I MAFIOSI CONDANNANO A MORTE I PROPRI FIGLI-LI VENDONO IN CAMBIO DI POTERE E DANARO-BASTA MORTI

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Si è suicidato a 13 anni.

 Le circostanze non sono chiare,Corriere e Repubblica offrono ricostruzioni molto diverse.

Solo due cose sono chiare: si è suicidato a 13 anni e ce l'aveva col padre, legato a un clan camorristico, forse per la morte del fratello, 15 anni, ucciso a pistolettate mentre tentava una rapina.  

Non sappiamo cosa girava per la testa di Vittorio Maglione, in quella casa di Villaricca, periferia di Napoli. E solo in un eccesso di enfasi potremmo concludere subito che Vittorio sia da incoronare eroe dell'antimafia perché avrebbe compiuto il più estremo dei gesti di ribellione contro la camorra. E invece non sappiamo nulla sul senso reale di questo gesto.

Sappiamo solo che Vittorio è una nuova vittima della camorra e del pensiero mafioso. Sappiamo solo che questa è una morte di mafia e che, come in tutti le morti di mafia, pesanti responsabilità risiedono nelle famiglie.

Al di là di tutte le retoriche mafiose sull'onore e sulla famiglia, il mafioso è una persona che sta condannando a morte prima di tutto i propri familiari. Li sta vendendo in cambio di denaro e di potere.Il familiare del mafioso che non denuncia direttamente il proprio familiare compie una scelta che, al di là di ogni retorica, non è giustificabile in nessuna famiglia: sta scegliendo di vedere il proprio familiare morto piuttosto che in prigione. La denuncia del familiare mafioso non ha nulla a che fare con il tradimento, ma, al contrario, è l'unica scelta – per quanto dolorosa – di reale amore familiare.

Ma non esiste famiglia, non esiste onore, non esiste amore, affetto, rispetto nella cultura mafiosa. Esiste solo una morte che, come il denaro, non ha odore.

E così la morte di Vittorio sarà una morte di nessun valore, come migliaia di altre morti. Passeranno sul suo cadavere e lo divoreranno, si ciberanno della sua carne e sputeranno le sue ossa. Finché arriverà il giorno – se mai arriverà – in cui le famiglie dei mafiosi si ribelleranno, decidendo di essere luoghi in cui proteggere i propri cari invece che condannarli a morte. 

Dal corriere 

a villaricca tragico episodio

Napoli, tredicenne s'impicca in casa
Un gesto contro il padre e la camorra

Chatta su Msn, poi lascia un biglietto di scuse: «Ma non a papà», ritenuto legato a un clan. Il fratello maggiore era stato ucciso in un tentativo di rapina

Villaricca (NAPOLI) – Un ragazzo di 13 si è tolto la vita impiccandosi con una fune legata a una trave di casa. Una tragedia, quella avvenuta a Villaricca, nel napoletano, che ha contorni del tutto particolare: La famiglia del 1regazzo nel 2005 era giá stata colpita da un altro lutto: un fratello di 15 anni fu ucciso nella faida di Scampia. Il 13enne prima di suicidarsi ha lasciato una lettera in cui chiede scusa ai familiari ma non al padre. L'uomo è ritenuto dagli investigatori legato al clan camorristico Ferrara e il ragazzo forse lo riteneva responsabile della condotta criminale del fratello Sebastiano e quindi della sua morte, avvenuta in un contesto sociale di degrado: fu ucciso a colpi di pistola mentre con un complice stava tentando di rapinare a Mugnano, comune a nord di Napoli, un motorino auna coppia di giovani, armati di pistole, a loro volta «figli» della mala Napoli. Il tentativo di rapina avvenne in un periodo in cui impazzava la guerra di camorra tra dilauriani e scissionisti. Il ragazzo suicida avrebbe compiuto 13 anni a luglio. Prima di suicidarsi aveva chattato via Messenger con degli amici ma pare che non abbia lasciato traccia dei suoi propositi suicidi. Ha lasciato però una lettera in cui chiedeva perdono alla madre e salutava il fratello gemello e gli amici più cari. Poi una specifica: «Papá, no, non mi va».
11 aprile 2009

