XVI Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie

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XVI Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie

Dal 1995 ogni 21 marzo si celebra la Giornata della Memoria e dell’Impegno per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie. Il 21 marzo, primo giorno di primavera, è il simbolo della speranza che si rinnova ed è anche occasione di incontro con i familiari delle vittime che in Libera hanno trovato la forza di risorgere dal loro dramma, elaborando il lutto per una ricerca di giustizia vera e profonda, trasformando il dolore in uno strumento concreto, non violento, di impegno e di azione di pace.

La XVI Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, si celebrerà in Basilicata, a Potenza, 19 marzo 2011.

Perchè a Potenza

La Basilicata non è terra di mafia.
Il punto è capire come in un territorio come questo la criminalità mafiosa abbia trovato degli agganci, pur non pervadendo al 100%.

Ci sono delle spie, dei fatti criminali, che ci rendono necessaria una riflessione sul tema mafie in Lucania.
Se volessimo sintetizzare gli ultimi cinquant’anni della storia della Basilicata, potremmo aiutarci immaginando tre fiumi paralleli.
La maggior parte di questa storia e cioè il fiume più importante, è fatta di gente comune, gente che lavora quotidianamente e fatica per la propria dignità.
Accanto a questo fiume, c’è invece la storia criminale. Sicuramente in Basilicata ci sono state influenze importanti da parte delle regioni a tradizionale presenza mafiosa. Ci sono alcune vicende attraverso le quali queste influenze si vedono più chiaramente. In molti casi questo fiume tocca il fiume della vita normale, perché i criminali si sono ambientati e spesso confusi tra la popolazione comune.
Ma ci sono dei dati incontrovertibili. In una regione da 600.000 abitanti, il fatto che ci siano 200 persone con sentenza passata in giudicato per associazione mafiosa, è un dato importante e non trascurabile.
Su base nazionale significherebbe avere 20.000 condanne definitive.
Se non c’è la mafia, sicuramente in Basilicata ci sono dei mafiosi.
La storia criminale di questa regione ha un momento di particolare importanza negli anni ’70-80, quando nella zona del Metapontino prendono piede i clan Scarcia, Bozza, Modeo. In arrivo dalla vicina Puglia, trovano facile radicamento in Basilicata con alcuni piccoli gruppi autoctoni, come i Gallitelli di Bernalda.
I criminali locali con queste alleanze hanno fatto il salto di qualità, imparando ad esempio dai Maisano e dai Siderno, provenienti della Calabria.
Queste alleanze si sono realizzate per affari criminali da portare avanti sul territorio della Basilicata, in particolare nella zona di confine del metapontino, luogo necessario di passaggio di armi e droga, tra la Calabria e la Puglia.
La statale jonica negli anni ’90 era l’autostrada che dalla Calabria faceva passare le armi in Basilicata, per farle arrivare in Puglia, da dove attraverso l’Adriatico si alimentava la guerra dei Balcani.
Ricordiamo alcuni fatti e alcuni nomi eccellenti.
Sicuramente il clan Zito-D’Elia, operante a Montescaglioso in provincia di Matera: molti ricordano quando ci fu la strage del 15 maggio del 1991. Davanti a una pizzeria furono uccise quattro persone che stavano festeggiando la scarcerazione di un boss e furono per ciò punite da parte del clan rivale. Se la stessa cosa fosse successa a Locri se ne sarebbe parlato molto di più.
Craco, sempre in provincia di Matera e in quello stesso periodo, fu messa sotto i riflettori di un laboratorio antimafia di Milano perché si verificò una cosa incredibile: un paese intero sotto racket. Un gruppo di delinquenti locali decise di chiedere il pizzo ai pensionati del posto, con ciò evolvendo il fenomeno del racket e diffondendolo a macchia d’olio su quel territorio.
In pochi sanno che negli anni in cui si prendeva coscienza della strategia stragista di Cosa Nostra, dopo il 1992, qualcuno pensò di mettere nei sassi di Matera un’autobomba. Non si è mai capitò perché non sia mai esplosa, se per errore o per mancata volontà. Era il 1993.
In provincia di Potenza, negli anni ’80 don Raffaele Cutolo andò a trascorrere parte della latitanza nel volture melfese: lui si portò dietro un paio di scagnozzi e questi cominciarono a diffondere i “valori” della camorra nella zona, attraendo dei gruppi di delinquenti che cercavano di fare il salto di qualità, tra questi i Delli Gatti e Petrilli che hanno imperversato negli anni ’90.
Erano gruppi preesistenti, che sono cresciuti “grazie” al confronto con i clan della camorra.
