La ‘ndrangheta spiegata da Grasso

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Da calabria ora

 

La potenza economica della ‘ndrangheta; la debolezza della politica e  della magistratura;  l’alto numero di indagati che siedono in Consiglio regionale; l’incoerenza delle risposte dello Stato ; la necessità di un coordinamento investigativo reale.

L’AUDIZIONE A SAN MACUTO

C’è tutto e c’è di tutto nelle risposte, ferme e puntuali, che il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha fornito ieri alle domande che i componenti la Commissione parlamentare gli hanno posto nel corso delle tre giornate dedicate alla sua audizione. E c’è anche da esser grati al presidente della Commissione antimafia, Francesco Forgione, ed allo stesso procuratore Grasso per l’aver voluto che l’audizione fosse quasi interamente pubblica.
Ieri, nella sala stampa di Palazzo San Macuto, infatti, eravamo in molti a temere che per la caratteristica e la portata delle cose da trattare sulla seduta potesse abbattersi la scure della “seduta segreta”. Invece solo una manciata di minuti sono stati sottratti alla pubblicità della seduta ed hanno riguardato alcuni “dettagli” relativi allo stato delle nuove indagini sull’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno.
CHIAREZZA SUI NUMERI

Sul resto ampia chiarezza. A partire dalla penosa querelle sul numero dei consiglieri regionali calabresi sottoposti ad indagini da parte delle procure di Reggio Calabria e Catanzaro: sono in tutto 29. Il numero, già alto, non comprende i consiglieri “raggiunti da un rinvio a giudizio perché in quel caso i fascicoli escono dalle procure e vanno nei rispettivi tribunali competenti per territorio”.
Di questi 29, secondo le indicazioni fornite dal procuratore Grasso,  dieci sono iscritti al registro degli indagati presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, cinque di loro per reati connessi alla gestione dei finanziamenti della Legge 488 ed altri cinque per altre tipologie di reato ma non per fatti di mafia.
A Catanzaro, invece, i consiglieri regionali oggetto di indagini giudiziarie sono in tutto 12 e di questi cinque per reati di tipo mafioso. A tale dato va aggiunto che, sempre a Catanzaro, sette consiglieri regionali sono iscritti al registro degli indagati per “voto di scambio”. Anche la Procura di Reggio Calabria indaga su due “esponenti politici” con l’accusa di voto di scambio ma, in questo caso, “non si tratta di consiglieri regionali”.
E qui mettiamo finalmente un punto fermo ad una diatriba stucchevole tra chi da sempre ha sostenuto l’esistenza di questi numeri e chi, invece, li contestava.
E adesso ripercorriamo la cronaca della seduta di ieri a palazzo San Macuto. Si inizia con estrema puntualità dopo una breve premessa, gli serve per accompagnare il deposito di una relazione annuale con supporto informatico, il Procuratore nazionale antimafia entra subito nel merito del “Caso Calabria”.
“E’ il tema –spiega Piero Grasso- che ha registrato maggiore attenzione e più domande e che in effetti si presenta come di estrema attualità. Ho detto della pericolosa espansione della ‘ndrangheta, della sua consapevolezza, della sua forza economica e della sua supremazia criminale. Colpisce chiunque e determina un modello criminale fortemente preoccupante”.
LE INTIMIDAZIONI
E qui fornisce un dato effettivamente sconvolgente: “Nel solo anno 2006 le denunce per minacce, intimidazioni e danneggiamenti, mettendoci dentro anche le minacce telefoniche, assommano a ben 12mila. E’ un dato che considero veramente eccezionale e che testimonia come ci troviamo i presenza di un sistema che tende a risolvere tutto con le intimidazioni. Certo, non penso che tutti e 12mila i casi siano ascrivibili alla ‘ndrangheta ma molta parte sì. In ogni caso c’è il ricorso ad un metodo violento per regolare i rapporti interpersonali e per costringere qualcuno a fare quel che non vorrebbe fare”.
Dal dato generale, Grasso estrapola quelli relativi alle intimidazioni ed agli attentati contro esponenti del mondo politico, amministratori pubblici e sindacalisti: i casi denunciati sono 137 per l’area della Procura distrettuale di Catanzaro e 50 per quella della Procura distrettuale di Reggio Calabria”.
NOMI SECRETATI

E’ a questo punto che il Procuratore nazionale antimafia snocciola i dati relativi ai consiglieri regionali oggetto di indagini giudiziarie. Non ritiene opportuno fornire i nomi: “a meno che non lo riteniate indispensabile”. Angela Napoli lo vorrebbe: “Noi vorremmo sapere anche i nomi…”. Il presidente Forgione non è dello stesso parere: “possiamo sempre acquisirli, qui interessa il dato generale”. Anche Grasso non ritiene opportuno fare nomi, visto che in molti casi si tratta di procedimenti non ancora pubblici.
Si va avanti con l’indicazione che in tutta Italia pendono “ventisei indagini per altrettanti episodi di voto di scambio”. Grasso li cita, suddividendoli per città, con uno scopo ben preciso: evidenziare che “si tratta di procedimenti penali inutili perché vanificati dall’indulto che ha compreso anche i reati relativi all’articolo 416 ter”.
Anche sui dati relativi alle richieste cautelari pendenti, il procuratore nazionale ha ridimensionato di molto il fenomeno (si era detto di oltre 600 mandati di cattura inevasi solo a Catanzaro) evidenziando che alla data del 30 ottobre “risultavano pendenti presso il Gip di Catanzaro 309 richieste di custodia cautelare e presso quello di Reggio Calabria non più di 200/250”. Nel merito ha anche ricordato che “si tratta di un numero sempre variabile perché in questi giorni, ad esempio, sono stati eseguiti centinaia di arresti e quindi il numero sarà sceso ulteriormente”. Inoltre ha invitato la Commissione a prendere atto anche del fatto che “esiste una sproporzione tra il numero dei pubblici ministeri e quello dei Gip. A Reggio Calabria, ad esempio, sono 18 i pubblici ministeri mentre i Gip sono soltanto nove. C’è poi da capire bene cosa vogliamo, perchè se vogliamo un Gip che non si appiattisce sulle richieste del Pm ma le analizza con attenzione è chiaro che i tempi fatalmente si debbono allungare”.        LE MANI DELLE COSCHE SU SANITA' E LAVORI PUBBLICI

