I pizzini della mafia: dopo il tribunale anche l'Ordine dei medici di Palermo
Scritto da Massimo Ciccarello, 13/11/2007
Prima il "pizzino" con la scritta inquietante "Tribunale: 20 mila euro". Adesso dalla "contabilità" trovata nel covo del capomafia Salvatore Lo Piccolo salta fuori pure l'Ordine dei medici di Palermo. Il quale, secondo quel fogliettino recuperato dalla polizia, avrebbe versato una prima rata di 10 mila euro, cui ne sarebbe dovuta seguire presto una seconda di pari importo.
Il presidente dell'Ordine, Salvatore Amato, ha negato seccamente qualsiasi pagamento alla cosca che controllava la zona in cui si trova la sede dell'ente. Ma la circostanza ha ugualmente alimentato l'infinito dibattito sul potere della "piovra" di imporsi nel territorio come uno Stato parallelo. Per giunta molto più efficiente. E qui è il punto nodale della questione.Interi volumi sono stati riempiti per studiare il fenomeno, analizzando gli aspetti del cosiddetto "terzo livello" e delle contiguità di cui le cosche si avvantaggerebbero. E' un dato di fatto che la malavita organizzata permea il tessuto sociale di alcune zone del Meridione come una macchia d'olio che si compenetra nelle fibre. Fattori storici, culturali ed economici rendono il fenomeno difficile da estirpare. Ma non impossibile. Perché la forza e le risorse di uno Stato non sono commisurabili a quelle che può mettere in campo la malavita, per quanto ricca e internazionalmente collegata possa essere. Serve una politica di vero contrasto che non si affidi soltanto allo spirito di sacrificio delle Forze dell'Ordine o della Magistratura. Dare più risorse e più mezzi è solo un primo passo. Occorre poi un'attenzione costante di "fiancheggiamento" all'attività repressiva. Se certe borgate, certi rioni, certi borghi non vengono traghettati nel Ventunesimo secolo, ad ogni testa che si taglia l'idra mafiosa ne farà spuntare una nuova. La coscienza antimafia oggi è più diffusa e radicata di un tempo, grazie a una decisa azione culturale condotta dopo gli omicidi eccellenti. Associazioni come "Libera" gestiscono aziende agricole sottratte alla mafia in zone dove questa affonda le sue radici secolari. E' la dimostrazione che la collusione non è nel patrimonio genetico delle popolazioni, che combattere mafia, camorra, n'drangheta, sacra corona unita non è una lotta senza speranza. Ovviamente non è facile. I partiti e le coalizioni, tutti e nessuno escluso, devono mettere la lotta alle mafie fra i punti principali nei loro programmi. E sul loro rispetto si deve misurare la tenuta delle alleanze, non solo sul numero dei sottosegretari da strappare. Da loro serve impegno costante e coerenza.
A cominciare da chi si mette in lista.Il commento di ucceo gorettiL’articolo fa giustamente appello ai partiti per un’impegno costante e coerente a cominciare da chi si mette in lista.
Ma in Calabria chi viene messo in lista?
Vengono messi in lista le persone di provata serietà morale con un passato limpido e cristallino?
Vengono messi in lista le persone che hanno una storia politica improntata all’etica?
Vengono messi in lista le persone con una preparazione culturale capace di recepire le istanze del territorio?
Purtroppo no.
Spesso vengono messi in lista personaggi senza moralità ma con un pacchetto di voti di dubbia provenienza.Il tempo è scaduto, dice spesso il mio amico don Luigi Ciotti, è arrivata l’ora per i partiti di scegliere da che parte stare.ucceo goretti