“Tommaso Costa è l’omicida di Congiusta”

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Locri-Secondo il sostituto della DDA hanno reso falsa testimonianza l’ex fidanzata Katia Scarfò ed i suoceri della vittima Antonio Scarfò e Girolama Raso

«Tommaso Costa è l’omicida di Congiusta»

Le richieste del pm De Bernardo: carcere a vita per il boss sidernese, 26 anni per Giuseppe Curciarello

 

 

Rocco Muscari

Locri

“Tommaso Costa ha premeditato, organizzato ed eseguito l’omicidio di Gianluca Congiusta, nell’ambito di una strategia tesa a riaffermare il ruolo egemone del clan Costa di Siderno.

Pertanto, chiedo che l’imputato venga condannato alla pena detentiva dell’ergastolo e a diciotto mesi di isolamento diurno”.

Con questa richiesta il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Antonio De Bernardo, ha chiuso la requisitoria del processo per il delitto del giovane imprenditore di Siderno ucciso la sera del 24 maggio 2005.

Il pm ha chiesto alla Corte d’assise di Locri, ( presidente Bruno Muscolo a latere Piercarlo Frabotta), di condannare alla pena di ventisei anni di reclusione Giuseppe Curciarello, in considerazione della grave condotta tenuta dall’imputato riferita all’associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ovvero al reato più grave contestato. Il dottore De Bernardo, infine, ha chiesto la trasmissione degli atti alla Procura competente per il reato di falsa testimonianza nei confronti di Antonio Scarfò, Girolama Raso, Katia Scarfò e Gianluca Di Giovanni.

Il filo logico seguito dal pm De Bernardo inizia dal 2003, quando, nel mese di dicembre, i carabinieri di Soverato investigando su alcuni fatti delittuosi commessi nell’alto ionio, sfociati poi nell’operazione “Mithos”, hanno proceduto con l’intercettazione audio e video e con la censura della posta in entrata ed uscita di Tommaso Costa, all’epoca detenuto presso il carcere di Palmi. Proprio a fine dicembre del 2003 Costa, attraverso la moglie, invia ad Antonio Scarfò, futuro suocero di Congiusta, una lettera estorsiva rispetto a quelle che erano le due aziende nate con i finanziamenti del Patto della Locride. L’estorsione, secondo l’accusa, rientra in quel disegno criminale posto in essere da Tommaso Costa per riaffermare il ruolo di prestigio dell’omonima cosca sidernese che, dopo la faida sfociata negli arresti dell’operazione Siderno Group, intendeva riprendere un ruolo egemone sul territorio anche attraverso nuove alleanze con alcuni dei vecchi avversari. La trama che Tommaso Costa stava tessendo in carcere, per il pm, era quella di costruire un nuovo assetto rispetto al passato, da un lato rafforzando le antiche amicizie con i Cataldo e gli Ursino, dall’altro formando un nuovo e più forte gruppo a Siderno federandosi anche con Salvatore Salerno, già braccio armato dei Commisso, pronto a formare un gruppo autonomo. In questo contesto rientrava anche l’interesse della cosca nel traffico di sostanze stupefacenti collegato con la Puglia, in particolare con Bayan Khaled, alias “Carlo il libanese”, teso a sostenere anche il carcere per i sodali e saldare i rapporti con gli “amici” con i quali Costa aveva stretti legami, quali Vittorio Sia e Damiano Vallelonga.

Per realizzare questa strategia, ha sottolineato l’accusa, Tommaso Costa non si fidava che dei propri fedelissimi, in particolare di Giuseppe Curciarello, ritenuto il braccio destro, l’uomo che era chiamato ad operare fuori dal carcere garantendo per Costa fino a quando il “boss” sarebbe uscito per sedersi al tavolo della pace e spartirsi il territorio da una posizione più forte rispetto al passato.

Ma nel determinare i nuovi legami e le nuove alleanze Tommaso Costa non avrebbe tenuto in considerazione, nel concepire l’estorsione ai danni di Antonio Scarfò, una variabile indipendente: Gianluca Congiusta.

Il giovane imprenditore, appreso dalla futura suocera Girolama Raso, della missiva estorsiva la rappresenta a terzi che, a loro volta, la portano a conoscenza di altre persone, tra cui Salvatore Salerno. Il cerchio si allarga rispetto al rapporto tra estorsore ed estorto, una situazione che non sarebbe stata più controllabile da Costa che, venuto a conoscenza di quanto avvenuto all’esterno, inizia a negare la paternità della lettera esternando con amici e parenti la propria estraneità rispetto a quella che definisce “una tragedia” orchestrata alle sue spalle. Per il pm De Bernardo il desiderio di vendicare quell’affronto subito induce Costa a chiedere a Giuseppe Curciarello di intervenire presso lo Scarfò al fine di pressarlo e ribadire la richiesta dei “mille euro al mese”,  sottolineando al proprio accolito che “è necessario eliminare la volpe”, ovvero colui che ha fatto danni entrando in una vicenda che non doveva. Quella “volpe” che ha commesso il danno, l’infamia, era Gianluca Congiusta ma, secondo la ricostruzione dell’accusa, Costa lo apprende un mese prima, mentre da latitante si reca da Scarfò: “E’ allora – rileva Antonio De Bernardo -, che viene segnato il tragico destino di  Congiusta”.


Il pm sottolinea che Antonio Scarfò, Girolama Raso e Katia Scarfò negano l’evidenza, glissano alle domande, si contraddicono e, per paura, rendono falsa testimonianza. Ogni altra ipotesi alternativa non è credibile, per l’accusa, soprattutto quella resa da Gianluca Di Giovanni, definito un mitomane.

“L’omicidio Congiusta – ha concluso il pm -, rientra in quella disegno criminale che Tommaso Costa ci ha consegnato nelle lettere e che si è concretizzato, destabilizzando la Locride nei tre mesi di latitanza, con i delitti di

Salvatore Cordì e Pasquale Simeri

tommaso costa(pena richiesta ergastolo e 18 mesi di isolamento diurno)

giuseppe curciarello (pena richiesta 26 anni)

katyuscia scarfò (trasmissione degli atti alla Procura per falsa testimonianza)

antonio scarfò (trasmissione degli atti alla Procura per falsa testimonianza)

girolama raso (trasmissione degli atti alla Procura per falsa testimonianza)