Una boccata di libertà

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il quotidiano

lunedì 15 agosto 2011

Il diario di una giovane fiorentina, Anna Luce Giorgi, sull’esperienza vissuta nella locride nei terreni confiscati alle cosche

Anna Luce

Una boccata di libertà

L’esperienza in uno dei campi della legalità di Libera

“La marcia della memoria il momento più toccante”

Ci sono viaggi estivi che vanno al di là della semplice conoscenza di un posto nuovo, ci sono curiosità che vanno oltre il mero incontro con persone nuove; il campo di “E!State Liberi!” a Gioiosa Jonica è stata una di quelle esperienze che ha concesso di vivere un passo “oltre” la meta scelta per la vacanza scolastica, le ferie lavorative o, perché no, un luglio da pensionato.

18 persone (tra i 16 e i 65 anni) da tutta Italia, con mente aperta e mani pronte, due encomiabili guide di Libera Locride (Francesco Riggitano e Luca Giuseppe Ritorto) e un accompagnatore prezioso, testimone vivo del sangue versato in Calabria (Mario Congiusta), questa è stata la composizione del gruppo che ha lavorato coeso e discusso “Liberamente” dal 18 al 27 luglio (la maiuscola non è solo formale quando si parla dell’Associazione Libera, contro le mafie).

 

A Marina di Gioiosa Jonica, abbiamo preso il posto dei bambini del centro Don Milani, dove vengono svolte diverse attività ricreative e formative del doposcuola. Per i bimbi della Locride il Don Milani è una valorosa alternativa alla strada, in un territorio aspro, pericoloso, talvolta troppo abbandonato (non solo dal punto di vista geografico). Abbiamo dormito nelle loro aule, giocato con i biliardini e mangiato dove fanno merenda, respirando la stessa aria pulita che riempie i loro piccoli polmoni prima di rientrare a casa, dove spesso trovano genitori ingrati, assenti o malavitosi. Già dall’impatto con la struttura abbiamo percepito tutta la difficoltà del contesto.

Durante il soggiorno non sono riuscita a concentrarmi davanti al pc per riportare qualche impressione a caldo. Non è stata pigrizia la mia, solo esigenza di tesorizzare, giorno dopo giorno, ogni momento vissuto, ogni sguardo e parola ricevuti. Per fortuna, la brava amica milanese, Giovanna, si è alzata spesso all’alba per aggiornare minuziosamente le memorie quotidiane del campo.

Io riesco a scrivere solo ora, nella mia stanza, come primo atto del campo di Libera, che deve proseguire anche qui da casa mia, lontana dalla Calabria. Per alcuni ricordi coniugo i verbi al presente, come se stessi rivivendo adesso quei momenti impareggiabili; mentre la parola con cui voglio raccontare il campo è “casualmente” LIBERA.

L come Libertà

Abbiamo assistito a vere e proprie lezioni di uomini Liberi, dove il senso della Libertà non vuol dire fare quello che si vuole, ma non fare quello che gli altri vogliono imporre per il proprio tornaconto, ossia, non essere schiavi.

Nel 1978, Rocco Gatto non ha ceduto allo stato di paura dei malavitosi che, in rispetto alla morte di un mafioso, hanno asserragliato e bloccato l’intero mercato di Gioiosa Jonica. Lui non ha voluto fare lo schiavo di nessun potere prevaricante, denunciando chi, quella domenica, ha impedito alla gente comune di camminare e comprare liberamente tra le bancarelle.

Rocco Gatto ha scelto l’onesta Libertà alla disonesta schiavitù e per questo è morto da uomo Libero. Chi, come lui, come Gianluca Congiusta, Giuseppe Tizian, Celestino Fava, Lollò Cartisano e tanti altri ha lottato per spezzare quelle catene, è morto dandoci una grande lezione di Libertà.

C’è anche un altro “principio di non schiavitù” da applicare alla vita pubblica, alla politica, all’economia, ma che in terra di mafia viene violentemente calpestato. Le leggi del libero mercato non funzionano, sballano completamente: la domanda e l’offerta di lavoro non si incontrano, perché di mezzo c’è la raccomandazione della ‘ndrangheta, la gestione del bene comune non è collettiva, perché di mezzo c’è la gestione del patrimonio della famiglia X, ossia la ‘ndrina nota nel paese X.

Mi chiedo come si sentano in Calabria i professori di materie come diritto ed economia presso le scuole superiori e le università, sapendo che il diritto e l’economia in quel territorio non sono certo la rappresentazione dei sistemi che insegnano. E pensare che lì, più di 2500 anni fa, la società civile beneficiava di una democrazia veramente libera, ricca e progressista, perché si attuava ciò in cui si credeva, grazie a un “certo” Professor Pitagora, che predicava il rispetto delle leggi, l’amore per la religione, l’attaccamento al lavoro e alla morale.

