Preti, magistrati, imprenditori e politici Un’intera città nelle mani della ‘Ndrangheta

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L’organizzazione criminale controlla tutto. Dal Comune alle università, dai cantieri agli ospedali. Dai politici che fanno accordi con i boss, al prete compiacente. Trova sponde persino dentro alle parrocchie e si insinua a Palazzo di Giustizia

Preti, magistrati, imprenditori e politici Un'intera città nelle mani della 'Ndrangheta

Il consigliere Pdl Santi Zappalà arrestato nel dicembre 2010

REGGIO CALABRIA – E’ marcia. Si nutre di malaffare, affoga nelle sue complicità. Uno con l’altro, si favoriscono tutti. Avvocati, magistrati, costruttori, commercialisti, capi della ‘Ndrangheta, spioni, prelati. E medici, ingegneri, dirigenti del comune, consiglieri regionali, alti funzionari dello Stato, guardiani di giardini, assessori e assassini. E’ nelle loro mani Reggio. Tutti insieme hanno sottomesso una città che ormai nasconde dentro il suo ventre anche tanti segreti d’Italia.

E’ opulenta Reggio. Non è ricca, è sfrenatamente ricca. Soldi che partono dalle fiumare dell’Aspromonte e dalle miserabili case di Archi e raggiungono Roma o Milano per risplendere fra gli specchi di ristoranti alla moda o nelle vetrine di negozi griffati, dove tutto è costoso, firmato, esclusivo. E’ ostile Reggio, è cattiva per proteggere se stessa e i suoi padroni. Un’aristocrazia criminale che governa fra stalle e salotti.

Comandano dappertutto. Hanno prestanome dappertutto. E talpe. Al Tribunale. Negli uffici di polizia giudiziaria. Nelle amministrazioni locali e statali. Sanno sempre prima cosa accadrà. Se c’è un ordine di cattura pronto o una microspia in qualche casa, se c’è un pezzo di terra edificabile o denaro da arraffare con i depuratori o i contributi europei.  Ogni tanto un “insospettabile” resta intrappolato. E sono sempre i soliti ignoti.

La politica. Chi se lo poteva mai immaginare che l’onorevole Santi Zappalà, uno dei più votati del Pdl al consiglio regionale, faceva la fila con il cappello in mano per chiedere udienza a don Peppino Pelle?
“Troviamo un accordo”, lo pregava il politico. “Troviamo un accordo e poi vediamo”, insisteva mentre lì, nella spelonca di Bovalino  dove abitano, i Pelle avevano già programmato la loro campagna elettorale. Tre consiglieri da eleggere sulla costa tirrenica e altri tre consiglieri da eleggere sulla costa jonica. “Tutti e sei a Catanzaro e poi, se si comportano bene, li mandiamo a Roma”, diceva ai suoi don Peppino. L’onorevole è stato preso con il sorcio in bocca. In galera ha contattato un cugino che aveva un altro cugino alla Corte di Appello, buon amico di un cancelliere che conosceva intimamente un magistrato di Cassazione. Fino all’ultimo Santi Zappalà ha tentato di “aggiustare” il suo processo.

Il buco nel Comune. Chi se lo poteva mai immaginare che la ‘Ndrangheta diventasse socia del Comune di Reggio, oggi devastato da un buco di 170 milioni di euro? Non lo sapeva naturalmente l’ex sindaco Giuseppe Scopelliti  –  oggi governatore della Calabria  –  e nemmeno l’attuale Demetrio Arena. Come avrebbero mai potuto credere, tutti e due, che la Multiservizi spa, società mista che sovrintende alla manutenzione ordinaria della città (51 per cento di proprietà dell’amministrazione comunale, 49 per cento di proprietà privata), avesse dentro come titolari i terribili Tegano, boss fra i più potenti della città? Molti stimabili professionisti erano consulenti della Multiservizi. Prima di diventare sindaco, lo era anche Demetrio Arena.

Il parroco compiacente. Chi se lo poteva mai immaginare che don Nuccio mentisse in un’aula di giustizia per difendere Santo Crucitti, capobastone del rione Condera e suo devoto parrocchiano? Proprio lui, Nuccio Cannizzaro, cerimoniere dell’arcivescovo Vittorio Mondello e cappellano del corpo dei vigili urbani della città? Eppure don Nuccio non ci ha pensato su un momento: fra un gruppo di ragazzi di Condera che volevano far nascere un’associazione culturale e il boss Santo Crucitti che li minacciava, il prete ha scelto il boss. Giurando il falso davanti a Dio e davanti agli uomini.  Il parroco si è difeso come si difendono in tanti in questa Reggio Calabria dove si sostengono a vicenda per sopravvivere: “Bisogna distinguere chi è mafioso e chi non lo è. Non si può fare di tutta l’erba un fascio. C’è molta gente scoraggiata perché pensa che, quello che sta accadendo a me, potrebbe capitare a tutti”.

Le indagini a tutto campo. E sta capitando. Da quando sono scesi a Reggio magistrati come Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, funzionari di polizia e ufficiali dei carabinieri di primissima qualità, la città marcia deve fare conti che non aveva mai fatto prima. Non c’è niente, giù a Reggio, che non sia finito in un’indagine. L’Università. Il Comune. La Regione. Le ex municipalizzate. Le Asl. Il Palazzo di Giustizia.  Qualche giorno fa, è cominciato il processo per undici professionisti e burocrati di Reggio che trafficavano in varianti del piano regolatore e su piantine catastali. Condoni edilizi fasulli. Certificati di abitabilità “corretti”. E mazzette.

L’assessore e le ‘ndrine. Qualche giorno fa è filtrata anche la notizia che l’assessore ai Lavori Pubblici, Pasquale Morisani, conversava di strategie elettorali con il condannato per mafia Giuseppe Romeo, vicino a una delle tante ‘ndrine che si sono inserite nella grande distribuzione alimentare, nell’intermediazione del credito, nell’edilizia. Volevano infiltrasi anche nella politica. E hanno convogliato tanti voti sull’assessore. Lui non ha negato di conoscere quelli lì, però ha garantito sul suo onore che non ha mai fatto commercio con loro. Sono le teste di ponte degli Alvaro o dei Condello che hanno comprato alberghi e discoteche, che pilotano fallimenti per mettere poi dentro i loro uomini, che salgono su a Roma e in Emilia a ripulire il denaro comprando bar in via Veneto o rilevando centri commerciali. Sono personaggi come Pasquale Rappoccio, ufficialmente imprenditore, che prometteva voti a destra e sinistra e contemporaneamente sponsorizzava il presidente Scopelliti e anche Lele Mora. Campagne elettorali e notti bianche. Nella stanza da letto di casa sua, quel Rappoccio tiene il grembiulino della loggia e l’immagine della Madonna dei Polsi. Sette e Cupole. E un po’ il riassunto di Reggio Calabria.

Il mancato attentato a Napolitano. L’ultimo da ricordare è Giovanni Zumbo, affermato commercialista che faceva il doppio o il triplo gioco fra la ‘Ndrangheta e i servizi segreti, una spiata qua e l’altra là fino a quando  –  anche lui  –  è finito schiacciato nell’indagine sul ritrovamento di un’auto piena di armi sul percorso del Presidente Napolitano in visita in Calabria. E’ uno dei cittadini chiave di questa Reggio che si allunga misteriosa verso lo Stretto, il dottor Giovanni Zumbo. E’ uno dei complici.

01 dicembre 2011

fonte: Repubblica