Così accade in tutte le regioni in cui le mafie arrivano o perché arrivano i latitanti, o perché arrivano gli affari o perché i boss vengono mandati al soggiorno obbligato in alcuni territori (questo avveniva fino agli anni ’90, a partire dalla fine degli abb)
Due su tutti, Calogero Vizzini, un capo della mafia siciliana a partire dagli anni ’30: Vizzini è il tramite tra mafia e alleati durante lo sbarco. E’ mandato al confino a Tricarico (MT) e qui sicuramente ha lasciato il segno e ha seminato criminalità.
Allo stesso modo Tano Badalamenti è mandato in soggiorno obbligato a Carciano (MT) negli anni ’70: anche in questo caso ci furono molte visite al boss, che non lesinava di dare lezioni di criminalità. Nello stesso periodo di Badalamenti c’era anche Bagarella in soggiorno obbligato, nello medesimo paese. Inevitabile dunque pensare a incontri e affari portati avanti, nonostante la misura di prevenzione.
Negli anni ’80 una buona sponda è data alla criminalità dal terremoto irpino: la ricostruzione ha attirato le mafie come mosche sul miele. I fondi messi a disposizione dal Governo sarebbero stati in parte spartiti tra le varie cosche, delle diverse mafie.
La seconda sponda fu data dalla Fiat, quando ci fu la notizia della nascita della fabbrica di Melfi. Ancora prima dell’inizio delle attività, le aziende dell’indotto furono taglieggiate.
Nelle guerre intrinseche ai clan, negli ultimi venticinque anni, ci sono stati 65 morti. Numeri piccoli? Si tratta di oltre due morti l’anno, un numero comunque considerevole e che è spia delle attività criminali che vengono portate avanti sul territorio lucano.
In questo periodo sono cresciuti i clan Cassotta, Delli Gatti, Petrilli, che sono tornati alla cronaca recentemente. Uno per volta negli ultimi anni sono stati uccisi, con esecuzioni tipiche del circuito mafioso.
Anche a Potenza c’è stata l’ascesa di alcuni boss e dei loro clan, come Renato Martorano, Giovanni Guaratino, Pio Abbano, Dorino Stefanutti. E’ importante fare i nomi perché se no si dà sempre l’impressione di parlare in modo vago.
L’ascesa criminale di Renato Martorano (oggi al 41 bis) lo ha portato al più alto grado di rappresentanza della ‘ndrangheta in Basilicata.
La sua crescita è dovuta all’omicidio consumato in via Mazzini di Francesco Sanoa: fu fatto passare per un omicidio di donne, ma in realtà lui era ‘ndranghetista ed entrò in contrasto con Pietro Picierno (zi’ pietro cravatta, perché faceva l’usuraio) legato alla camorra. Da qui ebbe origine l’omicidio che fece crescere il ruolo di Martorano, prima suo portaborse.
Altro importante criminale è Govanni Cosentino, detto Faccia d’angelo, affiliato ai Facchineri di Cittanova. Ad un certo punto ha un’idea formidabile: non farsi la guerra. Il suo motto è “Tanti corpi, un’anima sola”, per unire le famiglie della regione, con il beneplacito della ‘ndrangheta: è così che nasce la famiglia dei Basilischi.
Nel 2008 il Tribunale di Potenza condanna per 416bis il clan dei Basilischi: è un momento storico perché per la prima volta viene condannata un’organizzazione esclusivamente locale.
Visto che la terra di Basilicata è terra di passaggio, Cosentino vuole far pagare il pedaggio a chi vuole passare con traffici criminali: l’impresa gli riesce e si trova un accordo tra le diverse mafie.
Poi c’è il terzo fiume, che non è facile da collocare rispetto agli altri due. E’ il fiume grigio, dove c’è una linea d’ombra che non si riesce a leggere.
Sono storie che ci fanno vedere mondi nascosti.
Una su tutte la storia di Elisa Claps, uccisa senza motivi criminali, ma la cui morte è stata manipolata da poteri forti, da un mondo che ha contatti con investimenti mafiosi anche senza averne frequentazioni quotidiane.
Allo stesso modo la storia di Luca e Marirosa, i due fidanzati di Policoro deceduti nel 1988. Una morte prima fatta passare per incidente domestico, poi manipolata anche con perizie false.
Altre storie sono quelle di Vincenzo De Mare (ucciso a Scanzano, probabilmente per il rifiuto di trasportare rifiuti tossici) e quella dei coniugi Gianfredi.
Si tratta di spie d’allarme da questo terzo fiume, fiume carsico e grigio, di più difficile interpretazione.
A partire da questi flash si capisce che in Basilicata esistono delle zone d’ombra sia relative alle mafie, sia relative alla massoneria e ai poteri occulti.
Per queste ragioni è importante accendere una luce su questi fatti, chiedendo verità e giustizia per tutti i fatti ancora non chiariti.

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