I come Insieme

La parola “Insieme” significa impegno comune, solidarietà, vicinanza, lotta con i familiari delle vittime di mafia, affinchè la memoria dei loro cari non vada persa, ma rimangano vivi in noi quei valori civili, per i quali troppe persone oneste hanno perso la vita.

Debora Cartisano, figlia di Lollò (ultima vittima sequestrata e uccisa in Aspromonte nel 1993 per aver denunciato il pizzo) ha urlato sulla tomba del padre per un’ impegno a continuare a camminare insieme, perché solo così il cammino sarà meno pesante”. Si riferisce al cammino fatto di ricordi e di sacrifici umani da non dimenticare, per portare avanti il buon senso in ogni scelta quotidiana, piccola o grande che sia. Il nostro punto di vista e, di conseguenza, le opzioni che seguiamo devono essere radicali: scegliere la strada della giustizia sociale e della legittimità vale sempre la pena, ogni nostro giorno.

Il 22 luglio, la marcia della memoria in Aspromonte è stata per me il momento più toccante del campo, perché tutti hanno sudato insieme per camminare simbolicamente la strada della legalità, mantenendo vivi i nomi di coloro che l’hanno percorsa prima di noi.

B come Bomboniere

L’ultima sera, il buon  Mario Congiusta, ci ha regalato una speciale bomboniera, contenente sia confetti (ovviamente color verde speranza), sia il disegno del volto di suo figlio Gianluca Congiusta (nato come me nel 1973 e ucciso a soli 32 anni per non essersi sottomesso ai soprusi della famiglia Costa, una ‘ndrina di Siderno).

Su una mensola della cucina, conservo in bellavista la bomboniera in ricordo di Gianluca; ne farò memoria in casa con gli amici che mi verranno a trovare. Lo chiede suo papà, come tutti i familiari delle vittime di mafia; lo chiede la mia coscienza che ha conosciuto le storie di uomini puliti e Liberi, morti atrocemente.

Un altro di loro era Celestino Maria Fava, un bel giovane di 22 anni, il cui sorriso “vive” oggi nel ciondolo dorato che oscilla sul petto della sua mamma, vestita tutta di nero da quel maledetto 29 novembre 1996. Celestino ha pagato con la vita perché si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato: la sua bocca non doveva dire quello che i suoi occhi avevano visto una mattina di autunno…e l’autunno vero, come quello desolante di “si sta come d’autunno, sugli alberi le foglie”, è rimasto tuttora nel cuore dei suoi genitori.

Papà Antonino ha due occhi stanchi, l’iride sfumata dall’età, le venuzze dei capillari sulle guance e le rughe solcate dalla sofferenza. Lo affianco durante la marcia della memoria solo per stringergli la mano, quasi a volerla mettere nella sua piaga, ma con tutto il dovuto rispetto. Inizia a camminare insieme a me: lui ha tanta voglia di parlarmi del figlio e lo fa con semplicità e lucidità, io, a quel punto, ho proprio voglia di ascoltarlo, cercando prima di tutto di essere delicata con le mie domande e poi aperta col cuore, rischiando pure una profonda commozione per quel papà vestito tutto di nero, come il lutto della moglie che gli sta accanto.

Il loro dolore è intimo, abissale, ma anche umile e dignitoso. Le parole a noi rivolte sono tanto semplici quanto incisive “Mi raccomando ragazzi, andate sempre sulla retta via…tenete duro!”.

A volte, schiacciati dal tormento più atroce che un uomo possa sopportare, ossia la sopravvivenza al proprio figlio, Antonino e Annamaria hanno pensato di farla finita insieme per raggiungere il loro amato Celestino. Grazie a Dio, possono invece raccontarlo.

Sono persone di fede i Fava che, dopo 15 anni di lutto, non avendo ricevuto giustizia dagli uomini, credono solo nella giustizia di Dio e, prima di riceverla quando sarà, vanno avanti per l’altro figlio Domenico, il gemello di Celestino che sta a Milano e che è tale e quale al fratello.

