«Trasite, favorite. Grandi storie di piccoli paesi. Riace e gli altri»

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Si intitola «Trasite, favorite. Grandi storie di piccoli paesi. Riace e gli altri» il nuovo libro di Chiara Sasso, edito da Carta e Intra Moenia, che sarà in edicola al costo di 10 euro per tre settimane a partire dall’11 dicembre 2009 con o senza il settimanale Carta.

Un estratto dal libro

TRASITE, FAVORITE

Grandi storie di piccoli paesi. Riace e gli altri

il nuovo libro di Chiara Sasso con interventi di Giovanni Maiolo

 

 

 

Il 2008 comincia subito alto. Il sindaco di Riace risponde positivamente all’invito di Mario Congiusta, padre di Gianluca, il ragazzo ucciso a Siderno.

Un invito ai Comuni perché si costituiscano parte civile nei processi contro la ‘ndrangheta. Mario Congiusta sfida la politica calabrese e chiede con forza un salto di qualità alle istituzioni. Per darne notizia ha scelto il giorno del compleanno del figlio, il 19 dicembre, infatti Gianluca avrebbe dovuto compiere trentacinque anni.

“La nostra era una famiglia normalissima di commercianti, da tre generazioni lavoriamo nel settore della telefonia, non siamo appetibili economicamente, non facciamo politica”. Si interrompe Mario Congiusta perché in realtà vuole ricordare un “fare politica” del quale è orgoglioso. “Mio nonno aveva aperto prima della guerra, in società con un parente, una fabbrica di zoccoli. Poi fu assunto dalle ferrovie dello Stato, durante il periodo fascista è stato allontanato dal posto di lavoro, sospeso, per questioni di scioperi. Si è quindi rimesso a fare il calzolaio per portare avanti la famiglia. Grazie ad un prestito ottenuto da un amico di mio nonno che apparteneva ad una famiglia molto benestante di Siderno, cinquanta lire ‘na cosa del genere, mio padre riuscì ad aprire un negozio di materiali elettrici e da lì cominciò tutto. Questa attività va avanti già prima della guerra, infatti mi ricordo che mi raccontavano che l’unica bomba scoppiata a Siderno aveva divelto la porta di questa bottega. Finito il fascismo, a mio nonno che era frenatore chiesero di rifare un esame, lui si rifiutò. In Italia ci furono solo due casi: mio nonno e uno di Reggio Emilia. Mio nonno era un tipo molto preciso e anche orgoglioso. Lui diceva: se lo sapevo fare prima non vedo perché devo fare questo esame adesso. Era un esame formale, un colloquio, ma lui si impuntò. Che poi l’ebbe pure vinta e dopo un anno venne reintegrato. Mio nonno è stato anche consigliere comunale nelle prime elezioni democratiche che si svolsero. Il primo sindaco, un certo Antonio De Leo, fu nominato dagli Alleati a villa Albanese, la villa del senatore del regno Giuseppe Albanese. De Leo aveva una fornace dove si costruivano mattoni e tegole. Conservo una foto, proprio alla fornace, dove appaiono, il sindaco, gli Alleati, Albanese e mio nonno”.

Mario Congiusta è legato a questo ricordo, con tutti i particolari della storia, è una politica non ancora contaminata da intrallazzi e collusioni. Si capisce che Mario avrebbe voglia (e la stoffa) per entrare in pista. Per ora si limita ad essere presente ai dibattiti politici, ai convegni. Una spina nel fianco per chi non vuol vedere una certa realtà di Siderno. Per chi sostiene che la ‘ndrangheta è una invenzione giornalistica.

Si siede in un angolo ed è una presenza forte, ingombrante la sua, nonostante il suo fisico esile.

“Nel negozio di mio padre ci lavoravo con mio fratello. All’inizio materiali elettrici, elettrodomestici e poi l’avvento delle telefonia, siamo stati affiliati. In Calabria eravamo in otto. Più tardi venne Gianluca ad aiutarci. Era giovanissimo e già autonomo, dall’età di dodici anni non chiedeva più soldi, aveva un senso spiccato degli affari, piccole cose, gadget del negozio li portava a scuola e li vendeva. Era una compravendita continua, capace di fare affari. A sedici anni con un suo amico ha aperto un bar e la stagione era stata molto buona, del resto loro due erano giovani e sapevano come trattare la clientela”.

