‘Ndrangheta, “Così in carcere mi sono affiliato alla famiglia”

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Un collaboratore di giustizia depone nel processo sulle presunte infiltrazioni dell’organizzazione malavitosa nel ponente ligure. E parla di ‘Pasqualino, capo di una ‘ndrina a Sanremo: lavorava al casinò”

pentito

“La ‘ndrangheta si sviluppa meglio all’interno degli istituti penitenziari che all’esterno”. A squarciare il velo di silenzio su ciò che accade all’interno delle carceri italiane è Gianni Cretarola, collaboratore di giustizia e testimone al processo “la Svolta” che si tiene presso il tribunale di Imperia, sulle presunte infiltrazioni dell’organizzazione malavitosa nel ponente ligure. 

“Negli istituti penitenziari – ha continuato Cretarola parlando ai giudici nascosto dietro un paravento – si creano alleanze da sfruttare una volta ritornati in libertà. Non solo, si parla di traffico di stupefacenti e di armi, ma anche, e soprattutto, di controllo del territorio”.

Condannato per l’omicidio di Daniele Delfino che avvenne a Sanremo nell’estate del 2001 su una spiaggia a Sanremo, Cretarola, cambia diversi istituti penitenziari, passando da Sanremo, a Cuneo, Ivrea, Alessandria per arrivare nel carcere  di Sulmona, dove incontrerà una persona in particolare che segnerà il suo destino nelle file della ‘ndrangheta.

“Sin da ragazzo avevo l’aspirazione di essere un affiliato della mafia, mi son sempre dato da fare, passando dal piccolo spaccio di droga al furto di motorini fino all’omicidio – racconta il collaboratore di giustizia – della mia affiliazione si era sempre parlato con Antonio Palamara (imputato in questo procedimento penale con l’accusa di essere uno dei capi della locale di Ventimiglia, ndr) ma si è sempre rimandato”.

Nel suo  racconto il collaboratore di giustizia , rivela come sia facile, in carcere comunicare tra affiliati “in qualsiasi trattamento, tranne il 41 bis”. Racconta, in particolare Cretarola, di quando era detenuto nel carcere di Sulmona e di come fosse facile all’epoca riuscire a tenere i contati con le ‘ndrine esterne al carcere grazie alla collaborazione dei familiari dei detenuti o degli stessi detenuti quando uscivano in permesso premio.

Proprio nel carcere di Sulmona, fu Massimilaino Sesisto, condannato a trent’anni per vari omicidi, ad affiliare Cretarola alla grande ‘famiglia’: “Di solito  –  spiega il pentito – se si è fuori dal proprio territorio bisogna avere la benedizione del capo della ‘ndrina del tuo paese di origine ed essendo di Sanremo, Massimiliano Sesisto, ha dovuto mandare un ambasciata a Palamara Antonio, di Ventimiglia, che, dopo un primo silenzio, si decide da dare il suo consenso”.

Il ‘battesimo’ avenne nella calzoleria del carcere: “Se si effettua il battesimo al di fuori del carcere bisogna bonificare l’area da eventuali cimici – racconta Cretarola – ma nel mio caso ci simo limitati a scegliere una parte della calzoleria che fosse in disparte e Massimiliano Sestito ha proceduto a recitare una formula che desse sacralità al posto.”

La cerimonia è anche detta ‘taglio della coda’ perché è usanza del ‘ndranghetista di credere ancora che l’uomo abbia ancora la coda e che sollevi la polvere mentre cammini. “Ho succhiato il sangue dal pollice da chi mi ha battezzato”: così era scritto nel rito degli ‘ndranghetisti.

Nel corso della sua deposizione, Cretarola, ha svelato anche la presenza di un ‘ndrina presente a Sanremo comandata da un certo Pasqualino, “di cui però so solo che aveva sessant’anni e lavorava al casinò”.