Tutti gli ”infedeli” smascherati

Print Friendly, PDF & Email

Tutti gli ”infedeli” smascherati

di Claudio Cordova – Anche un membro delle forze dell’ordine tra i possibili fiancheggiatori del gruppo Condello.

La circostanza è stata raccontata, alcuni giorni fa, dal Colonnello Valerio Giardina, ex comandante del Ros di Reggio Calabria nell’ambito del procedimento “Meta”, che si celebra all’interno dell’aula bunker. Il fatto è stato appreso dagli investigatori nel corso delle lunghe indagini che hanno portato alla cattura, il 18 febbraio 2008, del boss Pasquale Condello, il “Supremo”. Le cimici del Ros hanno captato una conversazione del settembre 2007 in cui Ugo Marino, un soggetto vicinissimo al boss, in quel periodo latitante, parla, all’interno del proprio ufficio, con un personaggio non identificato, probabilmente appartenente alle forze dell’ordine: “Abbiamo ascoltato Marino parlare con un certo “Pippo”, che forse è un membro delle forze di polizia, questi lo informava della presenza di una microspia in quel luogo”. Un fatto inquietante e gravissimo, sui, però, gli investigatori non sono ancora riusciti a fare piena luce a distanza di oltre quattro anni dalla conversazione.

E’ solo l’ultimo caso sospetto e, allo stesso tempo, inquietante, che avrebbe per protagonista un membro delle istituzioni, un agente di polizia giudiziaria, al servizio delle cosche. La ‘ndrangheta non c’entra, ma, di recente, un poliziotto, Antonino Franco, è finito in manette con l’accusa di truffa: avrebbe architettato, insieme ad altre persone, un meccanismo per spillare soldi a soggetti coinvolti, a vario titolo, in complicate vicende giudiziarie. L’uomo avrebbe infatti chiesto dei soldi alle famiglie di Orsola Fallara, dirigente del Settore Finanze del Comune di Reggio Calabria, morta suicida, ai familiari di Alessandro e di Giuseppe Marcianò, presunti responsabili del delitto di Franco Fortugno, e a Mario Congiusta, padre del giovane assassinato a Siderno alcuni anni fa. Richieste di soldi in cambio di fantomatiche carte che avrebbero potuto cambiare la situazione giudiziaria delle persone interessate.

L’elenco degli “infedeli”, però, è lunghissimo con l’operazione “Overloading”, vengono tratti in arresto individui a vario titolo legati alle cosche di Franco Muto, “il re del pesce”, di Cetraro, Chirillo, di Paterno Calabro, e di San Luca, nella Locride, con l’accusa di fare parte di una grande rete dedita al traffico internazionale di stupefacenti. E nell’elenco dei fermati spicca il nome di Luigi Verde, Colonnello dell’Arma dei Carabinieri in servizio a Bolzano. L’alto ufficiale, secondo quanto sarebbe emerso dalle indagini, avrebbe svolto un ruolo nel trasporto della droga: nel corso di alcune perquisizioni, peraltro, Carabinieri e Guardia di Finanza, che eseguirono al provvedimento di fermo, trovarono anche armi da guerra ed esplosivi.

L’operazione “All inside 2”, realizzata contro le cosche della Piana di Gioia Tauro e coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, portò invece all’arresto di due militari dell’Arma dei Carabinieri e di un agente della polizia penitenziaria. Gli appuntati Carmelo Luciano, classe 1965 e Giuseppe Gaglioti, classe 1978, in passato in servizio presso la Tenenza di Rosarno, avrebbero “passato” importanti particolari d’indagine ai presunti affiliati della potente cosca Pesce. In manette finì anche un agente della Polizia Penitenziaria, Eligio Auddino, arrestato con l’accusa di corruzione: l’uomo avrebbe reso meno traumatica la detenzione carceraria degli esponenti del clan. A metà settembre, Auddino è stato condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione, inflitti, in primo grado, dal Gup di Reggio Calabria Roberto Carrelli Palombi. Con lui condannato, a tre anni di reclusione, anche il carabiniere Lucio Aliberti: per entrambi, in sede di giudizio abbreviato, sono state riconosciute le aggravanti mafiose.

Negli scorsi mesi, un altro ex agente di Polizia Penitenziaria, Vincenzo Zuccarello, venne arrestato su richiesta della Procura di Palmi, retta da Giuseppe Creazzo, che dimostrò come l’agente avrebbe consentito a detenuti della Casa Circondariale di Palmi di fare dal suo cellulare telefonate non autorizzate ai propri familiari in cambio di somme di denaro e di altri favori: Zuccarello andrà a processo e patteggerà la pena. Risultano tuttora alla sbarra, invece, i membri della Guardia di Finanza Vincenzo Insardà, Giuseppe Crinò e Francesco Inzirillo: avrebbero fornito, favorendo anche le cosche, alcune “soffiate” su delicate indagini fiscali, finalizzate non solo ad accertare l’entità dei patrimoni delle cosche della ‘ndrangheta, ma, soprattutto, a individuare metodi e percorsi utilizzati per “ripulire” e riciclare le somme ricavate con il traffico di sostanze stupefacenti e del fitto sistema di estorsioni che le ‘ndrine mettono in atto nei territori della Locride. Rimanendo sullo stesso territorio, nell’ambito dell’operazione “Circolo Formato”, condotta contro il clan Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica, finisce in manette un altro esponente della Polizia di Stato, Franco Avenoso, che avrebbe favorito le attività della cosca, capace di condizionare le elezioni nel paese della Locride.

Servitori dello Stato infedeli, come sarebbe anche il Capitano dei Carabinieri, Saverio Spadaro Tracuzzi, l’ufficiale che sarebbe stato in contatto con Luciano Lo Giudice, ritenuto l’anima imprenditoriale dell’omonima cosca, nonché fratello del collaboratore di giustizia, Nino. Il Capitano Spadaro Tracuzzi è accusato sia dal “Nano”, sia da un altro collaboratore, Consolato Villani, di aver mantenuto un rapporto privilegiato, di amicizia e di favori, con Luciano Lo Giudice, attualmente in carcere, condannato in primo grado per estorsione e usura e alla sbarra per associazione mafiosa. E poi, ovviamente, vi è la vicenda della “talpa” Giovanni Zumbo, l’ex confidente dei servizi segreti che avrebbe spiattellato importanti particolari d’indagine ai boss Giuseppe Pelle e Giovanni Ficara.

Casi risolti totalmente o in parte, che hanno fatto un po’ di pulizia tra le divise del distretto di Reggio Calabria. Casi che gettano fango sull’attività, costante e coraggiosa, di gran parte delle forze dell’ordine e che vanno puniti con durezza: perché non vi è niente di peggio, probabilmente, di una “divisa” corrotta.

fonte: strill.it