Mario ha investito molto sul figlio, primogenito, figlio maschio. Quando aveva solo otto anni lo manda in Inghilterra a imparare l’inglese. Vede aprirsi un futuro di successo proprio per le capacità a relazionarsi, per le doti naturali di leader. Poi la botta. Viene diagnosticata una grave malattia che fa paura solo a nominarla:  linfoma non hodgking, tumore maligno del tessuto linfatico. La famiglia si trasferisce a Bologna per le cure, per il trapianto. Anche in quella occasione Gianluca tira fuori la grinta, tre mesi di isolamento in camera sterile. Le sorelle Roberta e Alessandra, la mamma e il papà assistono stupefatti di fronte al suo coraggio. Gianluca ha diciassette anni e una forza, una determinazione da gladiatore come, anni dopo, lo ricorderanno sul blog a lui dedicato. Difatti vince la sua battaglia e dopo un anno di cure torna a casa, in tempo per recuperare l’anno scolastico. Si diploma come operatore turistico e va a Roma presso un’agenzia di viaggi per fare pratica. Il titolare, un greco, lo vorrebbe tenere a lavorare con lui  ma Gianluca non accetta.

Scalcia. Dopo l’esperienza della malattia  non c’è più niente che lo possa fermare. Ha sconfitto il tumore, ha una vita davanti. E’ curioso, ama viaggiare, la conoscenza dell’inglese lo favorisce, ha il mondo in mano: Scozia, Francia, Germania e ancora Inghilterra. Si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio, pochi esami, il mondo dell’Università gli sta stretto, la sua vita è ormai delineata: farà l’imprenditore, una cosa che pare avere nel sangue. Gli viene naturale, il mondo del business è affar suo, così come gli sport che pratica: canottaggio, basket, vela, nuoto. Prende a piane mani la vita. “Dopo la malattia era diventato impossibile contenerlo. Portava all’estremo tutte le attività sportive. Se prima faceva due ore di corsa, dopo ne faceva quattro”. E’ un ragazzo sano, è bello, simpatico, pieno di amici.

Le due sorelle adorano il fratello grande, Roberta anni dopo racconterà: “Sono la sorella di Gianluca Congiusta. Sin da bambina mi è sempre piaciuto presentarmi così, ho sempre contraddistinto la mia identità, non con il cognome, ma con il senso di appartenenza a Luca. Ero lusingata ed orgogliosa di farlo”. La sua testimonianza verrà raccontata da Paola Bottero nel libro “Ius sanguinis”

“Ad un certo punto Gianluca si staccò e aprì un negozietto suo. Era il momento del boom dei telefonini, bisognava fare i contratti, aprimmo un centro Tim a Siderno uno a Locri dove ci andai io a gestirlo e uno alla Marina di Gioiosa Ionica dove ci andò Roberta. Uno dei rivenditori Tim era molto legato a Gianluca, si chiama Marcello Bartolotta ed era il nipote di Felicia Bartolotta Impastato, la mamma di Peppino. A Locri ho subito quattro rapine e quattro attentati intimidatori. Dopo l’ultimo ho deciso di chiudere il negozio e sono tornato a Siderno dove ho aperto per un paio di anni un call center”.

Pur fra qualche difficoltà tutto sembra andare per il meglio. Gianluca è in gran forma, la sua fidanzatina Katia lo aiuta in negozio, è pieno di idee, di amici, sponsorizza tutte le manifestazioni possibili, basket, gare di nuoto. L’attività va benissimo. Poi arriva una sera, il 24 maggio del 2005 e come racconta la sorella Roberta: “Si respirava un’aria strana. L’estate tardava ad arrivare, c’era una pioggerella pressante e un vento pungente sembravano voler presagire qualcosa”. Quella sera Roberta era in casa di amici, ricorda, sul pianerottolo si stavano salutando, quando arriva la telefonata. La mamma e la fidanzata erano state a cena fuori. Il papà Mario era rimasto a casa con Alessandra, stava guardando un programma televisivo, un vecchio filmato su Mussolini. Ognuno di loro ha ben fermo nella memoria quel momento di passaggio, fra il prima, una famiglia normale e serena, e il dopo.

Suonano alla porta, sono circa le undici di sera, c’è la polizia. Le prime frasi generiche  “Suo figlio ha avuto un incidente”, e poi poco alla volta la verità, il corpo riverso sull’asfalto. Una esecuzione in contrada Lenza, pieno centro di Siderno, colpi di pistola di grosso calibro o forse un fucile a canne mozze. Avrebbero potuto ucciderlo in qualunque momento, in piena campagna, in una delle mattine quando alle prime luci dell’alba Gianluca era solito andare a correre. Gianluca aveva 32 anni. I giornali scriveranno che i colpi sono stati: “Esplosi con ferocia inaudita da corta distanza al torace e alla testa. Il ragazzo, giovane commerciante, non risulta essere collegato con gli ambienti malavitosi, celibe, incensurato”.

