Dda: “Matacena scelse Scajola per rapporti politici con cosche ‘ndrangheta”

Print Friendly, PDF & Email

Questa l’ipotesi della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, non condivisa però dal gip che ha rigettato per l’ex ministro la richiesta aggravante dell’avere favorito le cosche. Sequestrata in casa del politico ligure una missiva firmata dall’ex presidente libanese: “Caro Claudio, lo portiamo in Libano”. Il Questore di Imperia avvia un’indagine sull’uso improprio della scorta usata, secondo l’accusa, per favorire la latitanza

scajola-6401

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 10 maggio 2014

“Condotte dirette a interferire su funzioni sovrane quali la potestà di concedere l’estradizione“. Con queste parole i pm della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria contestano a Claudio Scajola e agli altri sette arrestati lo scorso 8 maggio insieme all’ex ministro, a Vincenzo Speziali, nipote omonimo dell’ex senatore del Pdl, la messa in atto di comportamenti volti a impedire l’estradizione dell’ex deputato condannato a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa Amedeo Matacena.

L’accusa è stata ipotizzata nel decreto di perquisizione emesso dalla Dda ed eseguito contestualmente agli arresti e si riferisce alla presunta attività svolta da Scajola e da altri indagati al fine di far trasferire Matacena da Dubai, dove si trova attualmente libero ma privato del passaporto, in Libano, Paese ritenuto più sicuro per evitare l’estradizione. Un progetto che, secondo l’accusa, emerge dalle conversazioni telefoniche intercettate tra Scajola e, tra gli altri, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo. Conversazioni nel corso delle quali il Paese mediorientale ricorre più volte, citato espressamente o con la sola iniziale. In una telefonata Scajola riferisce anche alla Rizzo di avere contatti con un “ministro in carica in quello Stato” che per gli inquirenti è, appunto, il Libano.

Secondo l’accusa, gli indagati “prendono parte a una associazione per delinquere segreta collegata alla ‘ndrangheta da rapporto di interrelazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio mafioso in campo nazionale e internazionale“. Nello specifico avrebbero fatto in modo di interferire sulle funzioni sovrane di altri Stati per proteggere la latitanza di Matacena, “decisivo concorrente esterno della ‘ndrangheta reggina” che svolge un “rilevantissimo ruolo politico e imprenditoriale a favore” della stessa ‘ndrangheta, “interessata a mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, utilizzata per schermare la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali dal predetto garantite a livello regionale, nazionale ed internazionale”.

Dda: “Scajola proiezione degli accordi di Matacena”. Il Gip: “Mancano indizi”– Claudio Scajola era stato individuato da Amedeo Matacena quale “interlocutore politico” delle cosche di ‘ndrangheta “a operare su sua indicazione”. È la convinzione dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, anche se al momento, sul punto, hanno ricevuto lo stop del gip che ha respinto la richiesta di contestare l’aggravante mafiosa all’ex ministro e agli altri sette arrestati. Una decisione sulla quale la Dda intende dare battaglia, tanto che i pm hanno già predisposto il ricorso da presentare al tribunale del riesame. Nell’ordinanza i magistrati ricostruiscono i rapporti tra Scajola e Matacena. Secondo l’accusa, dopo la sentenza di condanna, Matacena, del quale viene evidenziata “la stretta commistione tra l’attività politica e quella imprenditoriale volta sia al proprio interesse che in favore delle cosche”, si trova costretto a scindere i due aspetti. Ed è in questo contesto che l’ex deputato individuerebbe “l’interlocutore politico destinato a operare su sua indicazione in Scajola, interessato alla candidatura per le elezioni europee, come risulta da alcune conversazioni con la moglie e con Chiara Rizzo, peraltro poi escluso dai vertici del partito con il conseguente naufragare di tale golosa prospettiva”. Una prospettiva che Scajola attendeva, al pari della probabile elezione. E che gli sarebbe servita, tra l’altro, a poter dare, col proprio stipendio, 15.500 euro a Chiara Rizzo, che è la moglie di Matacena, per l’anticipo di una casa in affitto a Montecarlo. Una circostanza emersa dalla sintesi di una telefonata intercettata dalla Dia il 4 aprile 2014 e che è agli atti del procedimento. D’altra parte, come dichiara la moglie dell’ex ministro, Maria Teresa, uscita dal silenzio che si era imposta dal giorno dell’arresto del marito, “Claudio Scajola è un galantuomo, con una grande testa e un grande cuore“.

Per i pm, invece, Scajola “rappresenta la proiezione degli accordi e degli impegni assunti dal Matacena”. Ma per il gip “manca un supporto indiziario idoneo a superare il mero dato congetturale”. Una questione sulla quale dovrà pronunciarsi il riesame e, eventualmente, la Cassazione, alla quale i pm sono intenzionati a rivolgersi nel caso in cui dovesse andare male l’appello. Perché i magistrati, e con loro gli investigatori della Dia, sono convinti che Scajola, gli altri arrestati ed anche Vincenzo Speziali, nipote omonimo dell’ex senatore del Pdl, siano componenti di “un’associazione per delinquere segreta collegata alla ‘ndrangheta”. Tant’è che tutti e nove sono indagati, come si evince dal decreto di perquisizione eseguito dalla Dia contestualmente agli arresti, per associazione a delinque e associazione mafiosa.

Sviluppi nell’inchiesta potranno venire anche dall’esame del materiale sequestrato che dovrebbe arrivare a Reggio a metà della prossima settimana. Tra le tante carte, ce n’è una, in particolare, che i magistrati vogliono leggere. Si tratta di una lettera scritta in francese al computer indirizzata al “mio caro Claudio” e che, secondo gli investigatori, potrebbe essere stata siglata dall’ex presidente libanese Amin Gemayel. Nella missiva si legge, tra l’altro, che “la persona potrà beneficiare in maniera riservata della stessa posizione di cui gode attualmente a Dubai” e che “troveremo un modo per per fare uscire la persona dagli Emirati Arabi e farla arrivare in Libano”.

E proprio dagli Emirati Arabi Matacena è tornato oggi a fare sentire la sua voce con una intervista a Sky. L’ex deputato ha detto di avere scelto la fuga per aspettare in libertà la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo. Una scelta che gli è costata il divorzio dalla moglie, visto, ha spiegato, che “non voleva che andassi via”. Matacena ha anche colto l’occasione per dire che “al sud hanno usato il concorso esterno per colpire Forza Italia, che aveva una forza notevole”. E per domani sera è atteso il rientro in Italia di Chiara Rizzo che, ha annunciato, torna spontaneamente per mettersi a “disposizione della giustizia”