Appello di 12 associazioni: salvare beni confiscati alla mafia

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Appello di 12 associazioni: salvare beni confiscati alla mafia

Di Massimo Solani

23 agosto 2012

Sono le parole del presidente del Centro Pio La Torre, Vito Lo Monaco, a spiegare al meglio perché il prossimo 30 settembre i rappresentanti di dodici sigle (dall’Associazione nazionale magistrati all’Arci, dalla Cgil a Confindustria, da Libera a Legacoop, solo per citarne alcune) incontreranno il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri per un confronto e una riflessione sul tema dei beni confiscati. Il progetto, infatti, è quello messo nero su bianco il 18 luglio scorso e già inviato al Viminale per chiedere «l’istituzione di una cabina di regia formata dalle organizzazioni sociali e dell’antimafia presso l’Agenzia dei beni confiscati che agevoli il lavoro di questa, individui le criticità, elabori le linee di massima dei piani di utilizzo delle aziende e dei beni confiscati, aiuti a instaurare una sostanziale concertazione tra Agenzia, enti territoriali, associazioni antimafia e sociali dell’impresa e del lavoro sia a livello nazionale che periferico».

Al netto del linguaggio volutamente diplomatico, il problema è serio e annoso. Istituita nel 2010 per volere del ministro Maroni, infatti, l’Agenzia a tutt’oggi è poco più di una scatola vuota. O meglio, pienissima per quanto riguarda la mole di lavoro, ma quasi del tutto inutile invece dal punto di vista delle dotazioni (una trentina le persone che ci lavorano a fronte di una esigenza, dichiarata, di almeno 100 unità) e dei mezzi a disposizione. Proprio l’Agenzia guidata dal prefetto Giuseppe Caruso, infatti, nel suo ultimo report annuale segnalava quanto fossero evidenti «l’assoluta inadeguatezza delle risorse attribuite a fronte dei molteplici compiti, complessi e delicati, che il legislatore ha voluto attribuirle». Un’analisi condivisa anche dalla Corte dei Conti secondo cui «tale esiguità di risorse umane difficilmente potrà far fronte all’emergenza nazionale che sempre più vede i protagonisti della criminalità organizzata espandere i propri confini». Per capire il problema, poi, basta affidarsi ai numeri: al 2 luglio scorso, infatti, erano 12.276 i beni sequestrati e confiscati su tutto il territorio nazionale. Di questi 10673 erano immobili, circa il 50% dei quali gravati da ipoteche, 1603 le aziende. Dati in costante aumento vista, da una parte, l’attività incessante della magistratura e delle forze di polizia e, dall’altro, le lungaggini burocratiche necessarie prima dell’affidamento dei beni. Il tempo passa e nel frattempo i beni deperiscono, spesso addirittura occupati dalle stesse famiglie a cui sono stati sequestrati, e le aziende falliscono facendo perdere posti di lavoro e ricchezza per i territori. Per questo le associazioni hanno deciso di scrivere al ministero dell’Interno per chiedere la costituzione della cabina di regia.

«Per avere un organismo in grado di fornire competenze all’amministrazione – spiega Lo Monaco – ma anche per sollecitare gli interventi, collaborare all’individuazione delle soluzioni più idonee in costante collegamento con gli enti locali». Perché ogni immobile è una storia a sé e ogni azienda un problema diverso da risolvere: «non è facile decidere se vendere o meno un bene – prosegue il presidente del centro Pio La Torre – non è facile capire cosa è meglio per supportare una azienda ed evitare che fallisca di fronte ai costi e alle difficoltà di un mercato “legale” non più condizionato dalla protezione mafiosa. Sono scelte che vanno fatte con competenza e cognizione, decisioni che al momento sono rese difficili da una amministrazione che tende ad accentrare e paralizzarsi in questioni tecnico-burocratiche». Un primo passo, vista l’esigenza segnalata di ulteriori modifiche a tutta la normativa, che il ministro stesso potrebbe disporre in prima persona essendo l’Agenzia di competenza del Viminale.