Gianluca Congiusta, sospeso tra i “vuoti” dello Stato

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giustizia  

L’imprenditore sidernese vittima innocente della criminalità da 10 anni è in attesa di giustizia

MARIO

inforedazionale a cura di mario congiusta

Erano le 22.30 circa del 24 maggio del 2005, la mano assassina di un appartenente alle consorterie criminali sidernesi ha spento per sempre la vita di Gianluca Congiusta, 32 anni, imprenditore nel settore della telefonia illuminato e coraggioso, per aver scelto di non andare via dalla Locride, per aver scelto, si scoprirà dopo, di non abbandonare al proprio destino persone a lui care. Ucciso mentre rientrava a casa, in quel momento inspiegabilmente.

Per Mario, il padre, per Donatella, la madre e per le sorelle, Roberta e Alessandra il vuoto e la disperazione. Perché un ragazzo intraprendente, attento e capace ha dovuto interrompere il suo cammino non ancora 33enne? Gianluca aveva studiato e viaggiato, a 17 anni ha combattuto e sconfitto la leucemia, la vita era nelle sue mani e nella sua testa. Generoso e affabile, ambizioso e premuroso. Nelle ore e nei giorni successivi al suo omicidio le indagini sono a 360 gradi, la pista passionale, quella dei giri di soldi poco chiari, quella di una lite andata male. Nulla si brancola nel buio, anche perché Gianluca Congiusta non frequenta criminali, pregiudicati, malavitosi, è uno con la testa a posto, ma chi lo uccide usa un metodo ed una dinamica chiaramente mafiosa, ‘ndranghetistica, un agguato di matrice criminale in piena regola. Intanto si scava nella vita privata di tutti i componenti della famiglia Congiusta, e anche in quella della famiglia di Katia Scarfò, fidanzata e ombra di “Luca”. Mario Congiusta inizia la sua battaglia, vuole vederci chiaro, vuole giustizia, vuole sapere perché suo figlio non c’è più. Il 9 gennaio del 2007, arrivano gli arresti, autori e presunti autori del delitto vengono arrestati, tra loro spicca il nome di Tommaso Costa, considerato dai magistrati autentico boss dell’omonima famiglia di Siderno e al centro di una organizzazione di stampo mafioso in cui gravitavano soggetti come Giuseppe Curciarello e il trafficante straniero Bayan Khaled, oltre ad altri pericolosi criminali. Ma perché Tommaso Costa avrebbe voluto e deciso la morte dell’imprenditore sidernese? Secondo due sentenze, Corte d’Assise di Locri e Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria Tommaso Costa avrebbe punito Gianluca Congiusta perché si sarebbe intromesso tra il boss in procinto di allearsi con i fratelli Salvatore e Agostino Salerno di Siderno, ed una estorsione perpetrata ai danni di Antonio Scarfò, padre di Katia giovane fidanzata di Gianluca Congiusta. Scarfò sarebbe stato minacciato e ricattato da Costa e il suo gruppo, minacce arrivate fino all’invio di una lettera in cui senza mezzi termini si intimava Scarfò a intraprendere azioni a favore di Costa, pena ritorsioni violente. Gianluca entrò in possesso di quella missiva, si mise in mezzo, provò a difendere l’ex suocero, «per questo – scrivono due Corti d’Assise – pagò con la vita». Un torbido giro di bugie e silenzi, la famiglia Scarfò, se non di fronte all’evidenza portata alla luce dagli investigatori, non parlò mai di quella lettera e del fatto che Gianluca sapesse dell’estorsione di Costa. Menzogne anche di fronte alla morte di un giovane affettuoso e premuroso come “Luca”. Vittima due volte, della lupara e delle verità taciute. Per il delitto del 24 maggio 2005 Tommaso Costa è stato condannato all’ergastolo, in primo e secondo grado, i suoi complici, secondo i giudici estranei al delitto, condannati per associazione mafiosa. La Corte di Cassazione però ha deciso di andare più a fondo, non bastano le prove schiaccianti già valutate da due organi d’assise, servono secondo la Suprema Corte più certezze, inoltre, come fonte di prova non sarebbero valide le missive, chiare ed esplicative, che Costa e i suoi “compari” si sono scambiati dal carcere per pianificare l’estorsione a Scarfò e decidere la morte di Congiusta. La legge, con un clamoroso vuoto legislativo, non consente l’acquisizione come prova delle missive dei carcerati. La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza contro Tommaso Costa ed oggi si sta celebrando un nuovo processo d’appello, in corso a Reggio Calabria. Nulla di nuovo è emerso se non che l’impianto accusatorio della Dda reggina sta trovando riscontri ancora una volta. Rimane da capire come in uno Stato che dice di voler combattere la mafia non ci si sia ancora posti il problema di una modifica legislativa alle norme secondo cui sono inutilizzabili come prova le lettere scritte dai detenuti. Intanto Gianluca, da quasi 10 anni, attende giustizia, definitiva, e con lui la sua famiglia che dal 2005 cammina su un calvario di sofferenza e colpi di mano anche da parte dello Stato.

CONGIUSTA LUCA helios

Il 2015, dieci anni dopo, potrebbe arrivare la parola fine per la vicenda di “Luca” che quanto meno merita di riposare in pace.

fonte: http://www.heliosmag.it