Indagati, arrestati, condannati: è la Regione della vergogna

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Indagati, arrestati, condannati. La Regione della vergogna e del malaffare.

L’ultima notizia in ordine di tempo, freschissima di giornata – l’assessore regionale all’Agricoltura Michele Trematerra sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa – è il colpo finale al cuore della credibilità di una classe politica sempre più impresentabile. La presunzione di innocenza fino al termine dei gradi di giudizio è naturalmente indiscutibile e intangibile, ma la legge dei “grandi numeri” è impietosa. Dice che almeno l’80 per cento della rappresentanza istituzionale alla Regione – dalla Giunta al Consiglio – è finito sotto la lente della magistratura penale per – presunti – reati più o meno gravi, un dato che configura in Calabria una “questione morale” sterminata come un oceano. Nessuno escluso, l’indegnità è perfettamente “bipartisan”: da destra a sinistra passando per il centro, la politica calabrese chiude questa legislatura regionale in modo persino peggiore di quella precedente, che pure non scherzò. Sepolta dagli scandali e dalle malefatte. Già ai suoi albori è “tintinnar di manette” malgrado i giuramenti sulla pulizia delle liste: si ricordano gli arresti dei consiglieri regionali Santi Zappalà (corruzione elettorale e rapporti con le cosche reggine, Franco Morelli (concorso esterno in associazione mafiosa), Antonio Rappoccio (tra le varie accuse, truffa e voto di scambio). Un elenco lunghissimo, che si ripercorre a memoria sapendo di dimenticare persino qualcosa e soprattutto qualcuno. Un ”gorgo” inarrestabile, nel quale finisce persino il governatore Peppe Scopelliti, condannato per i presunti buchi di bilancio quand’era sindaco di Reggio e per questo sospeso dalla carica (oltre che dimissionario) ma rincorso anche da inchieste sulla gestione della sanità e sulle nomine regionali, insieme praticamente all’intera sua Giunta a palazzo Alemanni. Poi, nel mirino delle procure anche alcuni singoli assessori regionali, come Franco Pugliano per le zone d’ombra della discarica di Alli di Catanzaro o Mimmo Tallini sempre per le nomine della Regione. Maggioranza e minoranza, tutti insieme appassionatamente nell’uso “distorto” delle cariche pubbliche, interpretate come gestione del potere a fini essenzialmente personali e clientelari. Indagini a esempio coinvolgono i democrat Antonio Scalzo (concorsi all’Arpacal) e Demetrio Naccari Carlizzi (accusato di aver “brigato” per favorire la moglie a un concorso da primario nella sanità reggina). Coinvolgono anche il presidente del consiglio regionale Franco Talarico (abuso di ufficio per alcune nomine), o ancora il consigliere regionale Pasquale Tripodi (truffa) o i colleghi Ottavio Bruni (omissione d’atti d’ufficio) e Claudio Parente (truffa aggravata) etc etc. E poi, la “summa”, l’inchiesta ormai conosciuta come “Rimborsopoli”, la gestione “allegrissima” dei fondi dei gruppi del consiglio regionale, utilizzati per pagarsi lap dance, Gratta e Vinci, Vigorsol e bricolage… La prima “ondata” di indagati coinvolge i capigruppo all’epoca dei fati conestati: sono già sfilati davanti ai magistrati Emilio De Masi (Idv), Sandro Principe (Partito democratico), Vincenzo Antonio Ciconte (ex capogruppo Autonomia e Diritti), Agazio Loiero (ex governatore della Calabria, ma attualmente capogruppo di Autonomia e Diritti), Giuseppe Bova (ex presidente del consiglio regionale), Nino De Gaetano (Partito democratico, ma indagato quand’era a Rifondazione comunista) Giulio Serra (Insieme per la Calabria), Gianpaolo Chiappetta (ex Pdl), Luigi Fedele (ex capogruppo del Pdl), Alfonso Dattolo (Udc), Pino Gentile (Pdl, già Forza Italia), il sottosegretario Alberto Sarra (in passato capogruppo di Alleanza Nazionale), il senatore Giovanni Bilardi (Ncd, fino a pochi mesi fa capogruppo della Lista Scopelliti Presidente). La seconda “ondata” di “Rimborsopoli”: Tra gli indagati il presidente Talarico, poi per l’Ncd i senatori Pietro Aiello e Antonio Caridi, il segretario-questore Giovanni Nucera, Fausto Orsomarso, Nazzareno Salerno, Rosario Mirabelli; per Forza Italia il capogruppo Ennio Morrone, il vicepresidente del Consiglio Alessandro Nicolò, Giuseppe Caputo, Mario Magno, Salvatore Pacenza. Ci sono anche i membri della Lista Scopelliti Presidente: Alfonso Grillo, Candeloro Imbalzano, Salvatore Magarò e Claudio Parente; oltre a esponenti dell’Udc come Gianluca Gallo e Ottavio Bruni. Molti i rappresentanti del Pd, tra cui il secondo vicepresidente Pietro Amato, gli attuali parlamentari Demetrio Battaglia e Bruno Censore, poi Mario Franchino, Carlo Guccione, Mario Maiolo, Nicola Adamo, Antonio Scalzo e Francesco Sulla. Nella lista degli indagati figurerebbero anche il deputato Ferdinando Aiello (Sel, ora Pd), Domenico Talarico e Giuseppe Giordano dell’Idv. Fatto qualche conto, sono più di quaranta. Un numero mostruoso. E come reagisce il consiglio regionale? Approvando una legge elettorale che crea soglie di sbarramento esorbitanti, in modo da “soffocare” nella culla la voglia di partecipazione dal basso e da rendere fondatissimo il sospetto che un sistema ormai “marcio” fino al midollo non intende mollare, anzi intende perpetuarsi all’infinito. Una “casta” di infamia, che tira a campare mente i calabresi onesti tirano la cinghia e a volte le cuoia… Il governo nazionale probabilmente impugnerà la legge elettorale, ma forse ci sarà bisogno di ben altro: magari un decreto anti-corruzione ad hoc per la Calabria e l’eliminazione dei vitalizi a chi ha ridotto la Regione a un cumulo di macerie e miserie, anche e soprattutto morali.

Antonio Cantisani

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