Gianluca Congiusta ucciso per un torto alla ndrangheta

Print Friendly, PDF & Email

Gianluca Congiusta ucciso per un torto alla 'ndrangheta


L’Industriale antonio scarfò

 

 Siderno – Un torto alla ‘ndrangheta si paga con la morte. Anche quando difendi la famiglia della tua fidanzata non sei giustificato, non ti possono giustificare. E l’onta la paghi con il sangue che scorre su un sedile della macchina, mentre stai rincasando, in una piovosa serata di maggio. Pare proprio sia questo il motivo che ha causato la morte di Gianluca Congiusta, il giovane imprenditore sidernese, colpito dai sicari della criminalità organizzata nel 2005.

Forse, perché è un’ipotesi, anzi un pensiero che ha attraversato la mente di Antonio Scarfò, il futuro suocero, rispondendo alle domande del pubblico ministero Antonio De Bernardo in sede d’esame, davanti alla Corte d’assise di Locri, con il presidente, Bruno Muscolo, assistito dal togato Frabotta, a comprendere i passaggi del racconto di una vita di imprenditore nella Locride vissuta dal teste. Una vita, 40 anni, per costruire un piccolo impero economico che fa gola a qualcuno, specie dopo che a Scarfò vanno bene due progetti presentati al Patto territoriale della Locride, che vengono finanziati per diversi miliardi delle vecchie lire. Da quel momento dice che iniziano i guai seri: macchine bruciate, intimidazioni fino alla soglia di casa, trova benzina sul cancello, gli giungono telefonate che anticipano “un regalo di Natale”. In effetti i regali arrivano in quel natale del 2003, sono due lettere, una contenente tre bossoli di pistola, l’altra una richiesta di mille euro al mese. Di questa Scarfò non conosce l’esistenza, dice, fino al mese di ottobre del 2005 quando la moglie glielo racconta.

Il teste continua dichiarando di aver fatto denunciare tutto alla moglie, tutto quello che era a sua conoscenza, quindi non la lettera arrivata, si saprà dopo qualche anno, dal carcere di Palmi ed inviata da Tommaso Costa, all’epoca detenuto. Il pm chiede il motivo della mancata segnalazione della lettera, ed azzarda l’ipotesi che forse è difficile denunciare un tentativo di estorsione quando compare un nome, anche se è stato messo solo per infondere timore.

Le parti civili, sono presenti tutti i familiari di Gianluca Congiusta, ascoltano in silenzio.

Fatto sta che della lettera Scarfò non ne parla neanche nel luglio del 2006 ai poliziotti del commissariato di Siderno, forse perché non glielo chiedono e lui non lo ritiene importante. Ancora paura? ipotizza il pm. Si.

Per la sua famiglia, non per lui che, con sincerità e commozione, ripete più volte che avrebbe preferito perire sotto i colpi del killer al posto del futuro genero di 32 anni. Le ore passano e continua il vaglio delle telefonate intercettate sul cellulare di Scarfò, nelle quale l’imprenditore, chiuso nella morsa dei creditori perché, dice, non gli sono arrivate le ultime trance del finanziamento, si sfoga con dei propri conoscenti ripercorrendo l’inferno degli attentati.

Un'escalation che culmina, secondo quello che pensa anche Scarfò, con l’assassinio di Gianluca.

Redazione

da il fattoonline.com