Calabria Ribelle-Il giudizio di Agostino Riitano

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Non leggevo più libri sulla ‘ndrangheta

Avevo deciso di non leggere più libri di, su, attorno alla ‘ndrangheta. “Non mi interessa sorbirmi semplici copia e incolla di atti giudiziari” mi dicevo. Perché sono noiosi, perché non rappresentano che una realtà distorta del fenomeno (è come scrivere di Milano parlando delle multe per divieto di sosta), perché sono degli scempi narrativi e letterali. Con l’eccezione di Dimenticati, autori Danilo Chirico e Alessio Magro, avevo posto il bando a tutto questo.

Di questo e altro ne parlavo spesso con Giuseppe Trimarchi, uno scrittore e un intellettuale. Non di quelli che dirigono giornalacci locali free press che fanno l’occhiolino alla ‘ndrangheta con la scusa di voler essere per forza contro corrente. Non di quelli che scrivono due-tre righe fintamente politically incorrect sui quotidiani. Non quelli che si definiscono liberi e fondano settimanali che l’unica libertà che suggeriscono è quella del lettore di buttarli nel cestino. No, è un intellettuale. Punto.

Solo Giuseppe poteva scrivere Calabria Ribelle (Città del Sole, 15 euro).  Un libro che non copia e incolla atti giudiziari. Sol perché delle storie raccontate atti giudiziari non ce ne sono. Un libro che non si presta a velina dei pubblici ministeri. Sol perché i pm su molte delle storie raccontate non ci hanno capito molto. Un libro che non liscia il pelo a questa o quella procura, o a questa o quella corrente in procura. Sol perché dalle storie raccontate la giustizia ne esce con le ossa rotte.

Giuseppe, che ringrazio per avermi chiesto di scrivere uno dei capitoli conclusivi, racconta storie di vittime, di perdenti (perché questi sono, diciamocelo francamente, tutti quelli che resistono alla ‘ndrangheta e devono pure sorbirsi l’indifferenza della società civile, dei media e di parte dello Stato), di dimenticati.

Sii sincero” mi aveva ordinato Peppe dandomi il libro e chiedendomi un giudizio. E sono sincero, Peppe. Le pagine mettono una tristezza unica corroborata solo dalla tua voglia di essere ottimista, dal tuo amore per la nostra sfortuna terra. Tu ami la Calabria, ami la Locride e lo si vede da come la declami, Peppe. Un lirismo che è difficile trovare in un libro su vittime di mafia. Ma è forse questo che in parte mi differenzia da te. Io la amo la Calabria, amo la Locride e amo il mio paese, Monasterace. Sud di un sud dimenticato e violento. Ma non ci vedo nessun germoglio di speranza, né di fiducia. La verità è che, tranne che a pochi illuminati, a Liliana, a Mario e agli altri di cui parli nel libro ai calabresi non frega niente di lotta alla ndrangheta.