Una spallata alla mafia
… e la mafia non esiste
di Filippo Conticello
foto internet
10/10/2007
Un colpo durissimo per il clan Santapaola di Catania: 33 ordini di custodia cautelare emessi nei confronti di altrettanti membri della cosca e 25 arresti tra Catania, Messina, Napoli e Genova. L'operazione del Dipartimento d'investigazione antimafia (Dia) è scattata dopo 150 intercettazioni telefoniche e ambientali e oltre 50 mila conversazioni registrate. Le accuse sono di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione ai danni di aziende aggiudicatarie di appalti pubblici e traffico di droga. Molti degli arrestati sono imparentati con i vertici della cosca catanese: in manette, tra gli altri, Natale D'Emanuele, uomo di spicco della famiglia e cugino del boss Nitto Santapaola; suo figlio Andrea D'Emanuele; Vincenzo Santapaola, nipote di Nitto operante nel messinese; e Roberto Vacante, genero del defunto Salvatore Santapaola, fratello di Nitto.
In particolare, l'attività investigativa della Dia si è concentrata sul gruppo criminale capeggiato da un altro cugino del boss, Angelo Santapaola, reggente del clan nel rione San Cristoforo di Catania e gestore del traffico di droga nel territorio. Il suo cadavere bruciato era stato ritrovato in un casolare abbandonato nelle campagne di Ramacca il 30 settembre scorso insieme a quello del suo braccio destro Nicola Sedici. Secondo gli inquirenti sarebbe stato proprio Angelo Santapaola a riorganizzare nella zona il racket delle estorsioni imponendo una tangente fissa per tutti gli imprenditori vincitori di appalti pubblici. Non più richieste "una tantum", ma una percentuale fissa del 2% sull'importo dei lavori. Sono stati identificati come vittime cinque imprenditori edili e dalle indagini è emerso che la stessa percentuale del 2% era stata richiesta da Angelo Santapaola all'imprenditore Andrea Vecchio, il presidente dell'Ance di Catania. Per il suo rifiuto di pagare, Vecchio ha subito tre attentati incendiari in tre giorni nel suo cantiere edile nel rione San Cristoforo. L'ipotesi più credibile è che il cugino del boss sarebbe stato eliminato dalla stessa cosca proprio a causa di questi attentati: una mafia silenziosa che prova ad inabissarsi non gradisce, infatti, troppo clamore. Del resto, l'unico risultato ottenuto da quegli attacchi era stato quello di riaccendere i riflettori sul fenomeno del pizzo nella città etnea.
La nuova spallata alle cosche s'inserisce in un momento molto favorevole nella lotta al racket delle estorsioni. Se a Catania cresce sensibilmente il numero delle denunce, a Palermo va avanti il processo ai presunti estorsori dell'Antica Focacceria "San Francesco", locale storico della città. Dopo il fratello Vincenzo, nei giorni scorsi ha testimoniato anche l'altro proprietario, Fabio Conticello. In aula insieme a lui c'era il presidente della Commissione nazionale antimafia, Francesco Forgione, il presidente onorario della Federazione nazionale antiracket, Tano Grasso, Rita Borsellino, il deputato di An Nino Lo Presti e i ragazzi di Addiopizzo. A fianco dell'avvocato Stefano Giordano, difensore dei Conticello e bersaglio di alcuni episodi intimidatori, il presidente della Camera penale di Palermo, Tommaso Farina, ed il presidente dell'Ordine degli avvocati di Palermo, Enrico Sanseverino. Insomma, una grande rete di solidarietà istituzionale attorno ai fratelli Conticello, imprenditori simbolo della lotta al racket costretti ormai a vivere in un pesante contesto di intimidazione ambientale. Emblematico il fatto che alla vigilia del processo sette dipendenti dell'impresa abbiano deciso di lasciare il lavoro, quattro presentando direttamente le dimissioni e tre mettendosi in malattia.