratore Mazzotta ha fatto qualche esempio: Vincenzo Giampà, appartenente ad una nota famiglia di 'ndrangheta della città, è risultato in possesso di una villa a Capizzaglie, in via degli Svevi, del valore di 250 mila euro.A Sergio Greco risulta la disponibilità di un grosso capannone ed alcuni corpi di fabbrica, pur gestendo soltanto un autolavaggio insieme al figlio. Sono suoi, secondo gli investigatori, anche due appartamenti nel centro storico, in via San Salvatore e via Pedichiusa.
A spiegare la complessità di queste indagini sono stati il colonnello Cesare Notacerasi e il comandante del Nucleo operativo lametino Maurizio Pellegrino. Francesco Rattà, capo della Mobile della questura catanzarese, ha sottolineato l'importanza della collaborazione tra le forze di polizia che producono effetti positivi. «Lamezia è una città caratterizzata dall'emergenza criminalità», ha sottolineato, «ed il nostro lavoro dev'essere anche quello di spogliare dei loro beni le persone che lavorano nell'illecito».
Così gli investigatori sono arrivati ad individuare una palazzina di Giovanni Notarianni in via Acri, una villa in località Cutura di Antonio Salatino, a cui risultano pure due appartamenti in contrada Barbuto intestati ad un piccolo imprenditore prestanome. A Trovato è stata sequestrata la palazzina di abitazione a Lagani ed un'altra in costruzione a Filadelfia, in provincia di Vibo. Ad Olandini, invece, che risulta pensionato, sono stati trovati buoni postali per un valore complessivo di 65 mila euro.
«A Lamezia stiamo dando risposte concrete contro la criminalità», ha evidenziato il procuratore Mazzotta, ricordando tra l'altro gli arresti fatti subito dopo tre omicidi. «Tutto questo», ha concluso il magistrato inquirente, «dovrebbe stimolare i lametini a rompere il muro di omertà ed a fare una scelta di campo: o con lo Stato o con la criminalità».