Tre anni senza Gianluca

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24 maggio 2005 – 24 maggio 2008 / Alla morte di Gianluca Congiusta non ci si abitua

Tre anni senza Gianluca

A maggio 2005, a Siderno, delle mani assassine,strappavano via la vita a Gianluca Congiusta,aprendo scenari ancora più inqietanti in una realtà già di per sé sconquassata da morbi e contrasti consolidati. 

Il 24 maggio del 2005 a Siderno, in Calabria, in Italia, è stata emessa senza appello la condanna a morte di Gianluca Congiusta: fucilato in tempo di pace. Gianluca Congiusta era poco più che trentenne. Anche oggi, a tre anni di distanza, Gianluca è poco più che trentenne.

A sparare contro di lui probabilmente un uomo di razza bianca, o se preferiteun animale di razza umana.

Non un magrebino, o un albanese, o un romeno.A meno di colpi di scena. Ad eseguire le esecuzioni sommarie di giovani, bambini, imprenditori o altre categorie, in Calabria, da sempre, sono uomini di razza bianca, con ogni probabilità nativi della Regione Calabria. 

L'uomo nero qui non c'è, la morte parla il dialetto stretto.

Quindi niente paura.

E poi, in Calabria, se vieni ammazzato c'è un buon motivo, valido moralmente, stirato e inamidato per calzare a puntino sulle coscienze di uomini d'onore e popolazione afflitta.

Se Gianluca Congiusta è stato ammazzato ci sarà un buon motivo.

Se la sarà cercata, o qualcosa del genere.

Le bestie non vivono qui, qui ci sta solo gente che uccide con valide motivazioni e per una giusta causa.

Il 24 maggio del 2005, hanno portato via da Siderno un amico, un figlio, un fratello, un innamorato e un lavoratore.

La gente si è subito chiesta perché, come è possibile che Gianluca Congiusta abbia potuto fare quella fine.

Ai “cani i guccieri” che giravano curiosi intornoal pettegolezzo del caso è stata gettata subito la carne fracida dell'omicidio passionale.

Le donne, il tradimento, l'onore.

Allora quel colpo di fucile che ha tolto l'ultimo respiro a Gianluca poteva  essere tollerato. Il tradimento è tradimento.

Qui non ci sono bestie.

Si uccide per cause moralmente sostenibili. Ma poi è venuta fuori un'altra storia.

Una storia di vessazioni e tormenti, di pressioni di 'ndrangheta e scontri di potere: il potere di chi spara, contro il potere di chi difende la propria dignità.

Contro il piombo però la dignità si spegne, ma non muore. Le indagini portano a galla un intreccio di affari e di minacce. Anche stavolta la pubblica opinione ha avuto l'assist per allontanare l'idea che possa toccare a chiunque.

Se lo hanno ucciso, ha mormorato la coscienza del popolo, qualcosa avrà fatto. 

Già, perché sembra quasi che in Calabria, nella locride, ci siano delle leggi non scritte che contemplino l'omicidio come pena consequenziale di un gesto o un atto irriguardoso verso qualcuno o qualcosa.

Nello spiare il tg1 delle 20, le famiglie calabresi però additano come non appartenenti al genere umano gli esecutori di efferati omicidi nelle varie provincia italiane. Poi magari si scopre che a commettere le intollerabili nefandezze sono marocchini, rom o albanesi.

Un sospiro di sollievo.

Allora non sono della nostra razza. I nostri vicini di casa quando sparano, qui in Calabria, sono motivati.

Mica si alzano e ammazzano cosi, a caso.

In Africa, nell'Africa nera, lo spirito viene prima del corpo. Se tradisci lo spirito o la tua appartenenza religiosa, vieni ucciso. Ti tagliano apezzi. Anche i bambini.

Ma quella è l'Africa.A chi conosceva Gianluca, non importa perché qualcuno ha deciso che non doveva continuare a vivere, a sognare, a camminare. A chi ha conosciuto Gianluca il cuore gli si è chiuso perché non ha più un amico, un figlio,un fratello. Perché Gianluca Congiusta stava tra la gente, coltivava le sue simpatie e antipatie, i suoi amori.

Era un ragazzo poco più che trentenne.

Era un ragazzo come tanti, speciale come tanti, come ce ne sono a Milano, a Bologna o Roma.

Ma ha dovuto subire anche le leggi speciali di chi vive nella locride.

D'altra parte qualcuno può dire che chi gioca con il fuoco prima o poi si brucia. Il problema è che siamo circondati dalle fiamme, e anche se non ci bruciamo perché usiamo corazzate tute d'amianto, siamo intossicati dal fumo.

E non servono i cortei per spegnere gli incendi. Non servono gli striscioni, le manifestazioni, le relazioni comode da scrivania.Serve dignità, lavoro.

Serve la voglia di fare, come quella che aveva Gianluca.

Serve la normalità di pensare che puoi commettere tutti gli errori che vuoi, al massimo ti beccherai una multa, un anno di galera, ma non unafucilata in faccia. Perché è vigliacco, perché non è giusto punto e basta.Tutti sbagliano, valutano male le situazioni, con leggerezza magari.

Un giorno i nostri figli potranno commettere degli errori, e non credo sia una bella prospettiva pensare che possano incontrare sulla loro strada delle bestie di razza bianca che decidano di non perdonare loro anche un semplice scivolone.

Se questa è la normalità che ci siamo scelti,non piangiamoci più addosso.

Io voglio credere che il 24 maggio del 2005 qualcuno che non conosco comeappartenente alla mia stessa razza, di essere umano, abbia deciso che il cammino di Gianluca si dovesse fermare contro una nuvola di piombo.

Gianluca è un ragazzo poco più che trentenne, un amico, un fratello,un figlio, un esemplare meraviglioso di essere umano. 

La Redazione di La Riviera