‘NDRANGHETA: NUOVE TECNICHE DEI BOSS PER EVITARE CARCERE

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‘NDRANGHETA:  NUOVE TECNICHE DEI BOSS PER EVITARE CARCERE

(AGI) – Catanzaro, 25 gen. –

“Le organizzazioni criminali hanno affinato le tecniche per sottrarsi alla custodia in carcere”, e la cosa costituisce una problematica allarmante perche’ “l’accesso al regime degli arresti domiciliari dei detenuti per mafia oltre i limitatissimi casi di effettiva incompatibilita’ con il regime carcerario (ed anche in tali casi dovrebbero essere attivati adeguati sistemi di controllo che riducano al minimo i rischi) ha ricadute devastanti sull’ordine e la sicurezza pubblica, sulle esigenze di prevenzione, sui procedimenti penali in corso e sulla stessa complessiva attivita’ di contrasto alla criminalita’ organizzata”.

E’ quanto affermato Maria Vittoria De Simone, magistrato componente della Direzione nazionale antimafia, coordinatrice per il distretto di Catanzaro, conversando con l’Agi a proposito di un’interrogazione parlamentare presentata nei giorni scorsi dal gruppo del Pd alla Camera. L’interrogazione riguardava “le frequenti concessioni degli arresti domiciliari, successivamente revocati dalla Corte di Cassazione, ad esponenti della ‘ndrangheta in Calabria” e segnalava l'”inquietante fenomeno” della concessione degli arresti domiciliari ad affiliati alla ‘ndrangheta in maniera “significativamente superiore, dal punto di vista statistico, rispetto a quanto avviene in altre realta'”. De Simone spiega che “la normativa in materia di misure cautelari per delitti di particolare allarme sociale, come quelli di mafia, e’ estremamente rigorosa. Le esigenze cautelari sono presunte, e possono essere soddisfatte unicamente con la custodia cautelare in carcere. Dal dettato normativo – aggiunge il magistrato – si evince dunque che la permanenza di tali esigenze, pur se attenuate, impone sempre il mantenimento della misura coercitiva piu’ grave della custodia in carcere. La presunzione di pericolosita’ e la conseguente obbligatoria previsione della custodia in carcere sono ostativi all’ adozione o sostituzione con una misura coercitiva meno grave, come ad esempio gli arresti domiciliari. A fronte di questa rigida disciplina, – spiega De Simone – l’unica condizione per accedere ai domiciliari e’ l’incompatibilita’ delle condizioni di salute con il regime carcerario”. Di qui i vari escamotage che soprattutto gli affiliati alla criminalita’ organizzata adottano. “Le situazioni che piu’ frequentemente ricorrono sono le condizioni di salute inesistenti o simulate – ha spiegato ancora De Simone -, mentre piu’ raramente capitano condizioni di salute reali ma volontariamente create dal detenuto per sottrarsi alla detenzione”. “Nei casi segnalati dall’interrogazione parlamentare, – fa rilevare – la valutazione della sussistenza di una incompatibilita’ con il regime carcerario richiede, proprio perche’ incide sulle esigenze cautelari poste a fondamento della misura applicata a soggetti appartenenti ad organizzazioni di stampo mafioso, un accertamento estremamente rigoroso, basato su esami diagnostici e terapeutici affidabili che tengano conto: della diffusa pratica della simulazione emersa dalla esperienza giudiziaria; delle ipotesi di collusioni o compiacenze del perito determinate da corruzione o contiguita’ al detenuto o al contesto criminale nel quale e’ inserito; delle ipotesi di intimidazione e minacce messe in atto per ottenere esiti peritali compiacenti; e di un possibile apprezzamento errato, frutto di valutazioni superficiali o scorrette, o di apparenze costruite dall’interessato. E’ evidente che in contesti ad altissima densita’ criminale come la Calabria – dice la componente della Dna -, dove le cosche ‘ndranghetiste godono di ampie coperture e sono diffusamente infiltrate nel tessuto sociale, il rischio di situazioni come quelle sopra descritte e’ elevatissimo. Ne deriva un doveroso particolare rigore nell’espletamento delle verifiche per l’accertamento delle asserite incompatibilita’ col regime detentivo, e nella valutazione da parte dell’Autorita’ giudiziaria quando si e’ in presenza di un detenuto di notevole spessore criminale o comunque inserito in contesti mafiosi, ed ancor di piu’ quando si tratta di detenuti sottoposti al regime del 41 bis. I casi di sostituzione della misura cautelare in carcere per soggetti appartenenti alle categorie indicate – spiega – dovrebbero essere rigorosamente limitati, e subordinati ad alcune condizioni: approfonditi accertamenti peritali delle reali condizioni di salute del detenuto, il che implica una elevata affidabilita’ del perito (in contesti come quello in esame sarebbero preferibili perizie collegiali affidate a soggetti totalmente estranei al contesto ambientale); valutazione critica degli esiti peritali verificati, nei casi dubbi, attraverso il confronto con un altro esame peritale; verifica della idoneita’ delle strutture sanitarie penitenziarie e, solo in caso di inidoneita’, utilizzo di strutture esterne, preferibilmente pubbliche. Con riferimento alla concessione degli arresti domiciliari presso l’abitazione, comunque, e’ del tutto evidente che mai o quasi mai puo’ essere ritenuta piu’ idonea l’abitazione privata piuttosto che una struttura sanitaria”. (AGI) .