Dopo il racconto su questo giovane strappato alla vita, non riesco a trattenere le lacrime, ma le asciugo velocemente, spinta a continuare la camminata al fianco dei suoi genitori, così uniti e forti nel dolore. Ho iniziato, quindi, a chiedere curiosità sulla loro giovinezza a Palizzi (piccolo paese nella provincia di Reggio Calabria), su come è nato il loro amore e sulla famiglia onesta che hanno saputo costruire. A quel punto, la camminata si distende negli animi: Antonino e Annamaria sono fieri di raccontarmi della loro dura infanzia in una terra povera, ma anche di come, negli anni sessanta, erano “senza niente, però semplici e sempre felici”. Iniziamo tutti a sorridere durante i racconti del tempo che fu, a tratti buffi, mentre riusciamo anche a scambiarci qualche frutto gustoso dei peri selvatici trovati lungo il bosco.

Mi salutano nel modo più tenero possibile, dicendomi “Anna Luce, questa è stata davvero una bella camminata, non ci siamo stancati!” e mi ringraziano pure, abbracciandomi entrambi.

Sono io che ringrazio loro per aver camminato insieme e per la bella lezione di vita, data con tanta umiltà: Libere lacrime che lasciano il posto a Liberi sorrisi.

Li congedo con la promessa di rivederli alla prossima marcia del 22 luglio 2012: sarà la medesima camminata, sarà la stessa memoria, ma con persone e speranze in più, che questo tempo porterà sicuramente in Aspromonte.

La lettera B sta anche per “borracce”, come quelle gentilmente offerte dal Ministro della Gioventù ai campisti di Libera. Volentieri le rispedirei simbolicamente al mittente, piene di terra calpestata dai passi e bagnata dalle lacrime dei familiari delle vittime di ‘ndrangheta. Da Roma è necessario che nasca una netta volontà politica a dare risposte concrete per questa sete di giustizia. Mi piacerebbe che le borracce tornassero indietro da Palazzo Chigi, piene di uomini, mezzi, soldi, progetti, investimenti, informazione e controlli da spargere su tutta l’Italia, a partire dalla Calabria.

E come Esperienza

Quando si vuole amare o, all’opposto, criticare una cosa per migliorarla, bisogna partire innanzitutto dal conoscerla a fondo.

Fare esperienza nella Locride è servito a studiare il punto di vista della società calabrese e a camminare, seppur per poco, con le scarpe dell’Associazione Don Milani. E’ ammirevole il fatto, per quanto duro, che gente come Francesco e Giuseppe si impegnino a far conoscere la complessità dei luoghi dove sono nati a chi calabrese non è e facilmente continua a ragionare secondo la “mentalità del nord”.

Mi sono accorta di avere molti filtri circa la piaga della ‘ndrangheta. Forse è proprio la “mentalità del nord” che fa da velatura alla conoscenza dei loschi affari tra Aosta e Siracusa, tra Roma e Bruxelles, tra Sydney e New York, ovunque siano i referenti della ‘ndrangheta. Ho levato ogni filtro mentale e ho scoperto una Calabria fatta di continua oppressione sul territorio, di inettitudine dei pubblici poteri, di inquinamento nell’amministrazione locale (prima fra tutte la sanità), di corruzione dominante nell’economia, imprenditoria e finanza e del bottino del narcotraffico internazione, rubinetto principale di immensa ricchezza, riciclata “legalmente” al nord.

Imparare ad ascoltare i calabresi onesti (che per fortuna sono la maggioranza e rendono bella la loro regione), cercare di capire il territorio e sudare con le mani sui beni confiscati ai mafiosi hanno fatto parte di questa forte esperienza, che non deve rimanere fine a sé stessa, ma portare seme all’esterno, a partire dalla realtà che vive ognuno di noi, la mia per prima.

Nelle estati scorse ho fatto un po’ di volontariato all’estero con i bambini poveri della Bahia, la parte più “africana”, misera, retrograda, violenta e quindi disgraziata del Brasile; quest’anno volevo “alleggerire” le ferie con un’esperienza di volontariato nazionale, senza pormi troppe aspettative, se non quella di avvicinarmi di più all’associazione Libera, fondata da Don Ciotti e conosciuta tra i banchetti delle feste popolari e gli scaffali della pasta al supermercato.

Seppur in terre diverse, ma senza esagerare, ho trovato due similitudini tra la scuola brasiliana Rainha da Paz (“Regina della pace”, nella favela Parque Violeta a Feira de Santana) e la struttura Don Milani a Marina di Gioiosa Jonica: stessa tenacia ammirevole degli operatori con i bambini da preservare e stessa lotta per la giustizia sociale in contesti difficili e criminosi.

Questi posti non sono semplici oasi di bontà che salvano i bambini dal Brasile (non dimentichiamoci che il narcotraffico parte dal Sudamerica) alla Calabria (non dimentichiamoci che l’ordine per il narcotraffico parte dall’Italia), ma vere e proprie Missioni di uomini e donne Liberi.

