L'ortomercato, regno
di mafie e di anarchia
Milano, viaggio nella più grande struttura d'Europa. Tutti sanno, ma nessuno riesce a imporre l'ordine
PAOLO COLONNELLO
MILANO
L’altra notte hanno incrociato le braccia e fatto picchetti: un manipolo di facchini e operai delle cooperative dell’Ortomercato che protestavano contro lavoro nero e illegalità. E perché? Sarà anche vero che per i sindaci del Nord l’emergenza sicurezza sono gli zingari e i lavavetri, ma a fare un giro dal tramonto in poi dalle parti di via Lombroso, sede del più grande mercato ortofrutticolo in Italia, si capisce che «l’illegalità» è un concetto tutto da definire. Basta salire la rampa che fiancheggia il palazzo della Sogemi – la società del Comune che gestisce i mercati milanesi – e iniziare a dare un’occhiata.
E’ la stessa rampa che fino ad aprile saliva a bordo di una Ferrari rossa fiammante anche il boss di Africo, Salvatore Morabito, il capo della ‘ndrangheta dell’Ortomercato che mostrava all’ingresso un regolmentare tesserino da «facchino» (e sai che risate per gli addetti alla sicurezza) per poi arrivare su, fino al terzo piano del palazzo direzionale per insediarsi nei suoi uffici: ventidue stanze piene di segretarie e società di ogni genere intestate a un prestanome. Lo sanno tutti che il vero ventre molle della città è in questo porto franco dove prosperano traffici e business di ogni genere e dove, si dice, riescano a convivere le mafie d’Italia – dalla ‘ndrangheta a Cosa Nostra – in una pacifica spartizione di affari e interessi. Lo sanno tutti. E tutti, a iniziare dai politici, fingono di non accorgersene.
Lo sceriffo in pensione
Sarà per questo che della settantina di telecamere a circuito chiuso che dovrebbero funzionare su quest’area di circa 500 mila metri quadrati, pare ne siano a regime non più del 20 per cento. Pare, dicono, si mormora: l’omertà da queste parti è una religione. L’unico «security manager» mai nominato dalla Sogemi, Alberto Sala, un ex poliziotto coi fiocchi scelto dall’Amministrazione Albertini, aveva provato a riportare un po’ d’ordine giungendo perfino a scrivere un ampio rapporto su tutti gli illeciti e i rischi (terrorismo compreso) che si correvano all’Ortomercato. Ma dopo due anni di lavoro venne mandato via dai nuovi vertici della società che in realtà non l’hanno mai sostituito, affidando il suo compito a un ex vigile urbano in pensione, chiamato «lo sceriffo».
Così girando lo sguardo a 360 gradi ecco cosa si vede dalla rampa di via Lombroso: poco più sotto, nei giardinetti che vorrebbero abbellire gli ingressi e fiancheggiano il vialone dove ogni notte viaggiano dai 300 ai 500 tir per trasportare le merci, si prostituiscono i ragazzini arrivati dall’Est. Mentre davanti, su uno spiazzo che sembra non aver fine, recintato da una fragile cancellata, si stendono decine di capannoni sotto tettoie all’amianto, ovvero completamente fuorilegge: è qui che vengono ammassati gli ortaggi. E’ qui che dalle due del mattino fino all’alba, tra i fumi dei gas di scarico dei camion che non spengono mai i motori, lavorano circa tremila persone, movimentando ogni anno un milione di tonnellate di frutta e verdura. Una specie di suk mediorientale contaminato dall’amianto, dove in realtà succede di tutto e dove, insieme alla merce regolare, entra ed esce di tutto: dalla droga alle armi, fino alle batterie esauste delle auto.
Il facchino della coca
«Pensi – racconta il pm antimafia Laura Barbaini che ha coordinato l’ultima inchiesta sulla ‘ndrangheta dell’Ortomercato – che noi stavamo cercando i capi dei traffici di droga in Sud America e nel Nord Europa, quando a un certo punto dei trafficanti ci hanno spiegato che bastava cercare qui vicino, un paio di chilometri in linea d’aria da Palazzo di Giustizia: l’Ortomercato». Possibile che un posto del genere non abbia controlli? Ufficialmente ci sono, eccome: appalti con una società di vigilanti, telecamere non sempre funzionanti, tornelli per l’ingresso delle persone e pass rilasciati agli addetti. In realtà entra chi vuole. «L’utilizzo delle strutture dell’Ortomercato è pressoché immune da controlli», ha scritto il pm Barbaini nella monumentale richiesta compilata in aprile scorso per arrestare i capi bastone della ‘ndrangheta che avevano aperto perfino un night notturno per il sollazzo della malavita locale, il «For a King», inaugurato giusto nel marzo scorso proprio sotto il centro direzionale dell’Ortomercato. Doveva diventare il regno del “facchi- no” Salvatore Morabito e dei Palamara, Zappalà, Pizzinga, è stato chiuso d’imperio dalla Procura per impedire l’arrivo di 250 chili di coca e dopo aver scoperto che i permessi, dal Comune e dalla Sogemi, erano arrivati a tempo di record, grazie a qualche bustarella sostanziosa. All’inaugurazione si presentarono colletti bianchi e facce da galera. Un bel mix, non c’è che dire.
Proseguendo per la via perimetrale che costeggia l’intero Ortomercato ci si accorge che la facciata relativamente «pulita» intravista dalla rampa, lascia il posto a una realtà degna della Napoli di Scampia: rifiuti e macerie di ogni tipo costeggiano la strada che finisce in un parcheggio dall’aria abusiva.
E’ da queste parti, lontano dagli ingressi ufficiali, che ogni notte, verso le quattro, quando il grosso dei camion entra all’Ortomercato, due o trecento «negri», ovvero extracomunitari e disperati vari, scavalcano agilmente una barriera di lamiere e si presentano ai vari «caporali» per lavorare in nero. Tre euro all’ora invece dei quindici della paga oraria sindacale. Un «affare» che sta tra i motivi che hanno scatenato la rivolta dell’altra notte dei lavoratori, mandando su tutte le furie grossisti e direzione della Sogemi.
Sono talmente tanti i «negri» che scavalcano che, spiega un anziano adetto alla sicurezza, alcuni grossisti hanno organizzato per loro dei veri e propri rifugi nei cunicoli che attraversano l’intero mercato e la cui mappa nessuno conosce bene. In caso di controlli improvvisi, i «negri» spariscono qua sotto. E a volte ci devono rimanere così tante ore che qualcuno, nei sotterranei vicini al palazzone della Sogemi, avrebbe pensato addirittura di attrezzare una sorta di moschea clandestina. Impossibile verificare da vicino perché da queste parti, la prima cosa che ti spiegano è che «una coltellata non si nega a nessuno».