E noi ci (ri)mettiamo la faccia…

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E noi ci (ri)mettiamo la faccia…

di Sandro Maria Velardi*

E’ stato bello, dal punto di vista umano, vedere le facce giovani dei militari che, da un paio di giorni, custodiscono l’edificio della Procura Generale di Reggio Calabria dove io presto servizio.

Certo, questa, ha più l’aria di una missione di pace di quelle che ne hanno solo la denominazione e appaiono più spedizioni “coloniali” sottese ad interessi economici che a missioni umanitarie. Tuttavia, anch’io, come autorevoli commentatori (dal PG Di Landro, al Procuratore Pignatone, dal Procuratore Gratteri per finire ai giornalisti Baldessarro e altri) non posso fare a meno di chiedermi se questo è tutto quello che il Governo, lo Stato, ha creduto di potere e dovere offrire per il “Caso Reggio”, o ancora meglio, per il “Caso Italia”.

 

Registro e ricordo, innanzitutto a me stesso, alcuni fatti.

3 gennaio 2010: esplosione di un ordigno davanti al portone della Procura Generale di Reggio Calabria [fatto, questo, assolutamente nuovo” nel modus operandi ‘ndranghetistico – mafioso] Qualche giorno dopo, in contemporanea alla prima manifestazione spontanea di solidarietà civile nel luogo dell’esplosione (atto di nascita di Reggionontace) “scoppia” un’altra bomba: i disordini di Rosarno.

I neri erano lì da anni, non “visti” né dalle istituzioni né dai media e – strana coincidenza temporale – proprio allora “esplode” il problema e le violenze…

21 gennaio 2010: visita del Presidente della Repubblica Napolitano a Reggio. Un’auto piena di armi (per lo più obsolete) viene “fatta ritrovare” sul percorso presidenziale verso l’aeroporto dello Stretto.

29 gennaio 2010: Consiglio dei Ministri a Reggio Calabria; si vara il “Piano contro le mafie”, viene istituita – con sede a Reggio – l’Agenzia dei beni confiscati. L’on. Alfano, Ministro della Giustizia, promette più magistrati e più risorse economiche. Intanto vara una legge con la quale si introduce la parola “’ndrangheta” nella legislazione italiana.

Meno male!!

Io, sino ad allora, così come avveniva nell’Italia degli anni ’60, credevo che, come la “mafia”, anche la ‘ndrangheta fosse un’invenzione dei giornalisti “comunisti” e disfattisti.

Il Ministro Maroni promette un immediato rafforzamento delle Forze dell’Ordine. Arrivano così, per 90 giorni, 121 uomini delle tre forze di polizia; sono sottratti ad altri territori (la coperta, si sa, è corta). Non fanno in tempo ad ambientarsi un pochino

(vengono utilizzati soprattutto per compiti routinari) che devono ripartire: A livello strutturale risultati zero.

Giugno 2010: vengono “sabotate” le auto blindate in uso al Procuratore Generale Di Landro e ad un magistrato della Procura Generale. Anche questo fatto, io lo leggo così, è una sintassi nuova nel linguaggio ‘ndranghetistico calabrese e reggino.

26 agosto 2010: esplode la bomba sotto l’abitazione del Procura Generale Di Landro. Nel mezzo di questo periodo, si bruciano autovetture di giornalisti, si inviano buste con proiettili a magistrati e giornalisti, si fanno ritrovare proiettili sulle auto di servizio “custodite” negli Uffici Giudiziari.

Dopo l’ennesima bomba il Ministro Alfano promette al Procuratore Generale di Reggio uno stanziamento “straordinario” di circa 40.000 euro (ancora non visti). Caspita! Quasi quanto la sponsorizzazione per il torneo di calcetto Deputati-ammogliati v/s Senatori-scapoli !!!

Poi le operazioni di Pignatone – da solo e quelle in collaborazione con Milano – producono centinaia di arresti eccellenti. Il Ministro Maroni e il suo Collega Alfano se ne appropriano e si attribuiscono l’innegabile merito di essere i più efficaci lottatori delle mafie nella storia repubblicana.

5 ottobre 2010: si “fa ritrovare” un bazooka nei pressi della Procura di Pignatone.

Poi i pentiti: colpo di scena sono i Serraino gli autori della strategia della tensione. Bi-colpo di scena: è il boss Lo Giudice ad attribuirsi di aver fatto tutto lui.

Intanto, tra le righe dei giornali, nelle trasmissioni di approfondimento, nell’interrogazione parlamentare dell’on. Angela Napoli ed altri, si intravedono losche figure di servizi deviati, pezzi di politica malata. Le dichiarazioni del Presidente Pisanu lanciano ombre (e suscitano inquietudine) su pezzi della P.A. e della politica calabra.

Intanto a nove mesi dal primo inquietante episodio ho visto (sia pur da lontano) Ministri, Presidenti e Governatori proclamare impegno e solidarietà concreta per il territorio sottratto allo Stato nel quale l’Anti-Stato deposita bazooka, esige quelle tasse che lo Stato non riesce ad incassare, impone regole ferree di fronte a leggi statali che si annacquano sempre di più.

Il Procuratore Generale Di Landro chiede magistrati, forze di polizia, risorse umane e materiali. Il Procuratore Pignatone invoca – fra l’altro – una presenza costante di riflettori mediatici che stimolino la nascente coscienza civile di Reggio, embrionale se confrontata a quella di Palermo. Il Procuratore Gratteri chiede con forza un’inasprimento della legislazione della legislazione antimafia e la riapertura dei carceri di massima sicurezza dell’Asinara ed altri.

Non si vede nulla di concreto.

Si sente, invece, sussurrare di nuovo di un rilancio della limitazione dell’irrinunciabile mezzo investigativo delle intercettazioni. La ‘Ndrangheta, riconosciuta a livello mondiale come una potenza economica e militare di forza multinazionale, viene ostinatamente combattuta da magistrati e forze dell’ordine che – oltre a rischiare la propria vita – devono anche, quasi, pagarsi di tasca propria le indagini.

Ma guai a quella Nazione che ha bisogno di Santi e di Eroi !

Una democrazia si fonda sulle responsabilità e sul senso del dovere dei singoli. Ma, ancor più, sulla concretezza e sull’onestà di chi svolge il “SERVIZIO” di governare per conto dei cittadini (NON dei sudditi) dello Stato.

Per finire, io ho fiducia e speranza nella Società Civile e nei giornalisti di frontiera e, nelle forze dell’ordine e nei magistrati che operano a Reggio Calabria . Però, non mi sono piaciuti i “distinguo” e le defezioni (in astratto accettabili) di quanti – associazioni e singoli – non hanno inteso partecipare alla Manifestazione anti-‘ndragheta che si è tenuta in città ad iniziativa del Quotidiano della Calabria. Con la motivazione (o il pretesto?) di avere il timore di mescolarsi a figure non chiare e trasparenti.

Io continuo, e continuerò, a metterci la faccia. E non solo la mia: io ci sono andato con mia moglie e i miei figli perché so che solo testimoniando di persona che si trasmettono ai figli i valori della legalità e della coscienza civile. E so anche che la mia faccia e quella di molti altri cittadini calabresi si distinguono nettamente – per chi sa o vuole guardare – fossero anche circondate da loschi figuri.

Io, ci sono e ci sarò sempre perché credo fermamente nella verità e nella giustizia. E, ostinatamente, so che non sarò né solo né unico: la città vuole, deve e può rinascere.

*dirigente della Procura Generale di Reggio Calabria