R come Rabbia

Quanta rabbia ho provato nel sentire le ingiustizie, le vessazioni, le sopraffazioni gratuite e violente che insanguinano la terra di ‘ndrangheta, che non è solo Calabria, non è solo sud, ma è l’intero suolo del nostro Paese.

Quanta indignazione nel constatare, da una parte, le offese prepotenti di veri e propri tiranni moderni e, dall’altra, la mancanza quasi totale dello Stato, espressione di un’autorità troppo assorta, lontana, spesso venduta.

Non merita altre parole questa rabbia nata dal fango della malavita. Una volta realizzata e elaborata, merita le parole solo ciò che può veramente superarla: l’amore con la A maiuscola, l’Amore per la vita Libera.

A come Amore

“Io amo la vita”, così ci risponde Don Luigi Ciotti, tutto sudato ma con tono grintoso, quando gli chiediamo, un po’ banalmente e quindi sottovoce, se prova troppo caldo sotto il sole dell’Aspromonte (indossa una maglia scura a maniche lunghe e la tonaca di Don Tonino Bello, che mette solo per le grandi occasioni). La sua è una risposta che non c’entra niente con la nostra stupida curiosità, ma c’entra in pieno con il cammino da condividere.

“Io amo la vita” è il messaggio che lui dà sempre, esplicitamente o indirettamente, ad ogni domanda, ad ogni volto che incontra e benedice, incitando alla lotta per la legalità contro tutte le mafie, ovunque.

Don Ciotti ci esorta nel cammino con una frase di S. Agostino, essenza dell’Amore che si spende e spera: “la Speranza ha due figli, la rabbia e il coraggio. La rabbia nel vedere come vanno le cose. Il coraggio di vedere come potrebbero andare”

Che grazia, che ricchezza, che privilegio stringere la mano a Don Ciotti e stare dalla sua parte, appartenere alla sua gente. Quel 22 luglio, la marcia della memoria ha ravvivato in tutti noi, lombardi, emiliani, toscani, pugliesi e siciliani, una nuova spinta e un entusiasmo più consapevole nel portare avanti il nostro piccolo contributo alla guarigione dal cancro mafioso.

Grazie allora a Don Luigi Ciotti, a Mario Congiusta, a Debora Cartisano, ai coniugi Fava e a Mara e Giovanni Tizian (bancario onesto e Libero di 36 anni, ucciso a Bovalino nel 1989), perchè insieme sull’Aspromonte, con le loro braccia che formavano una croce, ci hanno dato una bella benedizione spirituale e umana, quale segno di speranza per tutti.

Grazie di cuore alle persone che sono “transitate” nel campo, lasciando un’impronta indelebile: Maria Carmela Lanzetta, sindaco coraggioso di Monasterace, Francesco Loccisano, musicista popolare di sublime chitarra battente, Maurizio Zavarra, giornalista del “Quotidiano” della Calabria, che si è speso ed esposto con i servizi sul nostro campo, Antonio Mira, giornalista dell’”Avvenire”, che ci ha illuminati sullo sporco mondo dei giochi-scommesse in Italia e il commissario di Siderno (RC), Stefano Dodaro, che ci ha dedicato del tempo con un’approfondita lezione sulla ‘ndrangheta.

Grazie a Domenico e a Salvatore, cuochi eccellenti, rubati ogni giorno alle famiglie per curare i nostri pranzi e cene, sempre buoni, genuini, abbondanti.

Grazie a tutti i miei compagni di campo, da Milano a Catania, per i sorrisi, le parole e gli aiuti reciproci.

Non dimentico neanche Detta, la graziosa cagnolina che ci ha fatto la guardia ogni notte in giardino, allietando il sonno con energiche abbaiate.

Infine, un Grazie speciale a Francesco Riggitano e a Luca Giuseppe Ritorto, nonché a tutto il gruppo della Don Milani Onlus di Gioiosa Jonica (Elga, Cristina, Sonia), per l’impegno, la pazienza, la competenza e la simpatia che ci hanno gratuitamente donato.

Sono sicura che quel fiorentinaccio come me di Don Lorenzo Milani vada fiero della vostra opera e a tutti, con una bella pacca sulle spalle, lui direbbe con forza:

“ovvia bravi ragazzi, mi raccomando a non fare i bischeri, ma continuate avanti e sempre su codesta strada, che ll’e’ davvero santa!”


I genitori di Celestino Fava raccontano…

Mario Congiusta racconta…

Deborah Cartisano racconta…


…in marcia

…il guado