Passa l’indulto, Diliberto non lo vota

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Ringraziamo il PdCI, Idv, An e la lega per la presa di posizione netta sull'Indulto

L’indulto è passato alla Camera con una maggioranza vasta, da «governissimo». I voti a favore sono stati 460 (Ulivo, Forza Italia, Prc, Udc, Verdi, Udeur, Rnp), 94 quelli contrari (Idv, An, Lega), 18 gli astenuti (Pdci). Ora la battaglia si trasferisce a Palazzo Madama. Secondo il presidente del Senato, Franco Marini, è concretamente possibile che lo sconto di pena venga approvato in via definitiva entro sabato notte. Nelle carceri la notizia è stata accolta con boati da stadio.Si calcola che saranno oltre dodicimila i detenuti che potrebbero beneficiare della scarcerazione.
Ieri il testo non ha subìto modifiche. In particolare, è stato respinto l’emendamento che mirava a escludere dall’indulto il voto di scambio con i mafiosi (cosiddetto 416 ter). Questa bocciatura ha generato nel centrosinistra reazioni a catena. La prima si è manifestata con l’annuncio dei Comunisti italiani che si sarebbero astenuti sul voto finale in polemica col resto dell’Unione. Processione per far cambiare idea a Oliviero Diliberto. Piero Fassino e Massimo D’Alema ci hanno provato pure loro, insieme con Luigi Manconi e Dario Franceschini, ma senza successo e con viva irritazione soprattutto dei «cugini» rifondaroli. I quali nella mossa di Diliberto hanno visto un tentativo di sgambettarli sulla questione morale. Franco Giordano, segretario Prc, ha denunciato la «ferita aperta nella maggioranza da culture molto conservatrici». Diliberto ha replicato sostenendo che «adesso io a Locri ci posso andare», qualcun’altro magari no.

Sul piano pratico, la defezione ha costretto l’Ulivo a rincorrere i deputati e a chiamare in aula tutti i ministri, nel timore che non venisse raggiunto il quorum. Cosicché al momento del voto c’era un pienone da grandi occasioni. Passato il batticuore, Fausto Bertinotti ha salutato l’evento come «una bella giornata per la Camera e per le istituzioni del paese». Proprio Bertinotti è stato protagonista dell’altro scontro di ieri, quello con Antonio Di Pietro.

E’ accaduto quando An si è accorta che sul sito internet dell’Idv era stata pubblicata la lista dei deputati che avevano appena affondato l’emendamento sul voto di scambio. Ignazio La Russa ha preso la parola evocando le liste di proscrizione. Il clima si è surriscaldato. E il presidente della Camera ha bacchettato severamente Di Pietro: «I voti sono pubblici», ha osservato Bertinotti, «ma quello che è stato denunciato qui, qualora venga verificato, lo troverei deplorevole». Standing ovation del centro-destra, vivi applausi anche dai banchi dell’Ulivo. Dove poco prima era stato accolta con simpatia l’autodifesa di Clemente Mastella, grande «desaparecido» nei giorni scorsi e avversario numero uno di Di Pietro nel governo, che aveva solleticato l’orgoglio dei peones: «Non posso accettare che chi è contro l’indulto venga considerato moralmente in regola e che è a favore no…».

Di Pietro, durante il discorso di Mastella, aveva finto di non udire, impegnatissimo a scrivere qualcosa. Ma non poteva fare altrettanto con Bertinotti. Stavolta ha restituito il colpo: deplorevole, secondo il ministro auto-sospeso delle Infrastrutture, sarebbe il presidente della Camera «qualora davvero pensasse di censurare l’organo d’informazione ufficiale di un partito. L’Idv ne farebbe una questione di fiducia politica, non senza conseguenze per questa maggioranza…». E’ lo scenario più temuto da un Romano Prodi presente in aula, silenzioso e anche molto irritato per le continue dissociazioni di ministri e partiti politici. Ha sempre difeso Di Pietro poiché senza di lui la maggioranza va a gambe per aria. Però deve darsi una calmata sennò diventa indifendibile. Ieri il film andato in onda potrebbe intitolarsi «Di Pietro contro tutti». Il leader dell’Idv ha rivendicato una grande vittoria d’immagine nel paese reale, contrapposta allo «sbracamento delle istituzioni». Ed è arrivato a sostenere che s’è realizzato «un voto di scambio politico-parlamentare in cui l’Unione ha svenduto la propria dignità cedendo al ricatto di Forza Italia». Troppo per gli alleati. Franceschini, capogruppo dell’Ulivo, ha alzato il telefono per dire a Vannino Chiti, ministro dei Rapporti col Parlamento, che la misura è colma, e lo riferisse anche a Prodi. Nel «tiro al Di Pietro» si sono distinti Gennaro Migliore (Prc), Mauro Fabris (Udeur), Roberto Villetti (Rnp). Pierluigi Castagnetti (Margherita) ha esortato il ministro a chiedere scusa. Fassino: «Di Pietro da tre giorni sta facendo demagogia a buon mercato». Equanime, ha esteso il rimprovero a Mastella: «Le dimissioni sono una cosa seria, quando uno le annuncia poi dovrebbe avere la coerenza di darle…». Sull’altro fronte rimane agli atti il giudizio sornione di Silvio Berlusconi: «Noi non facciamo opposizione muro contro muro, noi proponiamo costruttivamente. Quando le tesi della maggioranza sono nell’interesse del paese, non abbiamo difficoltà ad aggiungere il nostro voto». Un discorso, quasi, da nuovo azionista di riferimento.

Articolo tratto da La Stampa Web del 28/07/2006