‘Ndrangheta, sequestrato il Café de Paris a Roma

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‘Ndrangheta, sequestrato il Café de Paris a Roma


Il Cafè de Paris, il noto locale di via Veneto, a Roma, è stato sequestrato dai carabinieri del Ros e dalla Guardia di finanza nell’ambito di una operazione che è in corso nella capitale, perchè risultato nella disponibilità della cosca Alvaro della ‘ndrangheta.

 

Il Cafè de Paris è stato sequestrato, insieme ad altri beni sempre a Roma, società, attività commerciali, abitazioni e automobili di lusso per un valore complessivo di oltre 200 milioni di euro. I sequestri sono stati disposti dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria su proposta della Dda reggina e riguardano, in particolare, investimenti della cosca Alvaro nel settore della ristorazione.


Poco dopo il sequestro però il celebre locale ha sollevato le serrande. «Il bar ha riaperto la sua attività, anzi ci scusiamo con i clienti per il ritardo di dure ore e anche per questa “pubblicità”», spiega il vice direttore del Cafè de Paris, Marcello Scofano. «Le forze dell’ordine – ha aggiunto – stanno facendo i dovuti accertamenti, ma il caffè è aperto ai clienti».

Molti avventori sono infatti già all’interno del locale, riaperto verso le 10 invece che alle 8 come è consuetudine, e i dirigenti dell’esercizio hanno dato disposizione ai fornitori di scaricare il materiale. Sul posto diverse auto della Guardia di finanza e dei carabinieri.

Secondo quanto accertato dalle Procure di Roma e Reggio Calabria il bar, così come molti altri locali del centro storico della Capitale, era di proprietà della ndrangheta e in particolare della potente cosca che fa capo ad Vincenzo Alvaro, boss della provincia di Reggio. Questa mattina è scattato il blitz delle forze dell’ordine che ha posto sotto sequestro beni per un valore complessivo di 200 milioni di euro. Il Cafè de Paris, che per gli investigatori ha un valore di 55 milioni di euro, risulta intestato a Damiano Villari, che di professione fa il barbiere a Santo Stefano di Aspromonte, ma che per conto del clan, secondo quanto ricostruito dai carabinieri del Ros e dagli uomini del Scico della Guardia di Finanza, gestiva anche altri locali simbolo della Roma bene come il Georgès in via Marche. Il barbiere «impreditore», inoltre, è imputato in un processo per violenza sessuale ai danni della cassiera del locale.

Il quadro che emerge dall’inchiesta è chiaro: Roma sta diventando la meta privilegiata delle organizzazioni criminali per il riciclaggio di denaro sporco. Già pochi mesi fa si era avuto un primo segnale con la richiesta di sequestro del ristorante «Alla Rampa», in piazza di Spagna. Un provvedimento che però fu respinto dal Tribunale delle misure di prevenzione. Bar, tabaccherie, auto da sogno e immobili di lusso: i clan del reggino hanno allungato i tentacoli su attività lucrose in locali che distano poche centinaia di metri dai palazzi della politica come Palazzo Chigi e il Quirinale.

«Questa è solo la punta dell’iceberg – ha affermato il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso – Roma è uno dei punti dove le cosche trovano sviluppo sotto il profilo economico nel reimpiego dei profitti illeciti». Allarme che circa due anni fa fu lanciato dalla deputata radicale Rita Bernardini, la quale ora chiede al Prefetto della Capitale «una task force che indaghi sulle infiltrazioni criminali nelle attività commerciali di Roma».

L’inchiesta che ha portato al blitz di oggi del resto ha confermato che i clan scelgono la Capitale anche come area di residenza. In particolare il clan degli Alvaro, dopo aver chiuso le vicende processuali a Reggio Calabria, nel 2002 si è trasferita nella zona dell’Eur ricreando, come ha spiegato il procuratore generale Giuseppe Pignatone, una sorta di «base operativa» in territorio laziale delle attività illecite. In sostanza ad emigrare a Roma non sono stati solo i componenti della famiglia ma anche prestanome e fiancheggiatori.

Tutti i beni confiscati al clan passano ora all’amministratore giudiziario.

22 luglio 2009