Subito le indagini vanno verso la pista passionale. Poi seguono quella dell’usura: “Avevano trovato molti assegni a casa in cassaforte, l’incasso dei negozi”. Messe da parte queste due piste le indagini brancolano nel buio. Ad un certo punto tutto sembra insabbiarsi. Mario Congiusta inizia la sua protesta, al funerale c’erano state migliaia di persone, un anno dopo, alla marcia silenziosa che organizza per richiamare attenzione, il numero scende drasticamente: “restano gli amici veri”. Mario non si capacita che le indagini siano così lente. Invece di ripiegarsi nel suo dolore enorme, comincia ad uscire di casa, ad essere presente, a parlare, a raccontare di suo figlio, a contattare giornali, radio, ogni strumento è buono per non far cadere nel silenzio l’inchiesta. “Sono stati pazienti con me, devo ammetterlo, perché sono stato una goccia per gli inquirenti. Mi presentavo sempre e chiedevo: allora? A che punto siete? Allora? Ero entrato anche in urto con il commissario di Siderno, l’accusavo di non fare nulla, devo dire che è stato molto paziente. Molto paziente con me. Anche per questo quando poi hanno arrestato i colpevoli mi hanno telefonato alle cinque del mattino. Avevano brancolato nel buio per 596 giorni, poi la svolta”.

Mario era arrivato al punto di posteggiare un auto, il maggiolino, sotto gli uffici della polizia con affisso un grande cartello: “Sono trascorsi cinquanta giorni, cento giorni, duecento giorni..e ancora non si sa nulla…”. “La gente passava di lì e non è che loro facessero una bella figura. Poi ho spostato il maggiolino a Locri sotto il tribunale, ed era diventato una bacheca per tutti coloro che avevano dei casi aperti, persone scomparse, ognuno che avesse qualche cosa da dire”.

Un’indagine condotta dalla magistratura di Catanzaro (tutta l’operazione si chiamerà Lettera morta), si occupa della famiglia Costa, e di affari che si svolgevano a Soverato. Viene intercettata una lettera spedita dal carcere, dove Costa si trova, alla moglie: “Riceverai una busta così e così, con dentro un’altra busta. Spediscila”. La moglie esegue. La busta era indirizzata al futuro suocero di Gianluca che aveva già subito più intimidazioni, spari al negozio, auto incendiate, pizzo richiesto. Nei mesi precedenti era stato costretto ad assumere due persone legate alla famiglia Costa. La lettera conteneva un ultimo avvertimento: o paghi o t’ammazziamo. La mamma di Katia fa vedere la lettera a Gianluca il quale per tranquillizzare, minimizza e si assume il carico di risolvere la cosa”.

Gianluca fotocopia la lettera e forse ne parla con qualcuno, fatto sta che la notizia si viene a sapere e la moglie del Costa scrive al marito: “Guarda che in giro si dice che la tua lettera è finita in mano al Congiusta, quello che ha i negozi di telefonia”.

Il tutto si inserisce in una faida fra cosche che si erano spartite il territorio nel ’92, con oltre cento morti ammazzati. La famiglia Costa chiedendo il pizzo ad una attività di Siderno non aveva rispettato i patti.

“Non pensiamo che Gianluca si sia rivolto a qualcuno per aiutare il suocero, non era nel suo stile e del resto quando ci sono stati dei problemi a Locri abbiamo fatto la denuncia ai carabinieri, non abbiamo certo pensato di rivolgerci a persone legate alla malavita. Forse li ha affrontati direttamente, dopo il trapianto non aveva più paura di niente”.

Dopo l’omicidio la vita della famiglia Congiusta cambia completamente, i negozi vengono venduti, “Era Gianluca che faceva le programmazioni, che si occupava di tutto. Ormai eravamo una nave senza capitano”.

L’attenzione sul caso Congiusta e sul processo continua ad essere alta, grazie all’attività frenetica di Mario. Proprio quel suo essere sempre in piazza a ricordare il nome del figlio aveva fatto in modo che un magistrato di Catanzaro, impegnato su tutt’altra indagine, collegasse i fatti.

