I colori della memoria. I colori di Gianluca Congiusta
Mi succede ogni volta in cui si avvicina la fine di maggio. Da qualche anno, ormai: da quando Congiusta si è trasformato, da un cognome urlato sui media per l’ennesima uccisione di una vittima innocente della ‘ndrangheta, nella sintesi di affetti sempre più forti.
Ho conosciuto Gianluca per caso, quando vinse la regata di Ulisse a Reggio Calabria. La Provincia era tra gli enti patrocinanti, quel ragazzo pieno di riccioli e di voglia di vita era venuto nel nostro stand prima di prepararsi a ritirare, con i suoi compagni, il premio. Mi è tornato alla mente molto dopo, iniziando a conoscerlo e riconoscerlo dai ricordi di Roberta e Alessandra, le due incredibili sorelle, dalle lacrime soffocate di mamma Dona, dalla voglia di giustizia e dalle lotte continue di papà Mario, il mio gigante. Il nostro gigante.
Quando si avvicina il 24 maggio vorrei essere in un altro mondo. Vorrei poter dimenticare. Ma Luca non si dimentica. E non solo perché è coprotagonista, con Roberta, di una delle storie del mio ius sanguinis. Non solo perché conoscere l’amore e l’affetto custoditi gelosamente nella loro casetta a Siderno, che profuma di zagara e di buonavita, è un regalo dal valore immenso. Luca entra dentro e non ti lascia più.
Ieri e domani, a cavallo di questo 24 maggio che ritorna, uguale a se stesso, dopo 7 anni, sono state fissate due udienze del processo di secondo grado. Il primo si è concluso il 18 dicembre 2010: dopo cinque giorni di camera di consiglio, l’ergastolo al “presunto” boss della ‘ndrangheta Tommaso Costa come mandante dell’omicidio e la condanna a 25 anni di reclusione a Giuseppe Curciarello, per associazione mafiosa.
Ma oggi è ora di stare in silenzio. Di ascoltare il dolore sordo e cieco che da allora scorre nelle vene di chi lo ha amato. E deve scorrere anche in quelle di chi non lo ha amato perché non lo conosceva, ma non potrebbe che amarlo se solo provasse a farsi raccontare qualcosa di lui.