‘Ndrangheta, catturato a San Luca il latitante Giuseppe Giorgi. E c’è chi gli bacia le mani

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Ricercato dal 1994 era in un bunker sopra il camino della sua abitazione. Era nell’elenco dei cinque ricercati più pericolosi in Italia. Deve scontare una condanna a 28 anni per traffico di droga
di ALESSIA CANDITO

giorgi

REGGIO CALABRIA – Dopo 23 anni di latitanza, sono scattate le manette per “U capra” Giuseppe Giorgi, considerato uno dei cinque latitanti più pericolosi d’Italia. Irreperibile dal ’94 e attualmente considerato al vertice della famiglia Romeo “Staccu”, il boss cinquantaseienne è stato arrestato questa mattina a San Luca, dopo quasi sei ore di perquisizione nella storica casa di famiglia, raggiunta e circondata nella notte da centinaia di carabinieri.

A sottolineare il ‘prestigio’ che Giorgi ancora ricopriva nella zona, all’uscita dalla casa dove era nascosto alcuni passanti si erano fermati e gli hanno baciato le mani, come mostra un video esclusivo mandato in onda dal Tg1.

“Avevamo intuito che c’era la possibilità che in questi giorni Giorgi passasse da casa – racconta uno dei militari che ha partecipato all’arresto – Quando le possibilità sono diventate alte probabilità, abbiamo fatto scattare l’operazione”. Un blitz complicato. La casa, un palazzotto a più piani dove abita tutta la famiglia, è nel cuore di San Luca, paese tuttora presidiato da un sistema di vedette dei clan, pronte a segnalare ogni possibile presenza estranea. Per questo, questa notte i carabinieri si sono mossi alla spicciolata, in silenzio, attenti a non farsi scoprire. Dopo aver circondato il palazzo e bloccato le strade limitrofe, attorno alle 3 hanno fatto irruzione.

Arrivati nell’appartamento di una delle figlie, gli investigatori non hanno trovato però traccia del latitante, se non un letto disfatto e ancora caldo. Ma sapevano che il boss era lì, per questo hanno iniziato a perquisire il palazzo palmo a palmo. Prima sono stati perlustrati gli appartamenti, le stanze, le cantine e le soffitte. Poi i carabinieri, planimetrie alla mano, hanno iniziato a controllare anche i muri. Da un vano nascosto sono saltati fuori 157mila euro in banconote di grosso taglio, divisi ordinatamente in buste impermeabili e occultati dietro una parete. Altri erano vuoti.

Giorgi era in bunker sopra il camino di casa a San Luca
Ci sono volute oltre sei ore di operazioni e occhi ormai allenati a scovare covi e nascondigli per individuare il bunker in cui Giorgi si era nascosto. Il rifugio, grande poco più di un loculo, era stato ricavato dietro il camino nella cucina dell’appartamento di una delle figlie del boss. Per accedere al covo, era necessario spostare una botola nascosta alla base da un masso. Da lì si apriva un piccolo tunnel che permetteva di accedere a uno stretto vano in cui il latitante riusciva a stento a stare in piedi. “Giorgi era praticamente murato”, ha spiegato il colonnello Franzese, che ha coordinato l’indagine. Una scomoda e quasi impensabile tana, pensata per salvarsi da un blitz, ma non per lunghe permanenze. E che questa volta non è riuscita a risparmiargli l’arresto.

Quando il meccanismo d’accesso al bunker è stato sbloccato, Giorgi è uscito senza fare resistenza e senza tentare di fuggire. “Prima o poi doveva succedere”, ha detto alle figlie, che abitano in quel palazzo e preoccupate hanno assistito per tutto il tempo alla perquisizione. Poi, rassegnato, si è fatto ammanettare.

Scortato dai carabinieri, il boss è stato portato all’auto che lo ha condotto al comando, di fronte a una folla silenziosa di amici e vicini. Più di uno di loro è riuscito ad avvicinarsi per salutarlo e baciargli le mani. Omaggi che riservano solo ai boss di rango.

 

“Come ogni capo, Giorgi non si è allontanato dalla sua zona – ha spiegato il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho – Andare via significa perdere il potere e nessuno si può permettere di farlo”. Un potere che si misura nel muro di omertà che per oltre due decenni ha protetto la latitanza del boss, catturato solo grazie a un’indagine tecnica, fatta di intercettazioni, osservazione dei familiari, pedinamenti. Anche per scelta. “In quest’operazione non ci sono stati confidenti, noi non vogliamo alcun rapporto con la criminalità. La ‘ndrangheta deve capire che non c’è margine di collaborazione con lo Stato, deve solo deporre le armi”, ha dichiarato il procuratore. “Questa – gli ha fatto eco il comandante provinciale dei carabinieri, Giancarlo Scafuri – è una terra che merita di più. I calabresi meritano di essere più coraggiosi e devono imparare ad avere maggiore fiducia nelle istituzioni”.
Latitante per quasi metà della sua vita, Giorgi deve scontare una condanna a 28 anni e nove mesi per associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e altri reati. Ma questa – ha rivelato in passato il pentito Francesco Fonti – non sarebbe stata l’unica attività cui il boss nel corso della sua vita si sarebbe dedicato. Secondo il collaboratore, Giorgi sarebbe stato coinvolto anche in un traffico di niobio, sostanza utilizzata per costruire reattori nucleari, trasportata dal boss da Budapest alla Sierra Leone. Qualche anno dopo, “U capra” si sarebbe occupato di organizzare l’affondamento di tre “navi dei veleni” – carrette del mare cariche di scorie – al largo delle coste calabresi.
fonte R.it