Sugli interessi economici della ‘ndrangheta, Grasso ha evidenziato in particolare il settore dei lavori pubblici e della sanità. “Nei cantieri entrano non solo con gli appalti ma anche, e forse soprattutto, con le forniture. Nella sanità privata c’è molta penetrazione, anche perché la chiamiamo sanità privata ma di fatto è pubblica anch’essa visto che si regge sul regime di convenzione con il sistema sanitario nazionale”.
VERIFICHE SUI FONDI AGEVOLATI ALLE IMPRESE
Attenzione delle cosche anche sui flussi dei finanziamenti alle imprese: “Abbiamo condotto proprio in Calabria –spiega Grasso- un progetto pilota affidando allo Scico della guardia di finanza un monitoraggio su tutti gli elenchi delle società e dei singoli che hanno beneficiato dei fondi della legge 488. Ne è risultato che in almeno 50 casi le società o i soggetti erano riconducibili ad ambienti criminali. Su questi abbiamo avviato ulteriori verifiche”.
LOGGE MASSONICHE

Spesso, a giudizio del capo della Dna, sono logge massoniche deviate a fare da collante tra mafia, politica e affari, eppure, ha ammesso sconsolato, “non ho dati – in verità da offrirvi perché no n risultano indagini pendenti e l’ultima che abbiamo rintracciata e vecchia di parecchi anni, originava da una segnalazione della Procura distrettuale di Catania ma non ha avuto futuro”. C’è un brusio tra i commissari, Grasso lo coglie ed annota: “E’ grave, lo so, perché mi riferiscono che in Calabria politica, mafia e massoneria spesso siedono allo stesso tavolo e con pari dignità”.
Infine il caso Fortugno: “Già le prime indagini segnalavano che tale delitto era collegato alle intimidazioni poste in essere contro il presidente della Regione Agazio Loiero, di cui Fortugno era soggetto politico di riferimento a Locri e nella provincia di Reggio Calabria. Oggi abbiamo fondate ragioni per ritenere che l’omicidio Fortugno appartenga allo stesso contesto nel quale si inseriscono l’attentato all’onorevole Zavettieri e le intimidazioni, avvenute prima e dopo l’omicidio, contro il presidente Loiero e l’onorevole Marilina Intrieri. Riteniamo che con queste azioni la ‘ndrangheta punti al condizionamento delle scelte della Regione nell’impiego dei 18 miliardi di euro di finanziamenti europei. Ora stiamo cercando i dovuti riscontri a questa pista investigativa”.
I RAPPORTI TRA DNA E DDA
A questo punto Piero Grasso chiede una sospensione e la seduta prosegue in forma segreta. Si riprenderà dopo una diecina di minuti e Grasso affronta il problema dei rapporti tra la direzione nazionale e quelle distrettuali: “La Dna ha un suo ruolo ma non sempre viene rispettato. Oggi apprendo dai giornali che a Palermo sono cambiati gli organici della Dda. Forse è un modo di comunicare diverso ma resta il fatto che non è stata rispettata una norma di legge che prevede una comunicazione preventiva ed un parere da parte del procuratore nazionale.
IL CASO REGGIO
A Reggio Calabria è andata anche peggio perché quel procuratore distrettuale ha sostanzialmente fatto quello che ha voluto, ha ritenuto non legittimati alcuni colleghi sulla base di una norma inesistente. Allora forse è il caso di porsi un problema e di cominciare a pensare che forse i procuratori distrettuali non meritano di poter liberamente organizzare l’ufficio della Dda. Su queste cose penso di chiedere il ritorno ad un minimo di controllo tabellare e per questo scriverò al Ministro della Giustizia ed al consiglio superiore della magistratura”.
LE ALTRE PROCURE
Si conclude con u n altro forte richiamo al Csm: “Vorrei qui segnalare, a proposito di Consiglio superiore della magistratura, che la Procura di Reggio Calabria va coperta con urgenza. Non la si può lasciare a lungo senza il nuovo procuratore capo. Così dicasi per la procura di Cosenza e per la Procura generale di Catanzaro. E c’è di che preoccuparsi se pensiamo che il posto di presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria risulta vacante sin dal 30 settembre 2005, così come quello di presidente del tribunale di Lamezia Terme. Ecco, ora io chiedo a voi: non c’è motivo per non nominare il Presidente della Corte d’Appello di Catanzaro”.
Forse sarebbe meglio usare il condizionale: non ci sarebbe motivo per non nominare… 



Paolo Pollichieni