Inizia un nuovo periodo, quello delle carte processuali, Mario si mette in testa di coinvolgere le istituzioni per chiedere che si costituiscano parte civile nel processo. Fotocopia il rinvio a giudizio e ne porta una copia ad ogni consigliere del comune di Siderno. La risposta sarà freddezza e imbarazzo, l’ente pubblico non se la sente, prende tempo. Tuttavia propone di erigere un monumento per ricordare Gianluca.

“Dissi di no, dedichiamolo a tutte le vittime della mafia, e così è stato”.  Intanto le adesioni per la costituzione cominciano ad arrivare.

La Regione Calabria ormai è prassi, si costituisce sempre. La Provincia di Reggio Calabria, con una battaglia portata avanti da Rifondazione Comunista, dal consigliere provinciale Omar Minniti, modifica lo Statuto e decide di costituirsi. Per la prima volta si costituirà anche la Confindustria calabrese, e l’Italia dei Valori, grazie all’interessamento di un amico avvocato di Mario Congiusta. Si presenterà parte civile al processo anche una associazione: “Insieme si può”, che ha come presidente un poliziotto, Gianluca sponsorizzava le iniziative sulla legalità che promuovevano come associazione.

“Ad un certo punto molti sindaci amici miei, mi dicono: ci costituiamo anche noi. No dico, non voglio che rompiate l’equilibrio che c’è al vostro interno come associazione dei comuni della Locride, un totale di quarantadue enti. Se il comune di Siderno non vuole costituirsi avrà i suoi motivi. Non volevo insistere”.

Tuttavia diventa difficile sottrarsi all’onda lunga che Mario e gli amici di Gianluca continuano a produrre e provocare nel territorio. Vengono organizzate notti bianche per raccogliere firme, per fare pressione. Sono molti gli studenti che aderiscono, molti sono di Siderno ma studiano in altre città, Internet e Facebook diventano strumenti formidabili per allargare la rete.

“Mimmo è stato il primo a lanciare un segnale, per costituirsi parte civile al processo, è venuto a cercarmi. Un giorno mi telefona un amico e mi dice: vedi un po’ qui c’è il sindaco di Riace che vuole parlarti, era lui. Ci siamo subito capiti”.

Intanto il comune di Siderno ha dato mandato ai suoi legali per un parere sulla fattibilità o meno del costituirsi parte civile. Trovare un motivo, un appiglio e respingere con eleganza la richiesta. “Diranno che siccome i Costa operavano a Guardavalle e non a Siderno non c’erano le condizioni… E ancora, che non era stata fornita una sufficiente documentazione. In realtà uno dei legali del Comune era anche il difensore del boss Tommaso Costa. C’era una evidente incompatibilità dei ruoli”. Ad un certo punto viene in soccorso l’associazione dei comuni della Locride che decide di costituirsi parte civile e risolve imbarazzi per tutti i Comuni.

“Noi proponiamo agli enti di cambiare lo statuto indipendentemente dal processo Congiusta, in modo da poter essere operativi per i prossimi processi”. Mario Congiusta è consapevole di svolgere un’opera di sensibilizzazione che va al di là della storia personale. Gli stessi ambienti che riesce a coinvolgere, il gran numero degli amici di Gianluca, non sono ambienti politicizzati, sono del tutto nuovi a queste prese di posizione, anche per questo il suo lavoro è ancora più importante.

“Affari e politica. Non svelo niente. Non ho scoperto l’acqua calda. Sono molte le persone  che continuano a ripeterlo. Basta guardare: c’è uno scempio del territorio, affari con le grandi opere, i rifiuti sono in mano loro, con tutto quello che ne consegue. Sono uno che lo dice per l’ennesima volta, insieme a molti cittadini onesti che non girano la testa dall’altra parte”.

Dopo aver conosciuto Mario Congiusta, Domenico si fa in quattro, come al suo solito, per ottenere il risultato e modificare lo statuto del Comune. A molti racconterà di essere rimasto molto colpito da questo padre, questa figura esile ma determinata. Una persona che non ha paura di niente perché non ha più niente da perdere. “Mi hanno ammazzato il figlio, cos’altro possono farmi?”.

Anche per Domenico sindaco la strada è in salita. Per cambiare lo statuto comunale è necessario avere i due terzi dei consiglieri presenti, e non ci saranno.

