Il pentito Giuseppe Costa racconta la guerra di mafia di Siderno

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Il pentito nel processo “Recupero” rispondendo alle domande del pubblico ministero Antonio De Bernardo racconta 20 anni di ‘ndrangheta e particolari inediti della faida di Siderno, fa nomi e cognomi di killer e mandanti dei delitti voluti dai Costa, suppone e è più vago quando deve riferire delle azioni di fuoco subite dalla sua famiglia. «Fino al 1987 – dice Giuseppe Costa – con i Commisso c’era un rapporto buono, dopo la morte di Antonio Macrì nel 1975 il comando lo ha preso Cosimo Commisso classe ’50. Io non so se la faida è iniziata perché anni prima c’è stato l’episodio di una lettera trovata in cui si parlava di traffico di droga per conto dei Commisso, oppure se perché si pensò che un furto di fucili in casa di Commisso lo si addebitò a mio fratello Luciano, o ancora una rapina in un ristorante venne addebitata alla mia famiglia, non saprei dire, a parer mio però era un pretesto per Cosimo Commisso di prendere lo strapotere ed eliminare l’unica famiglia, la mia, che poteva contrastarlo anche se mai mi ero opposto al suo comando, a me prendermi Siderno non interessava». Così Costa racconta della faida iniziata con il delitto di Luciano Costa nel 1987.«Secondo me – racconta il pentito – mio fratello Luciano lo ha fatto ammazzare e lo ha ammazzato Cosimo Commisso con un certo Belcastro, l’ho capito anche se hanno provato a farmi credere che era stato Angelo Figliomeni, per me non era così. I miei fratelli però dopo che sono uscito dal carcere hanno voluto uccidere Vincenzo Figliomeni “u briganti” che era il capo ‘ndrina di Donisi, io non era d’accordo ma lo hanno fatto mio fratello Tommaso insieme a Franco Agostino. Poi c’è stato l’omicidio Baggetta, che non era della faida ma per questioni personali e lo hanno fatto Giuseppe Curciarello e Domenico Fragomeni detto “fanarra”». Costa racconta anche dell’omicidio ordinato da lui e fallito nei confronti di Cosimo Commisso e Antonio Commisso in cui a sparare furono i suoi fratelli Tommaso e Giuliano, ma parla anche del delitto del fratello Vincenzo, sordo muto:«lui non c’entrava nulla» ha detto. Nel suo racconto riferisce degli spostamenti in Canada del gruppo Commisso per eliminare un altro dei suoi fratelli. Nei ricordi di Costa ci sono i suoi fedelissimi, oltre ai fratelli parla di Cascio Gandolfo, Giuseppe Curciarello, Paolo Meleca, Domenico Fragomeni “fanarra” e Donato Giordano il carabiniere killer. Ma racconta anche del gruppo di fuoco dei Commisso formato da Angelo Figliomeni, Riccardo Rumbo, Riccardo Gattuso, Salvatore Salerno e altri presunti affiliati. Contro di loro punta il dito per gli omicidi nei confronti dei suoi fratelli. E dopo quasi 6 ore di racconto la parola passa alla difesa che fa vacillare in alcune circostanze i ricordi di Costa che non sa riferire chi lo avrebbe notiziato, e quando, delle affiliazioni di diversi imputati del processo. Risponde alle domande degli avvocati della difesa, Eugenio Minniti, Antonio Speziale, Letterio Rositano, Menotti Ferrari, Riccardo Errigo, Giuseppe Calderazzo, Leone Fonte, Vincenzo Nobile, Adriana Bartolo, Francesco Lojaocono, e Cosimo Albanese. In un inciso ha riferito di avere scritto una lettera all’ex sindaco Alessandro Figliomeni per chiedergli un interventosulla sua situazione carceraria. Poi tanti i non ricordo e molta la confusione in diverse ricostruzioni nella parte che riguardava le azioni e la struttura della cosca avversa.