Da Repubblica 

Suo padre è un esponente dei Casalesi, suo fratello fu ucciso giovanissimo
Dopo una lite col papà, lascia un messaggio in chat e si toglie la vita

Napoletano, 13 anni, figlio di boss
annuncia suicidio sul web e s'impicca

di STELLA CERVASIO 

NAPOLI – "Adesso sei contento? Non ti rompo più". Figlio di boss dei Casalesi, a tredici anni ha lasciato una riga di rabbia contro il padre nel grande mare di parole di Messenger. L'addio affidato alla chat alla quale gli adolescenti consegnano i loro pensieri protetti da un nickname, un nome di fantasia. Ha legato una corda a una trave del soffitto della casa dove viveva con i genitori e un fratello gemello, a Villaricca, periferia di Napoli e si è lasciato cadere da un tavolo. Non voleva andarsene senza dirlo a nessuno, ha lasciato anche un biglietto, trovato sul tavolo: "Addio a tutti quelli che mi hanno voluto bene".

A luglio avrebbe compiuto tredici anni. Uno meno di suo fratello, rapinatore ammazzato dagli "scissionisti" di Secondigliano nel 2005 a Mugnano. Vittorio Maglione andava a scuola, faceva la seconda media, e a differenza del fratello Sebastiano, a quattordici anni già sulla strada del crimine, non aveva esordito nel mondo di Gomorra. Una famiglia difficile, la violenza di una periferia congestionata e abbandonata: il padre, Francesco Maglione, nel giro era entrato molto presto.

Finito in galera per il primo omicidio a scopo di rapina nel '78, a diciott'anni, era stato nella Nco di Raffaele Cutolo, e alla fine degli anni ottanta era entrato in forze ai Casalesi, passando prima con il boss Tambaro e infine con il feroce Francesco Bidognetti, "Cicciotto 'e mezanotte".

A trovare il ragazzo quando non c'era più niente da fare è stata la madre, che era uscita per fare la spesa. Il primo giorno di vacanze per Pasqua a scuola. Il tredicenne si era alzato tardi e si era messo al computer per la quotidiana razione di "chiacchiere" elettroniche tra coetanei. I carabinieri della compagnia di Giugliano hanno trovato il pc acceso con una schermata di commenti negativi a quel proposito annunciato con enfasi: "Me ne vado, non ti scoccio più", rivolto al padre. Gli amici, identificati con nickname dai quali gli investigatori cercheranno di risalire alla vera identità dei ragazzi, hanno cercato di dissuadere Vittorio. Molti i messaggi increduli. "Veramente ti vuoi ammazzare?". 

Niente aveva girato più in quella casa, dopo la morte violenta di "Bastiano", quattordici anni e la vita a rischio per amicizie sbagliate. In piena faida di Secondigliano, gli "scissionisti", i dissidenti del clan Di Lauro che hanno insanguinato un vasto territorio con un crescendo di sfide, il 9 marzo del 2005 spararono un colpo alla testa a distanza ravvicinata al figlio maggiore di Maglione. Aveva rapinato la persona sbagliata e doveva essere punito: ma il raid degenerò, come accadeva spesso in quel periodo, nella cruenta lotta tra bande. Un inseguimento in una strada deserta e poi l'esecuzione.

Dopo pochi giorni squadra mobile e carabinieri arrestarono cinque ragazzi, tre dei quali minorenni. Sebastiano Maglione, in sella a un ciclomotore Honda Sh con un complice, aveva tentato il colpo su uno dei suoi coetanei che era fuggito andando a chiamare i rinforzi. La vendetta del branco non si era fatta attendere.

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