“Alla fine lo hanno lasciato solo” titolerà il giornale. “Solo con i sette della sua maggioranza, e la modifica allo statuto comunale è andata a farsi benedire. Sono le sei e venti di sera del 22 gennaio quando il segretario sentenzia: Manca il numero legale. La seduta è da considerarsi deserta. Accanto a lui il sindaco Domenico Lucano è impassibile. Tra le mani gira e rigira i sette fogli del suo intervento. Era stato il primo, e finora unico, sindaco della Locride a firmare la proposta del Comitato spontaneo per il diritto alla vita e alla giustizia. Un gruppo di ragazzi, tra cui anche il padre di Gianluca Congiusta, che raccoglie le firme per convincere gli amministratori locali a costituirsi parte civile nei processi di mafia. Doveva essere un giorno da ricordare. Ma, alla fine, la terra sotto i piedi del primo cittadino è franata. I due terzi dell’assemblea, necessari per metter mano alla carta fondamentale del Comune, sono venuti a mancare. I due gruppi di minoranza, “Nuovi orizzonti per Riace” e “Il Giglio”, hanno disertato. Così come l’ex vicesindaco Fernando Carnà, nel gruppo misto dopo l’addio polemico alla maggioranza, il nono “uomo” che avrebbe permesso di deliberare. In una dura lettera messa agli atti, lo stesso Carnà, dopo aver gridato il suo «no alla mafia», accusa di «arroganza» il primo cittadino. «Ha deciso tutto da sé» scrive. E ancora, scomodando Machiavelli: «Non sempre il fine giustifica i mezzi. In questo caso il fine, la costituzione di parte civile, è giusto. Ma il mezzo no». Accuse che riecheggiano nell’aula. E che fanno il paio con quelle della lista “Il Giglio”: «Non siamo stati interpellati direttamente – protestano -. E comunque la maggioranza non ha nemmeno i numeri per modificare lo statuto». «E’ vero» commenta Lucano sconsolato prima di leggere le sue considerazioni. Sette pagine fitte, scritte con inchiostro blu e dalla calligrafia gentile. «La mia – esordisce il primo cittadino riferendosi alla sua firma all’appello on-line di Congiusta – è stata una semplice, spontanea, e del tutto normale adesione ad una sacrosanta richiesta di verità e giustizia da parte di persone che di questo impegno stanno facendo la missione e il motivo della loro esistenza». E poi, come per replicare alle accuse di essersi voluto fare pubblicità, specifica: «Non avrei mai immaginato di essere l’unico sindaco tra i 42 che compongono l’assemblea dei comuni della Locride a sostenere una legittima e chiara richiesta. Non era – continua – un’azione orientata alla ricerca di visibilità». «Normale» è la parola che ripete Lucano. Un gesto «normale», un’adesione «normale». «Ma forse – ironizza – la normalità, la solidarietà, l’immedesimazione nelle sofferenze altrui in questi nostri territori diventano un fatto straordinario». Poi il sindaco torna a tuonare contro la ‘ndrangheta e a denunciarne la commistione con la politica: «La costituzione di parte civile impegna la pubblica amministrazione a partecipare ai processi, magari proprio contro chi ha sostenuto direttamente o indirettamente le nostre candidature, in quell’intreccio affaristico-mafioso che decide nelle nostre fragili comunità». Torna, Lucano, anche sui silenzi dei colleghi. E ci ritorna non per arretrare o per rettificare, ma per rilanciare: «La mancata risposta dei singoli comuni, lo dico come cittadino, è stata inquietante». E, quasi rispondendo alla confessione del sindaco di Siderno di «aver paura», ribadisce che «timori e paure non possono giustificare i nostri comportamenti poco responsabili su decisioni di estrema importanza». Il sindaco del paese dei Bronzi vuole essere ancora più chiaro: «Nelle scadenze elettorali, spesso per consolidare e prolungare i nostri mandati pro-tempore, facciamo il possibile e l’impossibile. Qualsiasi compromesso è giustificabile». Quindi l’appello a esser chiari, a «dire esplicitamente da quale parte stiamo» nella lotta alla ‘ndrangheta: «Una stragrande maggioranza di noi – denuncia infine Lucano – non vede, non sente e non parla. E inevitabilmente si diventa complici dello sviluppo del fenomeno mafioso».

Il consiglio comunale che non c’è stato diventa un’assemblea pubblica. Mario Congiusta preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno. «Credo e spero che al prossimo consiglio comunale la modifica allo statuto passi, aldilà delle polemiche sul metodo. Ma voglio sfatare anche qui un falso mito. La costituzione di parte civile non costa. Zero. Non ci sono spese». Agostino Riitano di Calabria Ora